L’elezione di Emmanuel Macron non ci deve far dimenticare una realtà difficile e dolorosa. Dodici milioni di francesi hanno votato per l’estrema destra, altri tredici milioni risultano tra astenuti e schede bianche. Insomma, oltre la metà non ha votato per il nuovo Presidente della Francia. Dobbiamo comunque essere felici che l’estrema destra e l’antieuropeismo – in un contesto economico, internazionale e della sicurezza così difficile – siano stati marginalizzati, non solo in Francia, ma anche in Austria, in Olanda e, per il momento, in tutte le elezioni regionali in Germania.
Detto questo, anche la Francia ha le sue difficoltà. Mentre gridiamo tutti allo scandalo dell’imponente saldo positivo dell’export della Germania, basta guardare al commercio estero dei francesi. Nel 2015, la Francia ha registrato un saldo negativo export che è pari al saldo – invece – positivo dell’Italia. Siamo parlando di meno 46 miliardi per i transalpini e di oltre 45 miliardi per noi.
Questa è un’informazione importante per il disfattismo che fa fatica ad accettare che l’Italia sia un grande paese – seconda potenza industriale europea dopo la Germania – continuando a paragonare il nostro paese con casi di economie industriali deboli o inesistenti e paesi con popolazioni che rappresentano poco più di quella della Lombardia.
L’attacco terroristico di Manchester ci ricorda che tra i motivi che devono spingere a continuare a contare sull’Europa, c’è la questione della sicurezza contro il terrorismo internazionale, il controllo delle migrazioni internazionali e il grande banditismo transfrontaliero che organizza rapine e colpi superando le frontiere.
Il mondo non è completamente nuovo solo perché c’è stato l’arrivo di Emmanuel Macron all’Eliseo. Negli ultimi giorni si sono verificati altri importanti eventi che ci riguardano o che ci colpiscono da vicino.
Come primo esempio, possiamo citare il caso del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla vera prova di governo, nella quale ha già ammesso che non si immaginava – pur avvertito pubblicamente dal presidente uscente – che il suo compito sarebbe stato così difficile. In effetti, nella sua prima uscita ufficiale, si è trovato a ritrattare su molte cose dette in campagna elettorale.
Come secondo esempio, possiamo citare il referendum in Turchia che ha culminato con un cambio totale della dinamica politica nazionale e regionale trasformando il paese da una democrazia parlamentare in un regime presidenziale. Prima della riforma della legge fondamentale, cumulare le funzioni di capo di un partito e quella di Capo dello Stato era incostituzionale. Oggi è realtà per il Presidente Recep Tayyip Erdoğan, con tutte le conseguenze del caso. Il contenimento dei migranti dietro compenso della Germania continua, ma dall’altra parte, le tensioni della Cancelliera Angela Merkel con lo stesso e le ingerenze turche nella politica interna della Germania sembrano non cessare.
Il terzo esempio da citare è dato dalle elezioni che si sono svolte in Iran, dove i moderati del Presidente Hassan Rouhani, che hanno negoziato la sospensione delle sanzioni con la precedente amministrazione americana, sono stati ricondotti al potere, sancendo che l’Iran – nonostante le sue rivalità con l’Arabia Saudita e la dichiarazione del Presidente Trump che ha definito il paese in un “nuovo asse del Male – vuole continuare imperterrito sulla sua via di reingresso nella comunità internazionale.
Il quarto esempio è l’Ungheria nella quale un movimento di protesta pro europeo nato ad aprile 2017 organizza manifestazioni contro il governo, le decisioni e i metodi del Premier Viktor Orban.
Questo è il chiaro segno che il populismo ha i suoi limiti, che non è invincibile come qualcuno avrà potuto pensare in questi anni di crisi. Questo dimostra che le popolazioni europee stanno progressivamente cominciando a capire che serrare i ranghi, stare insieme, è il miglior modo per affrontare la tempesta della crisi e che la salvezza si trova non fuori, ma dentro l’Europa.
Questo mondo completamente nuovo davanti al quale ci ha portato la crisi del 2008 – che il prossimo anno compirà ben 10 anni – ha fatto emergere molte realtà delle quali poche erano allora conosciute. Nel frattempo, alcune sfide sono venute pesantemente a galla, mentre molte erano già conosciute ma non abbiamo avuto il coraggio o la voglia di affrontarle.
A tutte queste difficoltà si è aggiunto il terremoto che ha rimesso in discussione lo sviluppo territoriale marchigiano, ma che ci ha anche forzato a guardare in faccia la nostra realtà.
In questo nuovo mondo, le nostre certezze non esistono più. Ad esempio, la verità è diventata del tutto “relativa” se non aleatoria. In più, la democrazia rappresentativa è entrata in una crisi importante dalla quale per uscirne non basteranno riforme e pacche sulle spalle.
La nostra società occidentale è stata e continua ad essere traumatizzata prima dal terrorismo jihadista, poi dal populismo che ha cercato di raccogliere il consenso da parte di chi protestava, ma l’arrivo dei populisti al potere ovunque nel mondo ha dimostrato che governare non è facile. Infine, il pericolo antico dell’estrema destra sale anche se finora è stato abbastanza contenuto.
Infine il partito start up di Emmanuel Macron non ci deve neanche far dimenticare che siamo anche in tempi di una rivoluzione digitale, tecnologica che non smette ogni giorno di avere un impatto pesante sulle nostre vite presenti e future.
Ed è proprio in questo spiraglio tra crisi economica, complessità delle questioni e dei contesti internazionali, rischi per la sicurezza dei paesi europei, nuove opportunità tecniche e tecnologiche, che il PD Marche – con un punto fermo sull’Europa – si deve inserire.
Questo affinché le rivoluzioni non le facciano sempre solo in Francia, e che dal nostro territorio possa ripartire uno dei modelli del rinascimento del sistema industriale, creativo e imprenditoriale dell’Italia.