Dobbiamo prendere atto che l’Euro è una moneta che crea una controversia diffusa.

Ai suoi critici ed avversari, vogliamo ricordare che i sostenitori dell’Europa hanno provato di tutto per dare a questa moneta quanto la si accusa di non avere, cioè un garante di ultima istanza.

Al momento, il ruolo di prestatore di ultima istanza è condiviso dalla BCE e dalle 19 banche centrali nazionali dell’area euro.

Nel 2001, in pieno svolgimento della drammatica crisi mondiale dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, il Consiglio europeo, riunitosi in Belgio il 14 e 15 dicembre, constatando che l’UE era giunta ad una svolta decisiva della sua esistenza, convocò la Convenzione sul futuro dell’Europa.

Così, i lavori della Convenzione sono culminati nell’elaborazione di quello che fu denominato “progetto di trattato che adotta una Costituzione per l’Europa”. Purtroppo, le bocciature di questo piano da parte di alcuni paesi hanno sospeso il progetto che avrebbe portato alla Costituzione Europea e, di conseguenza, ad un maggior “sostegno” alla moneta.

Questa è acqua passata.

Poi ci fu la crisi del 2008 arrivata dagli Stati Uniti. Le aziende che avevano scelto “il mondo come il loro mercato” hanno continuato ad avere ottimi risultati, ed un paese come la Germania – che ha accettato di cedere sul marco tedesco – è riuscito a mantenere competitività e leadership mondiale come terzo paese esportatore al mondo.

Oggi siamo nel 2020 e di fronte ad un momento mai così difficile: si combatte un nemico invisibile (il virus SARS-CoV-2) che, oltre ad aver causato innumerevoli morti provocati dalla malattia Covid19, sta per fermare quasi completamente la nostra economia.

In questa situazione, ci dobbiamo ricordare che l’Europa è la nostra salvezza e non deve diventare la nostra seconda fossa.

Oltre alla moneta, ci sono stati altri elementi di discordia, come il patto di stabilità.

Sì. Esattamente quel patto che – in tempi remoti e non sospetti – Romano Prodi ebbe a definire come “patto di stupidità”, dimostrando che il problema era conosciuto già dall’inizio. Quanto avremmo bisogno ancora oggi di uomini così lungimiranti per l’immagine mondiale del nostro paese e con il coraggio di dire quello che non va in Europa pur restando convinti europeisti?

Ora, con i danni provocati da Covid19 nel mondo, la Commissione Europea ha formalizzato la proposta di attivare la clausola generale di salvaguardia. Questa dovrebbe consentire agli stati di sospendere le prescrizioni del Patto di stabilità (vincoli su deficit e debito pubblico).

In termini concreti, questo consentirà ai governi nazionali di pompare letteralmente denaro nell’economia.

Pertanto, ci saranno nuove regole e meno rigide per gli aiuti di stato ed un alleggerimento delle regole di bilancio (regole europee sulla disciplina fiscale e di bilancio, operanti dal 1997 e rafforzate dal Fiscal compact dopo la crisi dei debiti sovrani del 2009).

Nelle Marche, dobbiamo essere pronti a gestire questa situazione in maniera egregia, come fu fatto per il terremoto del 1997, ma ciò significa che dobbiamo avere un piano chiaro su quello che vogliamo raggiungere.

Proteggere il nostro primato imprenditoriale, lanciare in maniera decisa l’economia circolare per l’ambiente marchigiano, stimolare il mercato interno e ricostruirci piano piano una competitività dei nostri prodotti a livello internazionale – puntando più sui margini che sui volumi – in attesa che il mondo ricominci a girare come o più di prima. Dobbiamo prepararci ad ogni eventualità.

Poi, c’è pure la polemica sul vincolo del pareggio di bilancio inserito nella costituzione. Nel mese di marzo 2020, la Germania campione di export lo ha sospeso ed il Ministro dell’economia Peter Altmaier ha parlato di “possibilità di un sostegno statale temporaneo e limitato, così come di partecipazioni e acquisizioni”.

Questo significa molto per l’Italia, soprattutto che il partenariato pubblico-privato diventa una leva strategica che dobbiamo utilizzare, in particolare a livello regionale.

Non dimentichiamo il Trattato di Schengen sotto pressione anche nei tempi più difficili della crisi migratoria e sospeso adesso con la malattia Covid19. Non dimentichiamo che l’Europa resta la destinazione numero uno dell’export marchigiano.

Detto ciò, siamo proprio sicuri che tutti i nostri problemi interni siano dovuti alle migrazioni e quelli europei all’Euro?

Facciamoci queste domande in tutta onestà e coscienza.

Il progetto europeo – lanciato sulle ceneri delle città distrutte dalle bombe, sui prestiti del Piano Marshall e sulla voglia dei cittadini di superare l’odio fratricida – era partito in sordina e con poche ambizioni. L’Euro è un fattore che favorisce il progetto di “unità nella diversità”. Raggruppa 19 paesi ed un numero di cittadini di poco superiore alla popolazione della prima economia mondiale (USA).

Possiamo e dobbiamo superare questa crisi sanitaria mondiale.

Ma si vincerà solo conservando le certezze, come l’Europa e l’Euro.

Uno fornirà il peso internazionale per contare nelle decisioni mondiali. L’altro ci fornirà il massimo di stabilità economica possibile, per riprenderci e reimpostare il corso delle cose.

Che cosa è successo in Italia?

Abbiamo ignorato l’internazionalizzazione come fattore strategico delle nostre piccole imprese. Un mercato globale, in piena espansione dagli anni Duemila in poi, non ha visto le nostre regioni in prima fila per promuovere il settore agroalimentare e relativi prodotti richiesti ovunque nel mondo.

Non abbiamo voluto evitare il confronto sui prezzi di produzione industriale con i paesi emergenti che stavano facendo grandi passi in avanti. Ma soprattutto, abbiamo ignorato la strategia di investire tutti i nostri sforzi “sull’aumento dei margini e rinunciare ai volumi” anticipando poi ed investendo così su politiche di riconversione dei distretti e dei lavoratori di settori attraverso l’investimento massiccio sulla formazione.

Finalmente Brexit è passato, contro la volontà degli scozzesi e degli irlandesi, mettendo quasi a rischio l’Unità del Regno Unito che se la dovrà forse vedere con fattori interni di destabilizzazione alla sua unità.

Ma non dobbiamo piangere sul latte versato e non ci dobbiamo arrendere perché esiste una via di uscita.

Ecco perché in assenza di queste politiche fiscali e monetarie, e secondo il principio di sussidiarietà, diventa di nostra responsabilità a livello locale, regionale e nazionale mettere in piedi tutte le iniziative in grado di risollevare il nostro tessuto produttivo, affrontare vecchie e nuove sfide del mercato ma anche quelle sociali come l’economia circolare ed una società in fase di invecchiamento.

Ora che l’Europa ha sospeso il patto di stabilità, ora che il vincolo di bilancio sembra essere stato accantonato, ora che la nostra unità come europei e le frontiere aperte alle merci possano diventare la pietra sulla quale costruire una ripresa comune per mantenere “pace e prosperità”, è tempo di cambiare, di fare e di agire velocemente.

Questo perché l’Europa non è solo il nostro passato (pace) e presente (fondi europei), l’Europa è soprattutto il nostro futuro (sicurezza e sviluppo) e le Marche hanno il dovere di stare dietro, accanto e davanti all’Europa.

Per questo motivo, il livello di riferimento dello sviluppo deve tornare ad essere quello locale, nello spirito del principio di sussidiarietà e con il vincolo di spendere bene e di spendere rapidamente.

Per Osimo, bisogna mettere insieme gli sforzi di tutti gli attori (pubblici e privati), correggendo gli errori del passato e affrontando le sfide presenti e quelle di un futuro da plasmare a vantaggio delle Marche e dei suoi cittadini.

Articoli simili