L’abbiamo detto anche troppe volte, ma è necessario ricordarlo.
Conflitti fratricidi sul nostro Continente hanno – almeno a tre riprese – scosso il mondo intero. Si tratta del primo conflitto mondiale, poi delle follie fasciste e naziste che hanno portato alla seconda guerra mondiale e all’innalzamento del Muro di Berlino, che ha finito per dividere il mondo in due poli antagonisti (capitalismo e comunismo). Una divisone che dominerà sotto la minaccia della distruzione nucleare.

Alle conseguenze di queste tre tragedie, che hanno insanguinato le terre di molti stati sul Vecchio Continente, abbiamo risposto con l’Europa, che è stata capace di garantire – mai come prima nella nostra Storia – un periodo così lungo di pace. Quest’anno ne ricorre il sessantesimo anniversario come festeggiato nella ricorrenza ufficiale a Roma il 25 marzo 2017. Anno in cui ricordare anche il trentesimo del simbolo europeo, forse più noto alle giovani generazioni, come l’Erasmus.

Poi, è arrivata anche la prosperità, nata grazie al Piano Marshall e alla ricostruzione con la fatica delle nostre nonne/nonni e genitori, abbiamo allargato ai nuovi paesi membri che – rimasti isolati dal mondo per quasi quarant’anni – hanno beneficiato dei fondi strutturali per colmare il ritardo con l’Europa occidentale. E pace fu. Senza dimenticare, purtroppo, la tragica esperienza nei Balcani, nei quali la violenza ha finito per prendere il sopravvento sul buonsenso.

Oggi invece, le sfide sono diverse.

Purtroppo, in alcuni paesi dell’Est, le giovani classi dirigenti – arrivate dopo il soffocamento delle prove di democrazia a Praga e in Ungheria – si sono rapidamente dimenticate dei fondi strutturali dei quali hanno beneficiato e grazie ai quali sono riusciti a colmare ritardi economici e di benessere con l’Europa occidentale. Quel successo è stato ottenuto grazie alla solidarietà e ai sacrifici di altri paesi europei che avrebbero avuto necessità di questi fondi ancora per molti anni. Basti pensare al Sud Italia o paesi come la Spagna e il Portogallo.

Ma come abbiamo detto, oggi le sfide sono diverse. L’abuso della libertà per alcuni ed errori – che non giustificano nessuno – legati alla mancata o totale integrazione di popolazioni provenienti dall’immigrazione, la non risoluzione di conflitti religiosi, legati all’accesso alle risorse o alla corretta distribuzione delle ricchezze ovunque nel mondo, sono in gran parte responsabili per l’apparizione di fenomeni come terrorismo o grandi migrazioni internazionali.

Inoltre, la straordinaria crescita della popolazione in Asia, lo spostamento delle aree di produzione industriale e della nascita di importanti poli finanziari in Medio ed Estremo Oriente, ci pongono – come Europa – in una posizione difficile. Soprattutto noi come Italia, paese operoso, colpita dalla senilizzazione della società, ma senza materie prime, specialmente come piccola regione Marche, dove i dati e il buon senso ci spingono a parlare, come già commentato, di eccezione marchigiana​.

Purtroppo, dai cosiddetti “sovranisti”, sconfitti nelle elezioni in Olanda e più recentemente in Francia, viene fatto credere che l’Europa sia un problema e non una soluzione. Dobbiamo costatare con piacere che gran parte degli elettori – anche se il loro numero continua a crescere a causa del disagio sociale​ – non si è ancora lasciato trascinare sulla strada della rottura. Insomma Brexit non ha avuto tutti questi seguaci.

Tuttavia, la tregua che ci hanno dato gli elettori deve darci una scossa. Da strumento di pace, l’Europa si deve trasformare il più rapidamente ed efficacemente possibile in uno strumento di crescita economica e sociale.

Per concludere. Oggi – proprio nel giorno della festa dell’Europa – è il momento giusto per riaffermare questo concetto con forza e determinazione: l’Europa è attualmente lo strumento migliore a nostra disposizione per poter sperare di continuare a giocare un ruolo nel mondo e per garantire benessere sociale e crescita economica in un modello di economia sociale di mercato che, per non fallire, deve permettere uno sviluppo in pace ma senza fratture sociali.

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