Tra meno di due mesi, il 25 marzo, l’Europa sarà chiamata a festeggiare il suo sessantesimo anno dalla fondazione e non dobbiamo nascondere che oggi si trova, dalla firma nel 1957 dei Trattati di Roma, nella crisi più grave. Siamo infatti ancora sotto l’onda dello choc di una Brexit che non abbiamo ancora completamente elaborato.
Tra le questioni che ci trasciniamo dal passato – più volte menzionate dal PD Marche – alcune stanno tutt’ora mettendo a dura prova i singoli paesi. In questo contesto, crisi economica e populisti hanno guadagnato sempre più terreno attraverso le urne ovunque in Europa.
Esistono conflitti che sono arrivati fino alle nostre porte, provocati principalmente da questioni geopolitiche del passato nelle quali storiche potenze coloniali europee hanno la loro parte di responsabilità. Ci sono anche conflitti dovuti a tentazioni identitarie che, evidentemente, non sono il solo appannaggio o un fenomeno limitato all’Occidente.
Per quanto riguarda le sfide attuali, e per l’Italia in particolare, vi dobbiamo aggiungere la questione delle calamità naturali tra smottamenti di terreno, alluvioni, malattie che colpiscono alberi e indirettamente il prezioso settore agroalimentare, nonché nevicate record, che ci hanno colpiti in un momento delicato. Ci sono soprattutto i terremoti che vengono ad aggiungere ulteriori difficoltà – mentre abbiamo ancora sfide importanti come quella della ricostruzione de L’Aquila – e che impongono un profondo cambio di mentalità nella nostra maniera di fare prevenzione e in quella di costruire il bene più prezioso per noi italiani.
Per quanto riguarda le problematiche future, possiamo citare le elezioni nei Paesi Bassi, in Germania e in Francia. In quest’ultima, ci sono state delle sorprese, uscite dalle primarie, in tutti gli schieramenti, come il pericolo dell’estrema destra e la presenza di nuovi candidati imprevedibili che indicano che la platea politica dell’Europa è completamente mutata. Per la Germania, ci sono nuovi attori imprevedibili, tra cui l’ex Presidente del Parlamento Europeo Martin Schultz che ha ufficializzato la sua candidatura a Cancelliere e un movimento euroscettico – che riesce a raccogliere forti consensi – che sembrano avere la possibilità di influire sugli eventi. Ma la campagna elettorale tedesca durerà ancora otto mesi.
Qui e oggi, bisogna capire in quale direzione vogliamo continuare a gestire il processo europeo con le tre principali anime che occupano lo spazio del dibattito politico. Oltre a quelli che vogliono proprio fermare, arrestare il processo, esistono principalmente due vie principali che si affrontano. Quella del campo di coloro che vogliono recuperare maggiore sovranità a favore degli stati nazione (confederazione) e coloro che vogliono avanzare nel processo (federalisti). Le suddivisioni tra chi vuole o meno la moneta unica all’interno degli schieramenti porta ulteriori difficoltà traversali e rende la comprensione delle problematiche praticamente impossibile, anche per gli appassionati di Europa.
L’avanzata dei populisti, che promettono un “futuro immediato”, ci mette davanti ad una grande sfida. Come spiegare alle popolazioni, che hanno tutto il diritto di avere paure, di essere preoccupate per il loro avvenire, di essere disperate perché non hanno più un tetto, che in un mondo sempre più complesso le risposte non possono essere così semplici e semplificate come viene costantemente presentato loro?
Come spiegare loro che non fare le riforme nel proprio paese e che il rifiuto di prendere drastiche decisioni strategiche non può essere la soluzione né la buona risposta alla crisi dei migranti?
La questione dei valori non è tutta da ricondurre ai cattivi populisti e all’estrema destra; quest’ultima le sta provando tutte ovunque per arrivare al potere attraverso le urne. Anche più di qualche “paese civile” europeo ha guardato dall’altra parte durante il bombardamento di un parlamento turco eletto democraticamente, mentre continuava a dialogare apertamente con governi dittatoriali in giro per il mondo.
Bisogna prendere atto che ci sono sempre più critiche verso l’Europa. Che ci sono sempre più persone che non vogliono proprio sentirne parlare, e che molti che ne sono anche affascinati non la vogliono così come la percepiscono o come funziona oggi.
Per dare una risposta a tutte le fazioni, l’Europa di oggi – ma soprattutto quella di domani – si deve concentrare sulle problematiche poste dalle collettività in attesa ancora di risposta.
Alla luce di questa situazione, dobbiamo concludere che la maggiore integrazione e i trasferimenti di sovranità devono aspettare?
Rispondere a questa domanda è indispensabile, senza dimenticare che i cittadini non sono più disposti a sopportare questioni e imposizioni come la privatizzazione degli utili e la collettivizzazione delle perdite. La nazionalizzazione di fatto della più antica banca operante in Europa da noi in Italia ci deve servire da monito e indicare la strada dell’obbligo di cambiare.
L’Europa del Novecento era una creazione che fungeva da risposta ad una problematica di sicurezza legata dalle generazioni precedenti, la guerra. L’Europa del XXI secolo – che dovrà stare attenta a salvaguardare la democrazia e la nostra capacità di dialogare – si dovrà costruire sulle sfide di oggi, dove sicurezza, migrazioni, disoccupazione e crescita economica hanno preso il monopolio del dibattito e sono – oggettivamente – le cause principali dei disagi sociali.
Le generazioni attuali non hanno conosciuto la guerra e pertanto sono indifferenti allo sventolare di una sua minaccia.
Anzi, molti arrivano pure ad affermare l’assurdo, di chi evidentemente non ha vissuto le atrocità, che proprio ora solo un conflitto potrebbe essere in grado di risolvere i problemi. A voler credere loro, basterebbe considerare le quasi venti milioni di vittime della prima guerra mondiale – la quota della sola Russia nella seconda guerra mondiale – come una soluzione alla crisi del periodo tra i due conflitti?
Queste generazioni invece conoscono la crisi e la precarietà, è un linguaggio che capiscono perfettamente. Ed è da qui che bisogna partire. Purtroppo, l’incertezza che conosciamo oggi in termini di sicurezza in Europa, viene ulteriormente destabilizzata da rischi aggiuntivi e dall’attuale piega che stanno prendendo la politica commerciale e quella estera degli Stati Uniti.
Non ci resta che scendere nell’arena per affrontare chi vende e chi vuole detenere il “monopolio della gestione della paura”. Non ci resta che cominciare a lavorare duro ed affermare che il nostro obiettivo è quello di rendere l’Europa forte per domani. L’Europa va spiegata di nuovo, con pazienza e tenacia, anche in maniera didattica, ludica, partendo dai fondamentali e dall’ABC se dovesse servire.
Laddove l’America sembra voler scegliere la chiusura su se stessa – forse dimenticandosi che storicamente le nazioni che hanno deciso di chiudersi si chiamano Corea del Nord, Repubblica Democratica Tedesca, Cuba, Venezuela – questa volta, tocca all’Europa scegliere la strada del “New Deal”.
E tutto questo, soprattutto in un mondo nel quale il tempo – e non solo le particelle – sembra essere entrato in un acceleratore. Un tempo nel quale tutto succede e procede sempre più velocemente. Un mondo che nessun paese può e deve affrontare da solo.