Alla vigilia del 9 maggio, la Festa dell’Europa, è doveroso fare il punto.
E’ innegabile: stiamo cercando disperatamente di uscire da una crisi economica che dal 2008 ha portato con sé prima la crisi dei debiti sovrani, poi la distruzione di posti di lavoro ed infine un crollo del mercato interno.
Altri dati inquietanti riguardano la perdita di fiducia nelle “élite politiche” un po’ ovunque in Europa, l’affermazione di movimenti politici estremisti e la forte presenza di cittadine e cittadini europei che sono senza lavoro.Ormai, nel 2016, l’Europa conta circa 18 milioni di disoccupati, un dato spaventoso che spiega in parte la recrudescenza di facili populismi spinti, individuabili anche da parte della Germania, in Paesi dell’Europa dell’Est che si sono rapidamente dimenticati la crisi economica e la miseria nella quale erano sommersi all’indomani della caduta del Muro di Berlino.
Come se non bastasse, proprio mentre tutti stiamo affrontando la difficoltà di mettere d’accordo 28 Paesi sulle modalità e sui mezzi da mettere in atto, improvvisamente un altro grave elemento si è aggiunto ad una situazione già complicata.
Il 23 giugno 2016 i cittadini del Regno Unito saranno chiamati a rispondere a questa semplice domanda: “Il Regno Unito deve rimanere un membro dell’Unione europea o lasciare l’Unione Europea?”. E’ questo rischio di uscita che viene comunemente definito come “Brexit”.
Questo “grande gioco” chiamato Brexit è cominciato nel dicembre 2011, quando il Premier del Regno Unito David Cameron rifiuta di approvare il Fiscal Compact proposto dagli altri leader europei. Eppure questa mossa azzardata aveva dato nascita a negoziazioni circa le richieste di modifiche per evitare l’uscita. Nessuno mette in dubbio che per la Gran Bretagna sia stata una questione delicata visto e considerato la loro già nota scarsa propensione a “cedere sovranità”. Infatti, non partecipano all’Euro né fanno parte del trattato di Schengen.
Ma il vero problema è che il Premier Britannico sta mettendo in pericolo la tenuta dell’Europa sulla base di un rischio elettorale interno, perché in quel momento, all’interno del partito conservatore, non gode di molta popolarità e rischia di non essere rieletto. La mossa è azzardata. Speriamo bene.
Guardiamo ai rischi. Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, ormai impegnato in viaggi istituzionali di saluto, con i suoi partner internazionali – di passaggio in Inghilterra – ha insistito sull’interesse del suo Paese ad avere un’“Europa Unita”. Se un personaggio di questo livello si è auto invitato nel dibattito significa che la posta in gioco è molto alta. Ed è stato chiaro: per quanto riguarda la negoziazione di accordi commerciali la preferenza per gli Stati Uniti è quella di procedere a livello di Unione Europea e non di singoli Paesi.
In effetti, anche per il Regno Unito, bisogna fare attenzione. C’è un problema di tenuta della sua stessa struttura visto che è costituito dalla Scozia che non vuole uscire dall’Unione e dall’Irlanda del Nord. La Premier scozzese, Nicola Sturgeon, chiede: “…una vittoria massiccia in tutte le regioni del Regno Unito per restare nell’Unione Europea. Se meno di due anni dopo il referendum sull’indipendenza la Scozia si dovesse trovare a essere trascinata fuori dall’UE contro il nostro volere, per via della nostra scelta di restare nel Regno Unito, è evidente che questo porterebbe a crescenti richieste di un nuovo referendum”.
L’analisi ragionata vorrebbe quindi che il peggio non accadesse, senza peraltro contare altri due ulteriori aspetti: il 30% del PIL del Regno Unito è prodotto grazie alle relazioni commerciali di Import ed Export con i Paesi europei e “la città finanziaria di Londra” detta City – che non fa comunque parte dell’Euro, facile bersaglio di tutti i mali – ha interesse a rimanere perché gran parte delle sue attività finanziarie riguardano operatori situati nell’UE.
Eppure la forte propaganda sulla crisi della Grecia, dei paesi del Nord che pagano per quelli del Suded un quadro internazionale che non è proprio tra i migliori complicano le cose.
Pensiamo agli atti di terrorismo nel mondo e soprattutto a quelli di Parigi e Bruxelles che ci hanno immerso in problematiche nuove, in una condizione nella quale gli stati già avevano ristrettezze di budget per la difesa e la sicurezza.
Scelte sciagurate di politica estera, che pensavamo non accadessero più con gli errori della guerra in Iraq, hanno provocato ulteriori conflitti causati da un insensato intervento in Libia proprio mentre si stava faticosamente cercando una strategia di uscita dall’errore iracheno.
Così la questione dei migranti – con il rischio concreto della tenuta del Trattato di Schengen, garante al momento dell’assenza di frontiere tra i paesi che vi aderiscono – è venuta ad annebbiare la vista, già compromessa, dei cittadini del Regno Unito.
E tale contesto internazionale fa da cornice ad una crisi economica in corso. Nella pubblicazione del Comitato delle Regioni intitolata Regions & Cities of Europe, l’austriaco Christian Buchmann afferma: “L’economia europea ha perso circa 300 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati dal 2008. Questo denaro è urgentemente necessario per sostenere l’innovazione e la produttività, aumentando così la competitività”.
La situazione è molto grave. Più la crisi economica non sarà domata rapidamente, più ci saranno rischi e problemi ed una crescente disperazione che finirà per far cadere il più convincente tra gli argomenti per scegliere l’Europa. Quello della pace, quello di evitare di tornare a scenari di violenze su larga scala.
Per quanto riguarda l’Italia, la situazione è critica.
E’ vero che se il Brexit dovesse concretizzarsi, l’uscita del Regno Unito non sarebbe immediata. Ci sarebbe un periodo di transizione per decidere le “regole di uscita”, che comporterebbero anche – immagino – la cessazione del versamento della quota parte dei fondi che il Regno Unito versa all’Unione Europea, ossia un contributo complessivo di circa 11 miliardi di euro.
A lungo termine, nella peggiore delle ipotesi, come Paese tra i più ricchi dell’Unione l’Italia dovrebbe contribuire a compensare le somme oggetto di mancato introito. L’Italia avrebbe da guadagnare da un punto di vista del prestigio? Avrebbe senso se fosse per l’assentarsi di un Paese che non aveva tutta questa grande assiduità e ripeto fuori dall’Euro?
Che cosa succederà se la Gran Bretagna deciderà di uscire?
Il Brexit è un gioco che non conviene e nel quale molti hanno da perdere. Dobbiamo togliere di mezzo tutte le scuse che impediscono di accettare l’Europa come baluardo del nostro futuro.
Ma fino a prova contraria, la Democrazia è il miglior sistema di governo che esiste oggi al mondo. Bisogna lasciar decidere le urne, tenendo bene in mente che la risposta a tutti questi problemi rimane quella di creare le condizioni della crescita economica, sia in Europa che nei paesi di provenienza dei migranti.
Voglio interpretare l’esito delle elezioni di Londra con Sadiq Khan Sindaco come possibile speranza ed un segnale contrario alle parole dell’ex Sindaco Boris Johnson che, nella foga di colpire il Premier Cameron ed il Presidente americano per la sua opposizione al Brexit, ha provocato la reazione dei cittadini londinesi.
Manca poco. Aspettiamo con ansia di sapere il verdetto di quello che sarà comunque un punto cardine nella lunga e drammatica Storia dell’Europa, da sempre caratterizzata da scelte azzardate di singoli che all’inizio sembrano sempre insignificanti ed inoffensive ma che purtroppo qualche volta non hanno sempre portato solo del bene con sé.