Europa. Pressioni populiste e necessità di agire

A meno di venti giorni dalle elezioni che si svolgeranno nell’ultimo grande paese europeo, prima che tocchi all’Italia, tra i candidati per guidare la Germania – Angela Merkel e Martin Schulz – c’è un punto sul quale non si discute. Si tratta della centralità dell’Europa nel futuro politico ed economico del paese più popoloso ed economicamente più forte dell’UE.

La pressione delle varie problematiche, presenti e passate, non ci deve spaventare. Se fosse veramente così, se l’Europa fosse improvvisamente esclusa dal destino delle Marche e dell’Italia, ci sarebbe il rischio concreto di impedire il nostro “agire” per il futuro della regione e del paese.

Brexit a parte, che dobbiamo ormai accettare come un fatto storico accertato al quale manca un atto di divorzio in buona e dovuta forma, tutti gli altri tentativi di allontanare i vari paesi dall’Europa (Olanda, Austria, Germania, per il momento nelle elezioni regionali, e Francia) sono miseramente falliti.

Le prossime elezioni in una Germania che non cessa di registrare record di export, esplosione di saldo commerciale estero positivo, anche se colpita da una disoccupazione che convive con un’economia sana, non dovrebbero sanzionare l’attuale partito della candidata uscente Angela Merkel.

Se in Germania – come sembrano aver capito molto bene – pensano che l’Europa sia necessaria, perché in Italia si dovrebbe pensare il contrario?

Questa è la domanda importante alla quale sono chiamati a rispondere i partiti di casa nostra. Questa domanda ce la dobbiamo porre, senza negare che ci siano problemi molto seri.

Il primo problema da affrontare deriva dal fatto che l’Europeizzazione della politica, che inizia solo ufficialmente nel 1957 a Roma, sia un evento storico relativamente recente. Abbiamo realizzato dei progressi che non si possono negare, senza tuttavia essere in grado di reggere di fronte alla crescita esponenziale delle problematiche locali, nazionali o globali.

Una diretta conseguenza e allo stesso tempo un fenomeno di una gravità inaudita diventa così “la perdita della capacità di indirizzo della politica”. Questa perdita è dovuta, da una parte, alla caduta del Muro di Berlino che abbatte – o meglio – rende meno polarizzate le barriere della lotta ideologica (dualismo comunismo contro capitalismo), e dall’altra, all’accelerazione dell’internazionalizzazione dell’economia, alla quale l’Italia non riesce a partecipare pienamente fin dall’inizio degli anni Novanta a causa della necessità di districarsi tra gli eventi storici legati a “tangentopoli”.

È così che il risveglio dell’Italia – in un mondo che cambiava a nostra “insaputa” mentre lottavamo per stabilizzare la nostra Repubblica in un contesto politico nazionale (partiti nuovi, nascita del populismo) ed un contesto internazionale diversi (dissoluzione dell’Unione sovietica ed aumento del numero delle nazioni indipendenti in Europa e nel mondo) – questo risveglio dell’Italia – è in realtà avvenuto in un mondo completamente nuovo.

Purtroppo, ancora oggi, in molti in Italia ed in Europa non hanno ancora preso coscienza di questo fenomeno storico accertato: l’Italia oggi si muove in un contesto politico non semplicemente cambiato, ma completamente nuovo.

Se tuttavia si riuscisse a capire questa rapida metamorfosi del contesto nel quale l’Italia e gli altri paesi sono chiamati a giocare – un mondo completamente nuovo – diventerebbe allora più facile capire perché l’Europa sia la migliore dimensione entro la quale l’Italia possa pensare di muoversi e di gestire il proprio destino.

Per le Marche e per l’Italia, l’Europa conta e deve contare sempre di più. Prendiamo come esempio concreto del passato i fondi strutturali per far uscire alcune zone dall’isolamento economico. O ancora meglio, per il presente o per il futuro, le relazioni che sono andate sempre più aumentando con i paesi asiatici cresciuti in forza in questo nuovo mondo.

Per quanto riguarda la protezione su “tipicità o contraffazione nei confronti dei nostri prodotti”, l’Italia sarebbe in grado di affrontarla da sola?

Queste sono alcune delle vere domande che ci dobbiamo porre se vogliamo affrontare seriamente la questione del respingimento dell’Europa da parte degli italiani.

Alcuni partiti politici italiani ed europei hanno costruito il loro antieuropeismo con i voti dei piccoli imprenditori e dei piccoli industriali promettendo loro una tassazione ed una barriera contro i prodotti cinesi.

Quanto accaduto veramente è che questi piccoli imprenditori ed industriali, con il tempo, hanno dovuto licenziare (a discapito delle lavoratrici e dei lavoratori), quando non hanno dovuto chiudere i battenti.

Questi partiti populisti pensavano di essere in un mondo semplicemente cambiato, mentre erano in un mondo completamente nuovo, nel quale le imprese – ancora oggi – avrebbero invece voluto (e dovevano) essere assistite nel loro posizionamento internazionale. Ignoranza o fatto appositamente? Ormai non conta più.

Con il tempo, ai problemi tradizionali dell’Italia, si sono aggiunte altre straordinarie sfide in Europa, come “diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.

Poi, dagli anni 2001, sono arrivate le sfide della lotta al terrorismo internazionale, senza dimenticare il recupero – ancora in corso – da una crisi economica inaudita dal 2008 che sta per compiere dieci anni.

Da alcuni anni, inoltre, le migrazioni internazionali sono diventate il centro delle nostre preoccupazioni. Anche quelle non possono essere affrontate come singolo paese.

Oggi, quello che sappiamo e che dobbiamo concludere, deve essere molto chiaro a tutti.

Malgrado tutto, l’Europa non è, non deve e soprattutto non può diventare un nostro nemico. Ma rappresenta ad oggi il miglior quadro nel quale siamo in grado di “AGIRE” in tutti i sensi e in tutte le direzioni.

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