Ad una settimana esatta dal voto storico sul Brexit una prima cosa è certa: l’Europa vale ancora la pena di essere costruita. Anzi. A questo punto, elementi oggettivi dimostrano che dovrebbe contare sempre di più.

Partiamo dalla costatazione che gli stessi fautori dell’uscita dall’UE ora non hanno più fretta di attivare la procedura – che spetta allo Stato uscente – come previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona. E questo, in Italia, deve portare a farci delle domande. Ma quelli che ci vogliono trascinare fuori dall’Europa, sanno di che cosa parlano? Hanno un piano diverso in grado di funzionare? A quanto sembra, per il Regno Unito, più che opportunità, si stanno moltiplicando le difficoltà.

Tuttavia, prima di andare avanti nel ragionamento, bisogna togliere ogni dubbio ed evitare eventuali incomprensioni o polemiche circa la nostra posizione sulla riforma dell’Europa. Dobbiamo affermare con forza l’essenzialità, l’obbligatorietà, l’opportunità e il profondo bisogno di rivedere alcuni punti che riguardano l’Europa e il suo funzionamento. Era una necessità ben antecedente al quadro di oggi.

Certo è che bisogna ammettere che oggi abbiamo un motivo in più per avviare rapidamente il cambiamento.

Non dobbiamo neanche dimenticare che in casa nostra, in Italia, rimangono tante cose da fare. Per esempio, rimangono problemi legati alle lungaggini amministrative, il numero e la durata dei processi. Dobbiamo fare le riforme, comprese quella sulla Costituzione. Ormai, la democrazia italiana è solida e matura. Per questo motivo e in questo senso bisogna avviarci con coraggio verso la scelta di un “sì” convinto alla riforma costituzionale che sarà sottoposta al referendum di ottobre 2016.

La buona notizia del Brexit del 23 giugno 2016 è che lo scenario del 2008 non si è ripetuto, evitando una nuova catastrofe generale. Certo, le borse hanno sofferto. Al quinto giorno del Brexit, Giuliano Balestreri di Repubblica ci fa notare che “le borse hanno bruciato circa 4 mila miliardi di dollari americani”.

Ma va ripetuto, lo scenario della catastrofe del 2008 non si è verificato perché, tra i fattori che quella volta permisero di salvare il salvabile, c’era l’Euro. Oggi, è quella scelta di aver “messo insieme” le decisioni monetarie che ha sostenuto il sistema.

L’Europa è un fattore stabilizzante e non disgregante della nostra società. Questo è un fatto e non un’opinione, e oggi abbiamo due esempi per dimostrarlo concretamente: il rischio del collasso del 2008 e i risultati del voto sul Brexit del 2016.

L’analisi del voto dice che, esclusa la zona di metropolitana e i dintorni di Londra, il territorio inglese si è espresso per l’uscita. Poi hanno votato “restare nell’Unione” anche la Scozia, la parte più occidentale del Galles e l’Irlanda del Nord. L’analisi di dettaglio indica anche che le madri e i padri hanno votato guardando al loro passato, mentre i loro figli hanno votato guardando al loro futuro: una netta frattura generazionale che porta pentimenti tardivi e che purtroppo rischia di avere gravi conseguenze. Tuttavia, questa versione – gli anziani che hanno votato contro i giovani – viene contestata dall’ex-Presidente del Consiglio Enrico Letta che attribuisce invece la sconfitta “all’indifferenza”, visto che “tra gli elettori nella fascia 18-24 ha votato solo il 36%, tra quelli sopra i 65 anni ha votato l’83%”.

Il secondo elemento è costituito da una brutta notizia, che non fa onore né alla politica in generale né ai politici in particolare.

Dopo lo shock del voto sul Brexit, sta venendo fuori un festival straordinario di ironia, gaffe, bugie e confusione. Le differenze di vedute, pentimenti e ripensamenti stanno prendendo il sopravvento, delineando un periodo di estenuanti trattative, conciliazioni e forse anche di riconciliazioni.

Per l’ironia, citiamo questa incredibile storia. I giovani si organizzano ed alcune persone sfruttano una ingenua petizione prima del voto e depositata sul sito del Parlamento da William Oliver Healey un militante pro Brexit. Allo scattare delle 100.000 firme, la legge obbliga il parlamento ad aprire una discussione. A 5 giorni dal referendum, le firme raccolte – paradossalmente sulla base di una petizione di questo cittadino che l’aveva lanciata il 25 Marzo temendo che non fosse passata “l’uscita dall’Unione” – ha raggiunto quasi 3.950.000 di firme. Ad una settimana dal voto più di 4 milioni. Oltre all’ironia, ci si mette pure la sorte che vede l’Islanda – paese di “Vichinghi” di circa 300.000 anime – battere ed eliminare l’Inghilterra dai campionati Europei di Francia 2016. Ma questa, è un’altra storia.

Per quanto riguarda le gaffe, Donald Trump, il candidato alle elezioni presidenziali di Novembre 2016 negli Stati Uniti, proprietario di un club di golf in Scozia dove era in visita, commette un errore grave dicendo che i “britannici si sono ripresi il loro paese come stanno per fare gli americani”. Peccato che in quel momento si trovava in Scozia e che gli scozzesi siano proprio amareggiati dal dover uscire dall’Unione per volontà e motivazioni che abitano altrove.

In effetti, il Governo scozzese chiede un nuovo referendum per uscire dal Regno Unito che non è e non sarà semplice ottenere. Legami storici e territoriali, il peso della monarchia che si vedrebbe irrimediabilmente ridimensionata nonché l’organizzazione dell’esercito in Gran Bretagna rendono questo esito della separazione dal Regno Unito poco probabile. Visti i precedenti, forse per questo motivo il Governo Scozzese di Nicola Sturgeon chiede negoziati immediati con l’UE per restare – almeno – nel mercato unico. Anche i fautori dell’uscita hanno finalmente capito che cosa significa il mercato unico e gli egoismi stanno finalmente lasciando spazio all’ascolto delle piccole e medie imprese del Regno Unito. Molti cominciano a capire – ma non tutti lo ammettono ancora – che per loro l’Europa appariva sempre come un problema ma mai come una soluzione.

Per le bugie, ci pensa Nigel Farage – maggiore fautore del Brexit – che prende le distanze dalla promessa fatta sul “campo dell’uscita dall’UE” riferita alla possibilità di indirizzare al sistema sanitario le risorse versate a Bruxelles. Oggi, dopo il Brexit, dice che non è in grado di garantirlo e parla di “errore di comunicazione”. Agghiacciante! L’ex ministro del lavoro del Governo conservatore di David Cameron passato nel campo del Brexit afferma che quello che era scritto a caratteri cubitali su pullman che hanno girato il paese erano solo “una serie di possibilità”. Così anche l’Eurodeputato conservatore Daniel Hannan che aveva dichiarato di voler riprendere il controllo dell’immigrazione con il Brexit afferma oggi che “vogliamo solo un potere di controllo” e che l’immigrazione proveniente dall’Unione Europea non potrà essere azzerata.

Per la confusione, citiamo il Sindaco della città francese di Beziers. Robert Ménard dichiara che dopo il Brexit, “l’inglese non ha più nessuna legittimità a Bruxelles”. E’ prontamente appoggiato dal candidato alle elezioni presidenziali in Francia nel 2017 Jean-Luc Mélenchon il quale afferma che “l’inglese non può più essere la terza lingua di lavoro del Parlamento Europeo”. Peccato che nell’UE ci siano ancora l’Irlanda – con capitale Dublino – paese membro e Malta, Paesi che usano l’inglese come lingue ufficiali. Nel Regno Unito, primo membro del Governo a farlo, il ministro conservatore della sanità Jeremy Hunt chiede un secondo referendum in caso di intesa con l’UE sulle frontiere.

Per le differenza di vedute, abbiamo una serie infinite di esempi. La Francia di François Hollande, che ha le elezioni presidenziali nel 2017 e nelle quali il Front National anti europeo di Marine Le Pen ha ottime quotazioni, chiede un’uscita immediata del Regno Unito. Forse per rivalità storiche, ma molto più per evitare contagi che possono aprire la strada su un “Frexit”. La Germania di Angela Merkel è più cauta, non soltanto per evitare di essere accusata continuamente di egemonia, ma anche perché la complessità della questione richiede equilibrio. Angela Merkel avverte contro gli “atteggiamenti punitivi” nei confronti del Regno Unito. Anche il Presidente del Gruppo S&D Gianni Pittella annuncia che il Parlamento Europeo chiederà l’uscita immediata del Regno Unito. Il Presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker, vorrebbe ricevere la lettere di addio al più presto.

Ma ricordiamo che secondo l’Articolo 50 del TUE – Trattato di Lisbona, però, la mossa di uscita spetta all’iniziativa del Paese e non esistono mezzi per costringere nessun paese a farlo a parte la pressione politica. I termini di 2 anni indicati – in caso di mancato accordo diverso – decorrono dal momento della presentazione della domanda di uscita. A Bruxelles, stanno ancora aspettando. E se a Bruxelles qualcuno sta attendendo che la mossa della richiesta ufficiale di uscita la faccia David Cameron, allora dimentichiamocelo. O comunque non sarà per subito.

Per i pentimenti e i ripensamenti, abbiamo Boris Johnson – ex sindaco di Londra che non nasconde di voler diventare il Primo Ministro del Regno Unito – che adesso invece tentenna. Non vuole più avviare immediatamente la procedura di uscita e dice che il Governo deve prendere tutto il tempo che ci vuole prima di lanciare la procedura di uscita. L’ultimo? David Cameron che è alla base di tutto questo marasma. Aveva promesso che non si sarebbe dimesso indipendentemente dall’esito del referendum. Ha rassegnato le dimissioni – anche se “diluite nel tempo” fino ad Ottobre 2016 – senza neanche aspettare una settimana dal voto.

Che cosa succede in Italia? Matteo Salvini della Lega Nord chiede un referendum anche per l’Italia.

Il Governo italiano invece? Guadagna punti e influenza a livello europeo e internazionale con il Presidente del Consiglio Matteo Renzi che è volato a Parigi per incontrare il presidente francese. Era presente e ha partecipato ad un incontro Francia-Germania a Berlino, al quale non era inizialmente prevista la sua presenza. Questo segna una nuova fase di responsabilità per le autorità italiane che non dovranno più dimenticare di difendere gli interessi dell’Italia e di far pesare la nostra voce nel processo di “nuovo impulso” che si vuole dare all’Unione Europea. Il Brexit è la prova che fuggire dai problemi o rifiutare di affrontarli non impedisce che le conseguenze ci cadono addosso.

La Cancelliera Merkel ha insistito su “difesa, crescita, occupazione e competitività.” Il Presidente francese su “sicurezza, la protezione delle frontiere, la lotta al terrorismo, la capacità di essere in grado di difenderci insieme”, così come “crescita e occupazione”, con il sostegno agli investimenti” e aiutare i giovani. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, dal canto suo, ha Indicato che c’era “un bisogno molto chiaro e forte di rimodellare il progetto europeo per gli anni a venire”.

Secondo una dichiarazione congiunta rilasciata dai tre leader, i paesi della zona euro devono raggiungere una maggiore convergenza “anche nei campi sociali e fiscali”.

Il primo ministro polacco Beata Szydlo – che con il Brexit perde un alleato contrario ad una maggiore integrazione – ha ritenuto che il duo franco-tedesco “non è più in grado di fare qualcosa di nuovo per l’UE”. Ricordiamo che la Polonia è per una Europa “unione di nazioni libere e di stati uguali”. Ha preannunciato che la Polonia ha intenzione di fare delle proposte insieme ad un gruppo imprecisato di paesi.

Forse intendeva il “Gruppo di Visegrád” (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), del quale fa parte il governo slovacco – unico membro del gruppo a far parte della zona Euro che prenderà dal 1 ° luglio 2016, la Presidenza di turno dell’UE?

In questi momenti concitati, la situazione sta evolvendo molto rapidamente e bisogna rimanere concentrati davanti al notevole flusso di informazioni in arrivo.

Comincia una nuova era? Aspettiamo ancora che si chiarisca meglio la situazione ed altri elementi per capire e decidere. Ma una cosa è sicura e certa. L’Italia rimane protagonista nel disegno di un’Europa unita e per la protezione dei sui interessi, di quelli delle sue imprese e attenta a quelli degli altri partner europei.

L’Italia deve rimanere ben ancorata all’interno di un sistema da cambiare, da migliorare.

Ma al momento con tutti i suoi difetti da correggere nei tempi più brevi possibili l’Europa – come la democrazia – rimane il miglior sistema a nostra disposizione per garantire la convivenza pacifica tra i popoli, la lotta efficace contro i conflitti nel mondo; anche per contare in un contesto di forte regionalizzazione di gruppi economici nel mondo e andare verso la prosperità economica di quello che rimane ancora un blocco che conta circa 500 milioni di abitanti tra i più ricchi e prosperi al mondo.

Ci sono delle speranze? Certamente. L’accorato appello dell’europarlamentare scozzese Alyn Smith che dice ai suo colleghi “la Scozia non vi ha deluso, non ci abbandonate adesso” è un messaggio molto chiaro.

Ci sono delle soluzioni? Sicuramente. Quando fallì la CED (Comunità Europea della Difesa) nel 1955, fu la “Conferenza di Messina” a rimettere il sogno e la necessità dell’Europa sui binari per portare finalmente alla firma dei Trattati di Roma nel 1957.

L’Italia ha l’opportunità, anzi il dovere di riprendere – in questo momento di estrema difficoltà – il suo ruolo tradizionale di “pompiere” nei momenti difficili e di iniziatore dei grandi cammini, come oggi ci suggerisce questa situazione.

E ci dobbiamo anche ricordare che tutto questo ha degli onori, ma anche degli oneri che ci dobbiamo accollare, a partire dalla partecipazione seria all’analisi oggettiva della situazione e nel prendere decisioni a beneficio delle future generazioni.

Saprà l’Europa ritrovare, su un programma di investimenti e sicurezza fondato sulla fiducia reciproca, una ragione per continuare ad esistere? “La risposta è oggi in mano agli stati membri e in particolare Francia, Italia e Germania”, come dichiarato autorevolmente dal Ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda che prosegue: “Tra i possibili risvolti positivi di questa crisi può esservi la spinta verso un’assunzione di responsabilità. Il gioco oramai ventennale per cui gli Stati spostano tutte le responsabilità sulla Commissione e poi ne paralizzano l’azione è finito con Brexit, in un modo o nell’altro”.

Intanto, la lunga storia del Brexit continua…

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