INTRODUZIONE

Siamo cittadini di Italia e di Europa e questo significa avere due capitali: Roma e Bruxelles.

L’Italia ha sempre avuto uno sguardo verso il Belgio, paese di forte immigrazione italiana. Il collegamento aereo diretto con il Belgio dall’aeroporto di Falconara non è casuale. Purtroppo, abbiamo anche dei ricordi negativi, come la tragedia di Marcinelle dell’8 agosto 1956. Alla cerimonia di ricordo e di ricorrenza dei 60 anni l’Italia ha partecipato con una presenza di altissimo livello.

Il Presidente del Senato Pietro Grasso ha letto un messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Marcinelle, tragedia nella quale morirono 262 lavoratori di dodici diverse nazionalità di cui 136 erano italiani, deve rimanere per sempre nelle nostre memorie. Altre tragedie che ci legano al Belgio riguardano il calcio, con la strage dell’Heysel e gli attentati terroristici di Bruxelles del 22 marzo 2016, che hanno segnato la Storia colpendo al cuore l’Europa e le sue istituzioni.

Nonostante tutto questo, la costruzione dell’Europa rimane un obiettivo nobile per questioni legate alla pace fra nazioni. E non solo. Anche per evitare le violenze intercomunitarie all’interno dei paesi, dove sembra che la conflittualità si sia spostata.

In effetti, se ci pensiamo bene, la pace tra i paesi è stata raggiunta. Nessun paese dell’Unione sognerebbe oggi di attaccarne un altro e ciò che in passato era una regola oggi è diventato un’eccezione e si spera non accada mai più. Quello che invece notiamo è lo spostamento della conflittualità: prima era tra i paesi, ora è verso le comunità interne ai paesi stessi. Come se la frustrazione di non potersi più battere con le flotte in mare aperto, a Waterloo, a Verdun, sulle Alpi o nelle pianure dell’Europa dell’Est portasse quella rivalità in altri contesti, come, ad esempio, le partite di calcio, nelle quali purtroppo qualche violenza per strada, distruzioni di beni pubblici, lotte tra tifoserie esistono ancora. E’ come se tutto questo si fosse spostato all’interno dei paesi stessi, all’interno delle comunità “nazionali”.

QUADRO POLITICO

La Spagna è ormai senza governo effettivo da più di nove mesi, in mancanza di un accordo tra le parti politiche per costituirne uno nuovo. Portogallo e Grecia sembrano avere superato elezioni a ripetizione e conflitti sociali causati da anni di recessione dai quali i due Paesi sono usciti con le ossa rotte.

Con il voto sulla Brexit, la Gran Bretagna ha un problema di conflitto interno, visto che la Scozia e l’Irlanda del Nord hanno votato, in maggioranza, per restare. Senza contare la questione dei terroristi di nascita e di cittadinanza britannica, che compiono stragi all’interno del paese o che fanno i “combattenti stranieri” in zone di guerra e dei quali si aspetta il ritorno in patria con ansia e preoccupazione.

Questo problema la Gran Bretagna lo condivide con la Francia e il Belgio.

La Francia conosce da sempre forti conflitti interni che passano dalle violenze nelle periferie all’intransigenza di sindacati che esercitano un diritto sacrosanto ma che paralizzano spesso il paese con scioperi definiti “selvaggi” e la recrudescenza di una estrema destra che non arriva al potere solo grazie al patto di desistenza tra le altre forze politiche.

Anche in alcuni paesi dell’Europa dell’Est ci sono problemi interni delicati che ci ricordano l’Austria di Jörg Haider contro la quale tutti si erano alzati e dove un candidato di destra detta le stesse preoccupazioni.

In Ungheria, la paura dell’arrivo di un regime autoritario è forte. La riforma del sistema giudiziario attacca l’indipendenza dei giudici. Il governo ha anche attaccato l’indipendenza della Banca centrale. I limiti di legge alla libertà di stampa si sono inasprite. C’è un partito di estrema destra, antisemita e anti-rom. La legge sulla religione è una delle più restrittive d’Europa. Il paese sembra avviato verso quello che viene comunemente chiamato “deriva ungherese”. Questo crea frizioni perché non tutti sono d’accordo, soprattutto in un paese nel quale il Parlamento è stato ridotto da 386 a 199 membri dal 2011.

Oltre a tutto questo, ventisei anni dalla caduta del muro di Berlino sembrano aver fatto dimenticare ad alcuni partiti polacchi i sacrifici delle altre nazioni europee che, grazie ad una loro solidarietà – anche economica – hanno permesso al paese di essere uno dei più avanzati in Europa. Se si crede alla retorica dell’attuale classe dirigente, la Polonia sarebbe un paese minacciato nelle sue stesse radici, storiche, religiose e culturali. Solo l’avversità nei confronti della Russia – antico nemico e dal quale il paese si è affrancato attraverso la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 – sembra portare i politici polacchi alla ragione, ma solo per chiedere e mantenere a tutti i costi sanzioni contro la Russia e avere l’appoggio costante della NATO per la sua sicurezza.

In Romania continui scandali e corruzione interna, che colpiscono fino alle più alte sfere dello stato, insieme al mancato salto di sviluppo interno – simboleggiato da un enorme ritardo nelle infrastrutture rispetto ai paesi vicini nonostante il paese sia entrato nell’Unione nel 2007 – sono responsabili di una forte delusione e sfiducia nella popolazione. Tutto questo crea tensioni interne tra forze politiche.

Neanche la Germania è risparmiata. L’attuale situazione economica, più o meno fiorente, non evita che ci siano fenomeni di radicalizzazione verso l’estrema destra, specialmente nelle regioni che costituivano l’ex Repubblica Democratica Tedesca.

PROSPETTIVE

Ridurre la partita della costruzione dell’Europa solo a rigore e austerità non ha più molto senso.

Il simbolo di questo passaggio è dato dalla decisione del Consiglio europeo di agosto 2016, accogliendo la proposta ricevuta dalla Commissione a fine luglio, di risparmiare sanzioni a Spagna e Portogallo.

Ma attenzione. Se non ci sarà sanzione pecuniaria – che avrebbe imposto ai due Paesi multe pari allo 0,2% del PIL – a Lisbona e Madrid sono stati assegnati precisi obiettivi da rispettare, con la minaccia del taglio dei fondi strutturali per il 2017 e 2018.

L’euroscetticismo? Brexit? Le posizioni di Italia e Francia? Chi e che cosa hanno indirizzato verso questa decisione?

La visione dei paesi del nord sembra si stia ammorbidendo.

Con Brexit, la Germania sta perdendo un alleato come la Gran Bretagna. In molti settori – compresi mercato unico, libero scambio, competitività, taglio della burocrazia e, in particolare, politica economica e finanziaria – Germania e Gran Bretagna hanno sempre avuto interessi simili. Mentre i paesi mediterranei, capeggiati dalla Francia, sono sempre stati più vicini a posizioni di tipo “socialiste”, volte a proteggere sistemi, classi di lavoratori.

L’Italia, con il Governo Renzi, fin dalle elezioni europee 2014 e il successivo Semestre Europeo, ha avuto il merito di aver introdotto la parola “flessibilità” nel linguaggio europeo e ha cercato di invertire il rapporto con Bruxelles presentandola come concreta opportunità. Non solo rigore e austerity era stato lo slogan fin dall’inizio.

In attesa del Vertice di Ventotene del 22 agosto 2016, tappa cruciale del futuro dell’Unione nel quale Francia, Germania e Italia si riuniranno dopo Brexit, sono stati individuati tre temi essenziali sui quali si può rilanciare la costruzione dell’UE.

Il primo è la sicurezza interna ed esterna (con la lotta al terrorismo, lo sviluppo della difesa europea e il controllo delle frontiere esterne dell’Europa). Il secondo è un’economia forte e la coesione sociale (vantaggi per la crescita). Il terzo è rappresentato da programmi per la gioventù.

Con particolare riguardo al settore economico i tre leader propongono – per i Paesi della zona euro – una maggiore convergenza compresa negli ambiti sociale e fiscale.

Che cosa dobbiamo fare, tutti, per riconciliarci con l’Europa?

Abbiamo bisogno di riprendere la strada della crescita economica.

Serve anche e soprattutto per contrastare la deriva populista che ha fatto dell’antieuropeismo una propria bandiera, diventata molto facile da issare in ogni momento e per ogni problema.

L’Allargamento dell’Unione ha aumentato i problemi, specialmente quelli legati all’identità. L’Europa era impreparata alla globalizzazione. L’Euro, in quanto tale, non è un problema ma oggettivamente non è la moneta di tutti e la sua gestione comporta una certa complessità che non la rende popolare. Infine, la crisi economica non si riesce a combattere perché mancano disposizioni a livello di Trattati europei.

Dobbiamo imparare a conoscere bene e meglio l’Unione Europea e il funzionamento delle sue istituzioni. Dobbiamo ricordare che con l’Europa facciamo tanto, spendendo relativamente poco rispetto a quello che ci costano le nostre amministrazioni nazionali, e che abbiamo spesso – anche a livello comunale – più dipendenti di tutta l’Unione Europea.

Cosa sarebbe della Regione Marche se oggi dovesse fare a meno dei fondi strutturali?

Dobbiamo imparare a conoscere bene e meglio l’Europa. Perché significa innanzitutto disporre di risorse europee per lo sviluppo economico. Significa anche opportunità di integrarci da leader in un quadro regionale come quello della macroregione adriatico ionica e da protagonisti in quadri territoriali a geometrie variabili.

Per le Marche, Europa significa: una risorsa al servizio di tutta la società capace di trasformare idee in opportunità; rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione; migliorare l’accesso alle tecnologie dell’informazione, il loro utilizzo e la loro qualità; promuovere la competitività delle piccole e medie Imprese; sostenere la transizione verso un’economia a bassa emissione di carbonio in tutti i settori; promuovere l’adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e gestione dei rischi.

Per le Marche l’Europa significa crescita economica guardando oggi più che mai, per necessità di sopravvivenza, al di là dei propri confini.

Per le Marche, in questa giornata da medaglia d’argento con la campionessa jesina di fioretto Elisa Di Francisca alle Olimpiadi di Rio, l’Europa non ha confini nazionali e geografici e lo dimostra la bandiera portata sul podio dalla nostra concittadina contro il terrorismo e per un’Europa unita.

Articoli simili