Il fallimento delle riforme ha fatto sfumare la diminuzione delle spese dello Stato centrale, l’abolizione delle Province e di altri enti più o meno “inutili” – per i quali adesso bisognerà allocare di nuovo risorse che potevano avere un’altra destinazione – e l’acquisizione di un prestigio internazionale proprio all’alba dei prossimi e numerosi impegni internazionali. Le riforme avrebbero consentito un’arma per negoziare meglio una posizione di leadership in Europa dove, per il 2017, avremo una Francia ed una Germania prossime ai loro appuntamenti elettorali.
Tuttavia esiste un’ulteriore possibilità per poterci salvare in calcio d’angolo.
A questo punto, per il Parlamento italiano diventa auspicabile e forse anche imperativo licenziare una legge elettorale, che garantisca la stabilità a chi governa, i modi per determinare le proprie scelte, il tempo necessario per attuare le proprie politiche.
Priorità
Questo perché non dobbiamo dimenticare i tempi in cui viviamo. Se da una parte la crisi economica – e le conseguenti diseguaglianze che ne sono scaturite – ha indubbiamente provocato l’afflusso record dei cittadini alle urne manifestandosi, con una valanga di “NO”, in un atteggiamento “punitivo” verso chi governa, dall’altra parte non ci dobbiamo dimenticare che esiste una questione seria legata alla nostra sicurezza.
Per quanto riguarda la crisi economica, basti ricordare che le Marche hanno impiegato sette anni per ritornare agli stessi livelli di export pre-crisi, cioè a quelli del 2008. Mentre per quanto riguarda la sicurezza, continuiamo a vivere in un mondo molto pericoloso, nel quale non sappiamo né quando né dove avverrà il prossimo attacco terroristico. Non sappiamo se e quando torneranno e come si comporteranno i combattenti stranieri europei di ritorno verso casa loro. Abbiamo imparato sulla nostra pelle che le vittime italiane ci sono quasi sempre, indipendentemente dal fatto che si colpisca in una sala di concerto a Parigi, nella metropolitana di Bruxelles, in un ristorante di Dacca o sul lungomare di Nizza.
Poi, rimane la questione legata al fenomeno dei migranti, per la quale bisogna agire almeno su quattro fronti. Sul fronte interno dei singoli paesi, alle frontiere e lungo le rotte terrestri o marittime delle migrazioni, a livello delle istituzioni internazionali, ma anche nei luoghi di partenza. Questo fenomeno – senza precedenti – esige una risposta nella quale viene giustamente interpellato il nostro senso umanitario. L’Italia ha fatto largamente la sua parte anche istituendo la Giornata del 3 Ottobre, indicata come la “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione”.
Ma non dobbiamo neanche nascondere che il fenomeno delle migrazioni si è rivelato – anch’esso – pieno di pericoli e alla base di disordini sociali e tensioni politiche interne, che potrebbero degenerare, facilmente, in altri spiacevoli fenomeni legati all’ordine pubblico o all’intolleranza.
Conflitti
Dobbiamo essere perfettamente coscienti che viviamo in un contesto internazionale nel quale – in collaborazione con la Russia – la risposta dell’Occidente alla minaccia creata dal cosiddetto Stato Islamico ci pone dei seri interrogativi.
In effetti, i conflitti ai quali assistiamo oggi hanno radici spesso molto lontane, dovute ovviamente alle responsabilità delle parti coinvolte, ma che sono anche conseguenze dirette o indirette di scelte politiche errate o discutibili, compiute o portate avanti in passato in un contesto storico non troppo lontano, mentre allora erano in vigore sistemi politici oggi superati (come gli imperi) e composti da potenze coloniali che oggi non esistono più.
Tenendo conto che alcuni paesi europei sono gli eredi legittimi di queste potenze imperiali coloniali, che alcuni di loro siedono anche nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e che molti applicano ormai principi legati alla “convivenza pacifica delle nazioni” e dei “diritti umani”, tutti questi elementi li chiamano – e gli altri paesi membri dell’Unione per solidarietà – a farsi avanti per giocare un ruolo nel trovare soluzioni a questi conflitti.
La Difesa Europea va intesa anche in questo senso della stabilizzazione, ordine e pace internazionali.
Le grandi estensioni di territorio sui quali si stanno svolgendo conflitti, ovunque sul pianeta, e soprattutto il numero di vittime, stanno chiaramente rimettendo in discussione le frontiere di alcune nazioni, così come le abbiamo sempre conosciute. In altri casi, stiamo assistendo a minacce che colpiscono nazioni ad oggi riconosciute a livello internazionale, dotate di un territorio e di una “sovranità”, ma che nella realtà a lungo termine possono rischiare o che vedono già nell’immediato messa a rischio la loro stessa esistenza come ad esempio Siria e Iraq.
Quali confini
In effetti, bisogna tenere conto che ormai in molte parti del mondo, le “rivendicazioni di nazionalità o di cittadinanza”, all’interno di frontiere tracciate in maniera spesso arbitrale, potrebbero addirittura cancellare secoli di vita in comune tra popoli e provocare migrazioni di massa, con persone e famiglie intere che – in alcuni casi – non vedranno mai più il ritorno sulla propria terra. Bisogna anche constatare che, in molti casi, per ragioni dovute all’urgenza della necessità di reagire e a scelte strategiche anche discutibili, i paesi occidentali hanno concluso delle collaborazioni con gruppi combattenti – che sono ad oggi alleati – per poter lottare contro lo Stato islamico. Ma ci sono alcune situazioni che sembrano già manifestare, da ora, la volontà di costruire o ricostruire stati o di determinare frontiere su base etnica, linguistica e/o confessionale (es. la questione dei Curdi e del Kurdistan). Queste situazioni portano con sé il serio rischio – a brevissimo termine – di dare nascita a nazionalismi fragili, capaci di diventare rapidamente fonti di nuove incomprensioni, conflitti a bassa o ad alta intensità.
In alcune zone del mondo, il modello dello “Stato Nazione”, che esiste altrove e funziona in molti paesi, è oggi in profonda crisi o è forse impraticabile. E questo è una delle ragioni profonde della crisi e dell’insicurezza che oggi regnano, portando con sé una probabile forte recrudescenza nei conflitti del domani. I popoli, le nazioni, le organizzazioni combattenti e perfino gli individui coinvolti nei conflitti attuali, sono spesso orientati più verso soluzioni ai loro problemi, in maniera radicale, che non alla ricerca di soluzioni negoziate. E questa situazione può compromettere la stabilità del contesto internazionale, perché ci obbliga – sempre in una modalità a geometria variabile a seconda del territorio o dello status dei paesi – a riflettere, a ripensare le nozioni di “Stato”, quella di “Nazione” e quelle di “Frontiere”.
Questi modelli, in alcune zone di crisi, saranno necessari per far tacere le armi. In altri casi potranno essere applicati, ma solo dopo la fine dei conflitti.
Forse bisognerà pensare a nuovi concetti come “Federazioni”, “Comunità” o “Unioni” per sanare le numerose fratture che constatiamo nei numerosi interventi della nostra Federica Mogherini – Alto rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza – sulle crisi esistenti in giro per il mondo?
Gli spettri dei conflitti non si sono completamente allontanati da noi. Per esempio, l’alleato russo in Medio Oriente ci viene descritto da altri paesi europei come una seria minaccia alla loro integrità territoriale, scatenando tensioni e posizionamenti di armi e di truppe per la loro eventuale difesa attraverso la NATO. Sono inoltre in vigore sanzioni economiche legate alle tensioni in Crimea e il conflitto in Ucraina.
Soluzione?
In questo stato delle cose, il PD Marche e l’Italia hanno bisogno di muoversi in un quadro che ci permetta di garantire la sicurezza dei nostri cittadini all’interno delle sue frontiere, di proteggere gli interessi legati alla sicurezza di approvvigionamenti e rotte commerciali per le nostre imprese, di garantire la sicurezza di tutti coloro che viaggiano, studiano o lavorano ovunque nel mondo. Questo quadro deve essere in grado di garantire la protezione delle regole internazionali nel commercio e nel diritto.
Le Marche e l’Italia hanno anche bisogno di un quadro in grado di aiutarle a ritrovare la via della crescita economica, in un contesto economico di livello sovranazionale che è sì in crisi ma verso il quale è diretto più del 60% del nostro commercio estero e nel quale godiamo almeno della protezione della stabilità monetaria, senza la quale le cose andrebbero molto peggio. In un paese come l’Italia, nel quale la popolazione sta diventando sempre più anziana, abbiamo bisogno di sicurezza economica, abbiamo bisogno di muoverci come un blocco economico solidale ed unito per difendere il lavoro e lo stato sociale, forse da riformare, ma non da buttare via, in quanto un sistema che è stato capace – fino ad oggi – di generare e garantire prosperità.
Questo posto – al momento unico ed irripetibile – che non dobbiamo smettere di criticare o di modificare e nel quale possiamo fare ed ottenere tutte queste cose esiste: è un’idea che per nostra fortuna – nata solo da quasi 60 anni – è riuscita a diventare anche un luogo.
Questo luogo è stato capace di produrre un bene fragile e molto prezioso che si chiama “Pace” su un Continente segnato da conflitti violenti in maniera quasi ininterrotta per millenni. Non dimentichiamolo mai.
Questa idea diventata luogo ha un obiettivo supremo e una missione delicata: evitare guerre e preservare la pace.
Questo posto, luogo, idea ha un solo nome: si chiama “Unione Europea”.