Questa Europa, nata sui campi di battaglia e sulle ceneri di intere città e paesi, deve affrontare Brexit e altri pericoli elettorali. Ma questo non deve ingannare.

Per creare benessere, tempo libero e stato sociale sono serviti miracoli economici in tutta l’Europa occidentale e questo è potuto accadere grazie al Piano Marshall, ad economie aperte, alla “libertà”, in contrapposizione alla chiusura delle economie dei Paesi dell’Europa dell’Est, strette nella morsa del comunismo e dell’Unione sovietica. Questa è una storia che tendiamo a dimenticare. Anche lo stato sociale nasce e si sviluppa in tale contesto.

Visione, strategia, apertura, opportunità, libertà di fare, così come quella di circolare liberamente, sono stati fattori che hanno inciso e portato verso l’Europa di oggi – ricordiamocelo sempre – che è la prima potenza commerciale al mondo.

I britannici che, rispetto alle altre nazioni, hanno sempre avuto un occhio molto più attento sulle vicende globali del mondo, sono categorici. Anche usciti dall’Unione Europea, sono convinti di poter fare bene, soprattutto a livello di economia mondiale. Questo significa che puntano ad aumentare la loro influenza. Il Primo Ministro britannico Theresa May, che lotta contro una Scozia ed un’Irlanda del Nord che non ne vogliono sapere di uscire dal mercato unico, dichiara a chi vuole sentirlo che “Brexit sarà un successo”. Da questa affermazione, possiamo dedurre che non sarà messa la parola fine – almeno da parte del Regno Unito – sulla globalizzazione, contrariamente a quello che sembra apparire nelle manifestazioni, nelle dichiarazioni ma non nelle azioni.

Che cosa significa questo per noi del PD Marche? Significa che dobbiamo stare attenti alle prossime mosse di tutti gli altri attori coinvolti nella globalizzazione. Bisogna monitorare i paesi avanzati, che sembrano tutti voler rallentare e qualcuno addirittura si erige già come paladino della lotta contro la globalizzazione.

Siamo perfettamente d’accordo che non tutti gli elementi di questa globalizzazione hanno favorito o favoriscono l’economia marchigiana, ma ci dobbiamo anche chiedere quali saranno le mosse degli altri attori, perché qualche paese avanzato, che critica aspramente la globalizzazione, allo stesso tempo sembra voler far scendere per primi tutti gli altri paesi da questo treno in corsa. Molti criticano, ma di fatto si comportano come se volessero scendere per ultimi.

Altre domande. Ma i paesi asiatici, hanno intenzione di scendere da questo treno in corsa? Questi, che sono ormai diventati i nostri concorrenti in molti settori e campi, hanno intenzione di ripudiare la globalizzazione? E poi ancora. Davanti agli Stati Uniti, che stanno ridiventando una potenza manifatturiera, ed il Governo britannico di Theresa May che dichiara “con Brexit il mondo si aprirà alla sua influenza e alle sue capacità”, dobbiamo concludere che è la fine della globalizzazione oppure che, in realtà, se ne prepara un’altra ondata?

Il conflitto sociale nelle nostre Marche (e forse anche in Italia) non si deve più leggere unicamente come una “guerra” tra la classe operaia marchigiana e i datori di lavoro. Questo sarebbe semplicemente una piccola visione da cortile.

La questione è diventata più complessa perché la concorrenza è diventata più tra “blocchi economici”, come tra Europa ed Asia, tra Sud Est Asiatico e Cina per esempio. Questo ci fa pensare che la migliore strategia di risposta alla globalizzazione sia che i lavoratori e gli imprenditori marchigiani debbano smettere di combattersi tra di loro e scegliere invece di fare un patto di sopravvivenza.

Poi ci sono i problemi legati alla sicurezza, dopo i molteplici attentati del terrorismo che ha provocato più vittime tra musulmani che tra altre fedi. La sua azione, sul territorio europeo, ha dimostrato che solo la strada della cooperazione fra sistemi e organi di polizia, di sicurezza e di difesa dei paesi europei era ed è la soluzione per fare in modo che la paura e il terrore abbandonino il suolo europeo.

Il mondo è completamente cambiato. Oggi per le imprese, i clienti non si contano più per milioni ma per miliardi. La base della salvezza del nostro benessere ci richiede di puntare sull’economia dell’Unione Europea, senza dimenticare che “il mondo deve diventare il nostro mercato”. Ecco perché le politiche di crescita devono anche essere lanciate anche dal livello europeo.

I nazionalismi che dicono di voler “difendere l’italianità” non devono trovare casa nelle Marche se vengono a distruggere il tessuto produttivo che a sua volta rischia di travolgere creatori di ricchezza e di posti di lavoro. Se non viene creata la ricchezza, quali risorse potremmo redistribuire? Se vengono distrutti posti di lavoro senza favorirne di nuovi, quale sviluppo senza fratture potremmo garantire?

Questo non significa che non esistano elementi fondati per criticare il funzionamento dell’Europa. Anche quando parliamo di ambiente, di acqua, di sviluppo – anche qui – il coinvolgimento delle persone raggiunge miliardi di esseri umani. Nella stessa logica, per questi temi come quello dell’accesso all’acqua, della protezione dell’ambiente e di sviluppo di zone del mondo svantaggiato che provocano migrazioni epocali, le soluzioni non potranno avere che l’Europa come miglior quadro di studio e di analisi.

Una quota parte del lavoro impiegata dai lavoratori marchigiani nei prodotti e nei servizi che producono, si dirige verso l’estero, principalmente verso l’Unione Europea. La domanda che si potrebbe fare ad alcuni lavoratori marchigiani, che hanno preso la via della contestazione dell’Europa o che si sono messi ad ascoltare le sirene dell’euroscetticismo, sorge spontanea.

Per quei lavoratori che contribuiscono tutti i giorni a fare grande il nostro sistema produttivo marchigiano, ha senso lavorare la settimana intera per guadagnarsi lo stipendio in aziende che vendono in Europa e andare poi in comizi nei quali si punta il dito, dove tutti i mali sono dell’Europa? Proprio quell’organizzazione di UE a 28 che nel 2015 ha assorbito il 61,8% e già a settembre 2016 il 61,6% dei prodotti marchigiani orientati verso l’estero?

Ma oltre agli amministratori locali, nazionali ed europei, qualche domanda su questa Europa dove siamo uniti nella buona e nella cattiva sorte, a noi stessi – cittadini europei – ce la dobbiamo porre. Ma oggi, abbiamo capito che ci dobbiamo dare una scossa per cambiare? Abbiamo coscienza che esistono paesi che mettono i bastoni fra le ruote all’Europa? La risposa è sì. Ma le cose vanno tutte bene, l’Europa è perfetta? Siamo in un momento nel quale siamo tutti abbastanza solidali? La risposta è no. Comunichiamo a sufficienza? La risposta è non abbastanza. Questo significa che la costruzione europea rimane un processo dinamico che bisogna portare avanti con serietà e convinzione, sapendo che uniti nella diversità si possono sconfiggere tutte le avversità.

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