Quando Nigel Farage, leader dell’Ukip (UK Indipendence Party), diede le sue dimissioni il 4 luglio 2016, coperto dal rumore vittorioso degli euroscettici, questa scelta avrebbe dovuto insospettire tutti. C’era qualcosa che non andava.
Adesso possiamo tentare di affermare che – false promesse e falsi numeri a parte – forse non era tanto per coerenza che il leader dello sfascio lasciava, ma perché era uno dei pochi e meglio degli altri ad essere perfettamente consapevole di che cosa la Gran Bretagna avrebbe abbandonato, senza sapere dove la si voleva portare.
Non era la scelta di un “vincitore” che lasciava per “coerenza”, anche perché la cosa strana era che il “vincitore” non avrebbe invece rinunciato al proprio stipendio che veniva dall’Europa.
Ma oramai, quella è la Storia. Mentre la situazione dalla quale ci dobbiamo tutti districare è questa.
Attivando la procedura Brexit per uscire dall’UE nel marzo del 2017, come più volte ricordato, il governo britannico non aveva altro piano che quello di “scegliere la strada dell’Impero”.
Intenti nobili e legittimi, ma che dimostrano come i fautori del “Si” all’uscita non avevano la minima idea delle conseguenze e del prezzo da pagare per ottenere e definire una nuova relazione con l’UE.
Vale qui la pena ricordare – ancora una volta a chi piace dimenticarlo – che l’UE è stata fondata proprio sul principio che i conflitti tra paesi europei hanno rappresentato la causa principale dei problemi tra queste molteplici entità e che la collaborazione era l’unica via da percorrere per un futuro di “pace e prosperità”.
Qualcuno in giro per l’Europa – e anche in Italia – sembra averlo dimenticato.
Sarà stato l’avvento del populismo in Europa ad aver causato tutti questi errori, ingenuità e qualche volta anche bugie?
Mettere l’accento sullo stop all’ingresso di altri cittadini europei sul proprio territorio è stato un errore. I britannici che vivono altrove sono corsi a chiedere le cittadinanze degli altri paesi nei quali vivono, mentre la numerosa ed operosa comunità polacca nel Regno Unito subiva violenze gratuite.
Ricordiamo ancora che dopo che la Scozia aveva votato il 18 settembre 2014 per un referendum, il cui risultato la manteneva membro della Gran Bretagna restando quindi nell’UE, si è trovata beffata con l’uscita dall’UE.
Senza contare che abbiamo dovuto aspettare che ci fosse il rischio di uscire per capire che anche conflitti interni come quello irlandese – risolti attraverso l’esistenza stessa dell’UE – correvano un pericolo di recrudescenza.
Infine, c’è questo rompicapo dell’uscita dal mercato unico e dall’unione doganale con la pretesa di mantenere un libero accesso al mercato europeo.
Purtroppo, non è mai stato spiegato ai cittadini che il ritorno alla completa sovranità avrebbe avuto dei pesanti costi per l’economia.
E’ questo il meccanismo che sembra verificarsi esattamente in Italia. Specialmente quando si fa fatica a capire o a far capire che far innalzare il debito in maniera drammatica non rappresenta una misura portatrice di cose positive per le future generazioni.
Tuttavia, i 27 paesi – compresi quelli che criticano apertamente l’UE – hanno respinto in maniera unanime queste pretese.
Invece del successo garantito a livello planetario, come veniva rappresentato, Brexit è e rimane – al contrario – una minaccia alla prosperità di entrambi.
Non solo una minaccia per i britannici, ma per tutti noi, gli altri europei. Purtroppo, abbiamo dimenticato presto che nella campagna Pro Brexit, che ha dato luogo al referendum del 23 giugno 2016, non si è mai trattato di Europa.
Ci sono stati degli elementi importanti che non dobbiamo dimenticare.
Al voto di questo referendum erano ammessi cittadini del Commonwealth – nel rispetto delle norme britanniche certamente – ma non i cittadini dell’UE che pure erano oggetto del voto.
Si è trattato della visione di alcune “elite” del campo conservatore: da una parte avevano l’obiettivo di mantenere la loro leadership all’interno del partito, come David Cameron, ignorando i rischi ai quali esponevano la collettività, così come quelli che per l’Italia gridano all’uscita dalla moneta unica senza uscire dall’UE.
Poi, dall’altra parte, ci sono stati – e ci sono ancora – quelli che facevano il tifo per sciogliere i “lacci e lacciuoli” da parte di un’Europa che impediva di fatto l’emergere di quello che è stato definito la «Global Britain» in una versione aggiornata del XXI secolo.
Con la Gran Bretagna libera, queste “elite” minoritarie pensavano di rendere un grande servizio alla nazione, in quanto quest’ultima avrebbe potuto conquistare il mondo.
Ma purtroppo per queste “elite”, la realtà dice tutt’altra cosa.
Le forze armate britanniche continuano a cercare e a partecipare a collaborazioni con altre forze armate europee e più lontane ancora, come quelle del Giappone, proprio perché capiscono perfettamente che alle minacce e alle sfide odierne non sono in grado di rispondere da sole.
Ma come abbiamo già accennato sopra, il dibattito durante la campagna Brexit non ha mai riguardato né l’Europa né le relazioni tra Londra e l’UE in caso di uscita.
Questa è la situazione – a volte imbarazzante – con cui si confrontano i britannici e nella quale ci troviamo oggi. Dobbiamo ridare la parola agli elettori?
Più imbarazzante ancora è la situazione dei cittadini in questa situazione nella quale ancora prima di Brexit effettivo – tra meno di 100 giorni – tutto questo ha già avuto un impatto dannoso sul loro potere di acquisto.
Una delle strade – per alcuni forse l’unica – per uscire da questa impasse è quella di ripetere il referendum. Ma il rischio è enorme. E ci sono delle domande legittime che dobbiamo porci.
Perché il rischio di infiltrazioni da parte di pescatori in acque torbide è altissimo.
Il rischio di violenza politica non è nuovo. Non è né da escludere né da sottovalutare.
Senza voler fare gli uccelli del malaugurio, un banale confronto in piazza o dopo una partita di calcio tra i pro e i contro uscita dell’UE forse potrebbe presto trasformarsi in una protesta di massa paragonabile a quella dei “gilet gialli” in Francia?
Non bisogna sottovalutare la situazione perché stiamo parlando della stabilità di una democrazia britannica – seppur in presenza di una monarchia – che regge da secoli, nonché di rischi di integrità del suo territorio (Scozia) e di eventuali ritorni a tensioni in Irlanda del Nord.
Forse la strada di un nuovo referendum si sta facendo largo? In democrazia deve decidere l’elettore e comincia ad essere ora di richiamare i nostri per la campagna elettorale per questa Europa che non ci dobbiamo far scippare da uno sciacallaggio politico che sta mettendo a rischio “pace e prosperità”.
E’ per un sentimento di un’Europa come questo che il giovane italiano Antonio Megalizzi si impegnava politicamente. Questa vittima dell’attentato a Strasburgo voleva solo dare e ha dato voce in Europa. E così deve rimanere.