Dire che abbiamo fatto tutto bene non solo è impossibile da un punto di vista umano, ma non corrisponderebbe comunque alla realtà.
La pandemia ci ha colto alla sprovvista. Le sfide del XXI secolo un po’ meno.
La paura generata da tre sfide – Brexit, l’arrivo al potere dei gruppi di estrema destra con i loro mantra disgregativi di “sovranità” ed una “Europa delle Nazioni”, i successi elettorali di movimenti populisti anti europeisti – aveva messo in un angolo chi era a favore dell’integrazione europea.
Ci sono stati problemi nella negoziazione di alcuni contratti di acquisto dei vaccini e di altri prodotti legati alla pandemia, con il conseguente rallentamento delle campagne vaccinali europee.
A queste situazioni, che possiamo definire questioni interne dell’Unione Europea, bisogna aggiungere la complessità di un quadro internazionale articolato, migrazioni di massa, disordini civili, conflitti armati a bassa ed alta intensità, guerre terminate o in corso che hanno cambiato la geopolitica mondiale in maniera duratura o definitiva. Un quadro – dicevamo – che non facilita la gestione di una politica estera di un’istituzione come l’UE, che deve curare gli interessi comuni e spesso divergenti di 27 paesi. E pensare che in tutto questo non ci sia più un grande attore internazionale come il Regno Unito, membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è fattore che ha proiettato l’Italia su un gradino più alto come importanza e peso.
Ma parliamo anche dei successi. Abbiamo visto il negoziato di Next Generation EU, che dovrebbe ridefinire le competenze dell’Unione negli affari economici. Questo è un passo da giganti.
L’Europa deve essere riformata e adesso, visto che le opinioni pubbliche europee hanno capito che in materia di Europa “è meglio con che senza”, le iniziative istituzionali e popolari, lo sviluppo di reti nuove o già esistenti sono all’ordine del giorno per capire in quale direzione dobbiamo andare.
Disegno europeo in generale (creare un bilancio comune per l’eurozona), funzionamento delle Istituzioni (come l’abolizione del voto all’unanimità del Consiglio Europeo) prima di un ulteriore ed eventuale allargamento, rivisitare le loro competenze (come l’armonizzazione delle politiche fiscali europee) e osare rivoluzioni (come il potenziamento del ruolo dell’Alto Rappresentante), tutti questi aspetti si possono tranquillamente definire come “profondi cambiamenti strutturali”. Ecco di che cosa ha bisogno l’Europa.
Non si sa se l’Europa debba passare di nuovo attraverso la straordinaria esperienza del “Manifesto di Ventotene” – concepito da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi proprio nel mezzo di una crisi molto grave (la Seconda Guerra Mondiale) – che non possiamo paragonare ad una pandemia, ma che porta con sé, in quanto momento di forte crisi, anche opportunità per cambiare profondamente le società.
Sicuramente per l’Europa, come per le Marche, è arrivato il momento di fare e di agire.
Dal 1957, l’Europa è riuscita a trasformarsi e a cambiare, anche in contesti difficili e complessi e ad accogliere nuovi membri. Non si possono più avere atteggiamenti attendisti che rischiano di trovare i cittadini – tornati ad amare l’Europa – in altre impasse, insuccessi e inconcludenze future.
Bisogna comunicare l’Europa ai cittadini e fare in modo che diventi il traino di una ripresa la quale – dopo una crisi del genere – richiede fondi, competenze, ideali e capacità, che oggi possiamo solo trovare ed organizzare a livello sovranazionale e di conseguenza a livello europeo.