Il sistema elettorale britannico, al risultato finale di ogni elezione, ci ha lasciato spesso a bocca aperta, come ad esempio la possibilità per cittadini stranieri e/o provenienti dal Commonwealth di decidere su una questione di “sovranità” che riguarda un paese del quale non hanno la cittadinanza.
Al di là di tutti i commenti e pronostici del caso, quello che si gioca domani – 12 dicembre 2019 – in Gran Bretagna, in occasione delle elezioni per l’uscita dall’Unione Europea, sarà ancora una volta una questione che, per lungo tempo ancora, occuperà il Parlamento, altre istituzioni nazionali ed europee.
Il risultato finale non cancellerà la “questione scozzese” sulla scelta maggioritaria di rimanere nell’UE, caratteristica – fino ad oggi – di quel territorio.
Non cancellerà altrettanto la “questione irlandese” legata al nuovo sussistere di una frontiera esterna dell’UE tra due zone che hanno fatto sforzi incredibili per sanare un conflitto per il quale, senza l’esistenza stessa dell’Unione, una soluzione non sarebbe probabilmente mai stata possibile.
Mentre non possiamo imputare agli attuali dirigenti della Gran Bretagna la responsabilità di non aver fatto la scelta, da subito, di diventare un paese fondatore dell’UE nel 1957, possiamo mettere in discussione la loro responsabilità – che in alcuni casi sfiora addirittura la malafede – quando vogliono beneficiare della fine di questo orrendo conflitto irlandese, beneficiare della “Pace e della Prosperità”, sacrificando l’Europa sull’altare di questa voglia irrefrenabile di ridiventare un “impero”, che non avrà sicuramente nessuna chance di emergere in un mondo nel quale vie della seta e accordi tra paesi cosiddetti “emergenti” richiederebbero – oggi – un’Europa più unita che mai.
Ad ogni modo, l’amaro lasciato in bocca dal referendum su Brexit di Giugno 2016 rimane.
E il fatto che ci stiamo trascinando questa questione nel 2020 dimostra che non c’è da scherzarci sopra. Qualunque sia il risultato.
L’inflazione, la “sterlina forte” che hanno colpito o indebolito il potere di acquisto delle fasce medio basse della popolazione, la fuga delle grandi aziende dalla piazza finanziaria di Londra sono una realtà pungente.
Tuttavia, anche dalla nostra parte – dalla parte di quelli sono dentro e che hanno voglia di rimanerci – l’insediamento della nuova Commissione Europea con al vertice una donna, Ursula von der Leyen, per la prima volta nella sua storia, indica la strada che dobbiamo percorrere.
Abbiamo il dovere e il compito di “cambiare per non morire”.
Per l’Italia, si è comunque aperta una nuova stagione: a capo del Parlamento Europeo c’è un italiano, il Presidente David Maria Sassoli; dal primo dicembre 2019 abbiamo un ex Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, come Commissario europeo di un dicastero importante come l’Economia, anche con la responsabilità del coordinamento degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile di Agenda 2030.
Segnali entrambi che, al di là di Brexit, i tempi sono cambiati.
Per noi italiani e marchigiani, è arrivato il momento per mettere provvisoriamente in secondo piano la stagione dei diritti e aprire quella dei doveri.
L’obiettivo riguarda molteplici ordini e gradi di attività impegnative.
Si tratta di migliorare le condizioni di vita degli europei presi nella morsa del flagello delle ineguaglianze.
Si tratta di garantire la sicurezza dei cittadini europei in un contesto nel quale stiamo assistendo ad un abbassamento del grado di pericolosità del terrorismo estremista islamico, ma che potrebbe ancora avere colpi di coda da gestire con la stessa determinazione e collaborazione dimostrata nelle fasi più acute delle orrende stragi che hanno segnato molteplici paesi europei, inclusi la Gran Bretagna.
Si tratta di garantire – qualora ci fosse ancora bisogno di ricordarlo – una prosperità in quello che è, ad oggi, il più grande mercato al mondo e che lo resterà anche dopo l’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’UE.
Si tratta di difendere un nostro modello di società dalla lotta alle discriminazioni di ogni genere fino a puntare su una gioventù che bisogna riportare sulla strada della scienza e in grado di dettare il ritmo in materia di tecnologia.
Tutto questo nell’unità e nonostante le nostre continue discussioni e le nostre diversità.
Questa volta non è un referendum e sarebbe un errore ridurre queste elezioni ad una decisione per o contro l’Europa.
Purtroppo ancora una volta – come l’ultima volta in cui punto chiave del referendum era rappresentato dalle “migrazioni” dei cittadini UE che rubavano il lavoro ai britannici – oggi la polemica e l’attenzione si sono spostati sul sistema sanitario (chiamato NHS), rischiando così e ancora una volta di far pagare chi non c’entra con i giochi nascosti di alcuni dirigenti di partito o di governi che vanno contro l’interesse della collettività.
Invece, a poco dall’ingresso nel 2020 – per le Marche un anno storico in cui ricorrono le celebrazioni di Raffaello – ricordiamoci semplicemente che domani si potrebbe trattare dell’ultima prova di unità prima del momento della verità.
Un momento nel quale – vittoria o sconfitta – l’Europa sta chiamando le sue donne e i suoi uomini necessari a fare tutto il possibile per preservare lo spirito dell’idea fondatrice dell’Europa nata per puntare agli obbiettivi di Pace e di Prosperità.