L’Europa, nata dal dopoguerra, non ha mai conosciuto un periodo così lungo di pace e prosperità. Con grande delusione e buona pace per i suoi detrattori. Possiamo dire che è perfetta? Certamente no.

Ma oggi è un’Unione Europea che cerca di adattarsi al mondo circostante, specialmente dalla caduta del Muro di Berlino – di cui il 9 novembre ricorre il trentesimo anniversario – dopo che è sparito il blocco antagonista dei paesi comunisti.


L’Europa nasce nel 1957 senza la Gran Bretagna la quale con Brexit – che si annuncia più complicata del previsto – ha scelto di “ri-diventare Impero”.

L’Europa dei paesi fondatori si fa senza paesi come Spagna, Grecia e Portogallo, ancora nella stretta di sistemi dittatoriali che finiranno la loro forza di traino alla fine degli anni Ottanta. Il populismo odierno non ci deve far dimenticare questi eventi storici.


L’Europa, quella nata dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, è l’Europa dei vinti come viene autorevolmente spiegato da anni. L’Europa, rinata con i soldi degli Stati Uniti d’America con il piano Marshall, ha messo da parte i sospetti e gli odi tra francesi e tedeschi. Decise di limitare le sovranità nazionali che – in ultima istanza – erano state le vere responsabili dei numerosi campi di battaglia disseminati sul Continente.


L’Europa di oggi è cambiata molto?

Sotto certi aspetti no. Come il fatto che ha continuato ad unire vecchi nemici (quelli del blocco orientale comunista) e ad elargire fondi di sviluppo per zone depresse – come in precedenza ha fatto per Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia – diventati oggi paesi con un benessere diffuso.

Ma l’Europa di oggi è anche cambiata.

Sotto l’aspetto del suo peso economico, oggi in quanto Europa, abbiamo un confine con paesi emergenti come il Brasile e con la Russia allo stesso tempo, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Siamo il primo mercato al mondo inteso come popolazione (circa 500 milioni di abitanti nel 2019, inclusa la Gran Bretagna).


L’Europa politica, invece, fa una gran fatica a nascere, per via della forma federale di molti stati e di conflitti di interessi nazionali opposti, ancora troppo forti per permettere di parlare con una voce unica. 

Ma saranno le questioni e le problematiche mondiali – come la globalizzazione, i cambiamenti climatici, il terrorismo di stampo religioso – che ci porteranno a costruirla anche sotto questo aspetto.


In tutto questo, quali sono le strategie e le attività da compiere in un contesto nel quale dobbiamo curare un doppio interesse marchigiano? Da una parte, abbiamo bisogno di preservare il nostro interesse a mantenere e migliorare la nostra posizione: nell’anno 2018, il 59,9% delle esportazioni marchigiane sono andate verso i paesi dell’UE-28 (l’Europa come continente vede l’export marchigiano volare al 72,7%).

Dall’altra parte, le Marche si muovono in un contesto di profonda crisi sociale e politica italiana, ma con un sistema economico ancora competitivo a livello nazionale, visto che si continua a produrre più di quanto si vende e con una bilancia commerciale positiva.


L’Europa ha una chance per diventare un protagonista del futuro? La risposta è sì. 

Esiste un capitale umano incredibile e straordinario allo stesso tempo, sul quale puntare in maniera massiccia e intelligente. Abbiamo delle imprese innovative straordinarie e creative. Su queste bisogna assolutamente investire. Abbiamo un parco di ricercatori e di specialisti della ricerca/sviluppo altamente competitivo nel mondo, ma che necessita di sostegno finanziario ed organizzativo per creare massa critica capace di contrastare le altre aree di sviluppo nel mondo (India e Cina per esempio).


Le Marche devono rimanere europee ed europeiste, non solo per un fatto storico ma per un interesse strategico. Per questo motivo ci dobbiamo organizzare per massimizzare l’utilizzo dei fondi europei, in una Italia che è uno dei maggiori contribuenti. 


L’Europa dei vinti” è ormai il nostro tetto che abbiamo trasformato in una delle zone più pacifiche e prospere al mondo. In questo momento storico, dobbiamo anche affrontare la sfida di una “Europa limes” che conosce importanti pressioni migratorie. Ma nelle Marche è nostro dovere ricordare tutti i giorni che l’Europa può essere anche “Europa soglia”.

Lo dobbiamo comprendere:

  • come amministratori pubblici
  • come operai che producono per spedire in Europa
  • come anziani che hanno vissuto la fame e la guerra alla ricerca di una vita sana e tranquilla
  • come imprenditori alla ricerca di nuove opportunità
  • come giovani che hanno conosciuto confini larghi e stabilità monetaria. 

Questa Europa potrebbe essere un segnale positivo per il futuro di noi tutti, una “soglia” che possiamo e che dobbiamo avere il coraggio di varcare.

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