Ancora una volta in Francia, un “figlio della Repubblica” colpisce a sorpresa il proprio Paese con un atto terroristico nel giorno più sacro per la Francia, il 14 Luglio. Questo avviene nella città forse più italiana d’Oltralpe, della quale la piazza centrale si chiama Piazza Garibaldi. Al momento, lamentiamo solo dispersi italiani ma i cognomi di origine italiana delle vittime di Nizza ci rendono doppiamente partecipi a questa strage. Proprio mentre piangiamo i nostri morti dell’incidente ferroviario di qualche giorno fa in Puglia.

Per la terza volta, dopo gli attacchi di Charlie Hebdo (17 vittime) e del supermercato Hypercacher (4 vittime), quelli di Parigi simboleggiati dal Bataclan (130 morti) e adesso Nizza (bilancio provvisorio 84 morti), la Francia si trova davanti a stragi compiute nell’obiettivo di seminare più panico, morti e distruzione possibile, al grido di “Dio è grande”. Ricordiamo che al momento – qualora ce ne fosse bisogno – nonostante la propaganda politica dei movimenti razzisti, xenofobi e di altro tipo che puntano alla disgregazione sociale per conquistare il potere, la maggior parte delle vittime del terrorismo definito di “stampo islamico” sono stati e sono tutt’ora vittime musulmane. Il Consiglio francese del culto musulmano (CFCM), il rettore della Grande Moschea di Parigi Dalil Boubakeur, il Presidente dell’Unione delle Moschee di Francia (UMF) Mohammed Moussaoui, hanno condannato questo attacco di Nizza.

Anche in questi contesti, i nostri valori continuano ad obbligarci a difendere i più deboli. Questo atteggiamento ha finito per creare incomprensioni con una larga fascia della popolazione italiana, con l’opinione pubblica europea, e confondere protezione dalle persecuzioni e immigrazione selvaggia. Senza dimenticare che non dobbiamo cedere alla paura né rinunciare alle nostre libertà.

La lotta contro le organizzazioni terroristiche in giro per il mondo non ha fatto cessare né le minacce in casa nostra né atti violenti più o meno isolati. Questi continuano a causare un numero elevato di morti. Oltre a quello, si lasciano anche dietro una scia di superstiti, vittime difficili da quantificare a livello fisico e psicologico, che si porteranno dietro ferite sul corpo e nella mente per il resto della loro vita.

Questi atti sono certamente il canto del cigno di organizzazioni terroristiche che abbiamo voluto rappresentarci con una struttura verticistica, molto più vicino alla nostra concezione delle cose che alla vera situazione reale sul terreno. In effetti, la risposta massiccia contro l’espansione del cosiddetto “Stato Islamico” e la progressiva scomparsa degli elementi più pericolosi al suo interno cominciano a dimostrare la scarsa potenza di azione globale dell’organizzazione senza ricorrere a questi atti singoli compiuti più da criminali di diritto comune, che si nascondono dietro alla religione, che da membri effettivamente affiliati.

Invece, oltre a vincere la paura, ripudiare l’odio religioso, proteggere chi fugge dalle guerre e dalle persecuzioni e affrontare con coraggio le questioni legate all’integrazione, il tema principale e le minacce a lungo termine rimangono quelle dei cittadini europei andati a combattere o quelle degli estremisti con regolare diritto di soggiornare in Europa.

Possono essere sia uomini che donne, trasformati in combattenti della “fede”. Possono essere persone tornate o che si trovano ancora in zone di aspri combattimenti. Possono essere cittadini italiani o europei di origine straniera o cittadini italiani tout court, che si sono trasformati in estremisti religiosi oppure possono essere semplicemente pericolosi convertiti.

Questi individui rimangono il vero pericolo attuale e quello a venire per le nostre società, una volta fatto il loro ritorno in patria (in Italia e in Europa). La loro pericolosità nasce inizialmente dal fatto che sono soggetti che utilizzano la religione per regolare conti propri con le società nelle quali sono cresciuti. E adesso, la loro pericolosità sociale rischia di moltiplicarsi in maniera esponenziale, considerando la loro esperienza di combattimento e anche quella provocata da eventuali traumi subiti.

Mentre il mondo era concentrato su Londra e il suo nuovo assetto politico nel Regno Unito che vedeva la nomina ufficiale e l’insediamento del Governo del Primo Ministro Theresa May (con Boris Johnson al Ministero degli Esteri), a Berlino in silenzio succedeva un fatto senza precedenti. Nella sua riunione del 13 Luglio 2016, il Governo Federale della Germania ha adottato il “Libro bianco sulla politica di sicurezza e sul futuro della Bundeswehr” (Difesa Tedesca), nel quale la Germania si dichiara consapevole della crescente responsabilità nella sicurezza e la stabilità internazionale e che è pronta ad assumere un ruolo attivo, anche in combattimento.

Inoltre – come disse il Ministro donna della Difesa della Germania Ursula von der Leyen durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera nel 2014 – il Governo della Germania è ben consapevole che le conseguenze dell’inazione possono essere più gravi rispetto a quelle dell’azione. Lo dovremmo essere tutti.

Tante cose sono cambiate nel mondo dall’11 Settembre 2001. La crisi dei debiti pubblici e le sue conseguenze sui bilanci degli stati, l’esclusione dei “perdenti della globalizzazione” che spiega in parte la recrudescenza dei populismi, le crisi dei migranti a livello internazionale, l’espansione e poi adesso la lotta contro il cosiddetto “Stato islamico” che ha portato il terrorismo fino a sotto le porte di casa nostra, le minacce legate alla cyber security, le pandemie come il virus Ebola o i grandi rischi legati a malattie come Zika che hanno messo a rischio i giochi olimpici di Rio 2016, sono tutte situazioni nuove che richiedono a molti paesi di organizzarsi in modo diverso, affrontando spesso vincoli legati a costi e personale qualificato.

In un momento nel quale il ruolo storico della Germania era di essere relegata, fino a poco tempo fa, ad un paese del quale la forza militare doveva essere repressa al fine di evitare il reiterarsi del suo utilizzo contro altri paesi europei e del mondo, l’attuale quadro internazionale e le nuove minacce in casa europea e nel contesto internazionale suggeriscono che è arrivato il momento di rilanciare la questione della Difesa comune Europea.

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