A quasi sessanta anni dalla sua nascita, l’Europa è entrata in una delle crisi più profonde che abbia mai conosciuto. Dall’”Uno per tutti e Tutti per uno” – che sembra ancora reggere solo all’interno della NATO grazie ad una minaccia percepita, ma non ancora effettiva, esercitata dalla Russia – nell’Unione Europea, regnano (di nuovo), invece, le vecchie mosse egoistiche e in ordine sparso.
Le giustificazioni invocate dai vari paesi per allentare il loro spirito europeo sono molteplici. A partire dal Regno Unito, con le false speranze promesse ad una minoranza di inglesi dai leader del NO al referendum. Promesse che hanno portato alla Brexit. Referendum disertato dai giovani inglesi e al quale gli Scozzesi hanno votato in massa per restare. Conseguenza? Adesso bisogna evitare di far implodere il Regno Unito.
Poi ci sono i Paesi dell’Est che, dalla caduta del Muro di Berlino, hanno oggettivamente beneficiato dell’Europa, della sua pace e delle sue capacità di evitare o fermare le guerre. Molti di questi hanno goduto dei fondi strutturali europei che, in poco tempo, li hanno trasformati in zone di benessere e di sviluppo economico, spesso a discapito delle zone povere di altri paesi europei del Mediterraneo, membri peraltro da più tempo. In realtà, molti di loro avrebbero avuto bisogno di altro aiuto economico. Invece, la crisi del 2008 li ha trovati ancora deboli economicamente, con assetti organizzativi politici (Sud Italia), economici (Spagna e Portogallo) e militari (Grecia) ancora legati alla guerra fredda. Conseguenza? Hanno finito per annullare gran parte dei progressi fatti grazie ai fondi strutturali.
Oggi, alcuni di questi paesi dell’Est hanno una popolazione importante di emigrati, liberi di lavorare e di vivere ovunque sul pianeta grazie al fatto di essere “europei”, e che contribuiscono, con i loro guadagni, allo sviluppo dei loro paesi di origine. Si parla di circa 800.000 polacchi solo nel Regno Unito.
Oggi alcuni di questi paesi vogliono proteggere non ben precisati “valori” che ledono, per esempio, i diritti acquisiti quasi ovunque dalle donne. Alcuni altri vogliono farsi paladini della “famiglia” dimenticando l’evoluzione oggettiva che c’è stata su questo tema, ovunque, a livello planetario e addirittura anche nell’ambito delle fedi. Altri ancora vogliono proteggere le loro cosiddette “identità”, ma che sembrano spingere piuttosto verso la difesa di una “purezza della razza”, con forti limitazioni dei diritti individuali e collettivi – basilari in una democrazia – dimenticando fino a dove queste idee, concetti e limitazioni ci hanno già portato in passato.
Ma la cosa peggiore è che tutti sembriamo aver perso la bussola. I giovani non votano più. Questo significa che non sembrano essere coscienti che tale diritto, per alcune fasce della popolazione, non è sempre stato scontato. Ma si dice che questo sia l’effetto della fine delle ideologie (sinistra/destra) e colpa delle classi politiche e dei partiti. Sarà tutto vero? Ciò significa che molti paesi e cittadini continuano ad ignorare oppure che vogliono – oggi – deliberatamente ignorare i benefici dei trasferimenti di fondi dai paesi più avanzati verso quelli che avevano più bisogno. Significa che non vogliono riconoscere che c’è stata apertura verso il diverso quando dall’Est i migranti fuggivano verso quello che era l’Occidente per trovare lavoro e protezione dai conflitti. Significa che non si riconosce che programmi come Erasmus e la libera circolazione delle persone abbiano portato ad una conoscenza dell’altro e di luoghi con la conseguenza che oggi, ad esempio, gli italiani vogliono un paese con un’amministrazione pubblica più digitalizzata, come in Germania, perché lo hanno appunto visto e sperimentato altrove. Oppure che gli inglesi si sono finalmente convinti a voler adottare la dieta mediterranea nelle scuole, perché esiste un problema grave di obesità e di diabete in età giovanile.
La realtà è che un responsabile per tutto questo c’è. Si tratta della crisi economica. È quella che ci taglia l’erba sotto i piedi. È quella che ci mette in ansia per la paura di perdere un benessere accumulato nel tempo, raggiunto con enormi sacrifici. La paura di vedere sfumare gli ultimi vantaggi di uno Stato Sociale del quale vediamo sgretolarsi progressivamente i benefici. Eppure, quando si propongono alcune riforme – improvvisamente – cambiare si rivela difficile o addirittura impossibile e tornano immediatamente quegli schieramenti (destra/sinistra) che, si diceva, non esistono più.
Ma noi che crediamo nell’Europa – come persone, regione e paese – dobbiamo lasciare fuori ogni speranza? No. Anche perché ci aspettano sfide che non si possono affrontare con leggerezza e in ordine sparso. L’attuale offensiva armata in Iraq porterà altre problematiche, ma intanto prendiamo nota di queste.
Lotta al terrorismo transnazionale fuori e in casa di tutti i paesi europei, conflitti armati aperti o sommersi fra stati (Russia e Ucraina, Israele e Palestina), insicurezza risultante da stati deboli (Libia) o in stato di disintegrazione (Somalia), corsa internazionale agli armamenti, minaccia dell’uso delle armi di distruzione di massa e minacce ai sistemi di informazione e di comunicazione richiederanno di affrontare i problemi in maniera comune anche mettendo insieme o coordinando i nostri singoli mezzi e capacità militari. In più, la minaccia costituita dai cambiamenti climatici, la questione delle migrazioni fuori controllo dovute a conflitti armati o a stati di povertà diffusa nei paesi meno avanzati, i rischi legati alle epidemie e alle pandemie richiedono un cambio di rotta nel modo in cui abbiamo fatto le cose fino ad oggi, sia come singoli paesi, sia come organizzazioni.
Infine, per quanto riguarda l’Italia, il problema della crescita economica ce lo portiamo dietro da molto prima della fine delle ideologie, della crisi del 2008, nonché della crisi dei partiti e della classe politica. E non ci sarà crescita economica per noi se guardiamo fuori dal sistema del mercato unico e da un garante di stabilità come la moneta unica. Per continuare ad evolvere e a fare uscire il nostro mezzogiorno dalla crisi, abbiamo bisogno della libera circolazione dei cervelli anche per trainare fattori importanti come l’innovazione e la tecnologia. Questo sarà indispensabile affinché l’Italia rimanga un attore politico ed economico rilevante nel XXI secolo.