Rispetto al passato, la pandemia ha colpito un continente in pace dal 1945, che da allora non si trova più regolarmente coinvolto in guerre tra regnanti, fazioni, campanili e fedi.
Sono dunque passati 75 anni dalla fine della seconda guerra mondiale e non dobbiamo dimenticare gli atti di solidarietà tra paesi o quella frontaliera, che ha permesso la prima riserva comune europea di materiale medico oppure che in alcuni paesi i pazienti potessero essere curati in strutture sanitarie “estere”. Alcuni pazienti italiani sono stati curati in altri paesi europei e i respiratori prodotti nelle nostre aziende hanno salvato vite altrove. Questo non ce lo dobbiamo mai dimenticare.
Tuttavia, ancora un volta, il territorio italico è stato tra i luoghi più colpiti in Europa, come nel lontano passato durante la peste nera (1347-1353) era toccato alle città di Venezia, Firenze, Prato e San Gimignano. In relazione ai tempi moderni, il numero di vittime che abbiamo subito (soprattutto nella categoria dei medici che si sono sacrificati) è molto elevato e ci impone di riflettere, davanti a manifestazioni negazioniste o desiderose di proteggere le proprie “libertà” a discapito della salute degli altri.
Non bisogna negare che sono mancate le mascherine, il materiale tecnico e protettivo per il personale sanitario, i medicinali, ma anche il buonsenso. Ma l’Europa ha subito messo sul piatto 140 milioni di euro per sostenere la ricerca sul virus.
Come è già successo in passato, da questa pandemia – presumibilmente – dovrebbero nascere nuove idee, mutamenti profondi e ristrutturazioni nella società, nuove tecnologie, tecniche e metodi, nuove cure e molte invenzioni. L’Europa ha finanziato il rimpatrio dei cittadini europei bloccati all’estero e ha facilitato i soccorsi e l’approvvigionamento in beni e materiale di magazzini e aziende – si facevano già in maniera transnazionale – attraverso “i corridoi prioritari”.
Lo stato di emergenza non ci deve far dimenticare che questo potrebbe anche rappresentare il momento giusto per affrontare questioni come gli ascensori sociali nelle società europee, la riduzione delle ineguaglianze, il miglioramento della forma e dell’esercizio della democrazia, in termini di partecipazione e di tecniche e modalità di voto, nonché il miglioramento della solidarietà umana a livello mondiale e tra paesi europei e l’ultimo campanello di allarme per affrontare la questione del cambiamento climatico.
Malgrado Brexit che dovrebbe siglare l’uscita dall’Unione Europea della Gran Bretagna – che ha “scelto l’impero” e che si accinge a trovare un suo nuovo spazio nel mondo tramite alleanze con Canada, Australia e Nuova Zelanda – non dobbiamo aver paura di parlare di “Rinascimento” in Europa dopo la pandemia, che avrà ancora e sicuramente dei picchi di contagio per un lungo periodo.
In Europa, tutti sono entrati in stato di emergenza, ma ognuno a modo suo. In alcuni paesi si è parlato di “guerra”, in altri si è voluto puntare sull’immunità di gregge, in altri hanno puntato sul “lockdown” totale o parziale, mentre altri ancora hanno semplicemente puntato sul distanziamento sociale.
Dobbiamo imparare – è un nostro dovere – ad affrontare questa sfida con la dovuta preparazione, senza rassegnarci, ricordando che in passato i nostri avi hanno dovuto farlo con meno conoscenze, con meno mezzi tecnici e cure, con meno risorse umane educate e formate e, soprattutto, con meno risorse economiche. L’Europa ha riallocato circa 37 miliardi di euro del budget europeo per far fronte alla crisi, ha alleggerito le regole degli aiuti di stato per sostenere lavoratori e imprese e sospeso il patto di stabilità per permettere una deroga in grado di aiutare nella gestione della pandemia.
La pandemia ha dimostrato che l’Europa esiste e che ci dobbiamo puntare per uscire dalla doppia crisi: sanitaria ed economica. Che dobbiamo utilizzare questo momento per ottenere qualcosa, un sistema migliore di quello che avevamo prima.
Il tempo dei tentennamenti deve finire. La disoccupazione di massa è un rischio reale.
Le critiche verso le istituzioni rimangono. Ma oltre alla lotta contro la pandemia in senso stretto, anche la ripresa economica passa per l’Unione Europea verso la quale le Marche mandano oltre il 60% del loro export, dato che diventa 70% se si considera la “destinazione Europa” (dato 2019).
Il Meccanismo europeo di stabilità (MES), che dovrebbe agire per coprire in via prioritaria le spese sanitarie, non è l’unica misura. Il fondo salva-stati, gli investimenti della Banca Europea degli Investimenti, il Recovery Fund e vari pacchetti di misure messe a disposizione dell’Unione Europea ci devono vedere protagonisti e soprattutto buoni gestori, com’è stato per il terremoto delle Marche nel 1997.