Ogni volta che si parla di Europa ci sono posizioni diametralmente opposte, dall’euroscettico a chi ne è profondamente innamorato. Louise Weiss – per poche ore, in qualità di decana, Presidente del primo Parlamento Europeo eletto a suffragio universale diretto – nel suo discorso disse “l’Europa è una questione di anima!”. Per molti lo è, ed io sono tra questi. Penso tuttavia che sia da riformare, anche se capace di garantire pace e prosperità dai Trattati di Roma del 1957. Non va però buttato via il bambino con l’acqua sporca. L’Europa non deve diventare il capro espiatorio dei problemi che insorgono tra Paesi membri.

L’Europa infatti “sarà quello che sapremo farne” diceva Simone Veil, la prima Presidente donna del Parlamento Europeo. Oggi questo è il quesito: dopo l’emergenza Covid-19, che sapremo fare dell’Europa?

Abbiamo l’occasione storica di costruire una Europa più solidale, restando fedeli al nostro passato di pace e prosperità – nato dopo due conflitti mondiali – e di trovare il percorso istituzionale ed umano per “sentirsi” davvero europei. Cittadini d’Europa, come Patria di popoli con pari dignità ed interessi comuni.

Per dare forma e sostanza a questo, è necessario partire dai giovani – che rappresentano il nostro futuro – con l’obiettivo di formarli ad un comune sentire europeo. Serve più educazione civica europea. L’Europa rappresenta infatti il balcone sul XXI secolo per i popoli che ne sono partecipi.

È quindi necessario aumentare le occasioni di incontro e confronto nelle scuole, per ascoltare le potenzialità dell’Europa dalla voce di chi la “vive” con esperienze concrete legate, ad esempio, ai programmi Erasmus, Leonardo Da Vinci o da chi ogni giorno svolge attività di europrogettazione e si confronta con le istituzioni europee: un modo semplice per iniziare ad avere uno sguardo sull’Europa e sul mondo.

La partecipazione ai programmi sopra ricordati e la progettazione europea hanno infatti la propensione a far lavorare in contesti multidisciplinari e multiculturali e queste attività contribuiscono anche a far percepire di più il motto europeo “Uniti nelle diversità”, adottato per la prima volta dall’UE venti anni fa.

È necessaria una educazione ad una visione europea, ad un pensare europeo per “formare” cittadini europei.

E’ quanto proponeva Anna Siemsen – pedagogista considerata l’antesignana tra le madri dell’Europa – vissuta tra fine Ottocento e inizi Novecento. Per lei avere “il bambino come punto di partenza e la comunità umana come punto di arrivo” è fondamentale, così come l’impegno nella scuola e nell’insegnamento. Le stesse questioni che animavano Maria Montessori, tre volte candidata al Premio Nobel per la pace, nota in tutto il mondo per il Metodo educativo che porta il suo nome e di cui quest’anno ricorre il 150 anniversario dalla nascita. Sofia Corradi – pedagogista ideatrice del programma Erasmus nel 1987 – più volte ha chiesto di dedicarle una lapide presso la “Facoltà di Scienza per la Formazione” di Roma dove la Montessori insegnò.

Donne, pedagogiste, pacifiste. Anna Siemsen, femminista come Maria Montessori, nel 1927 immaginava libri e testi scolastici per una nuova rappresentazione della società europea – nata da lotte per la libertà e la pace di cui oggi il Programma Erasmus rappresenta da oltre trenta anni l’emblema capace di fornire quel di più per vivere una esperienza di vita nella multiculturalità e formare una opinione pubblica pacifista.

Per il suo impegno Sofia Corradi è considerata tra le donne che hanno fatto l’Europa: il 9 maggio 2016, Festa dell’Europa, ha ricevuto il prestigioso premio Carlo V. Nella Giornata mondiale ONU della democrazia – 15 settembre 2019 – è intervenuta ricordando l’esistenza di scopi comuni tra UE ed ONU. Oggi quegli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile rientrano in Agenda 2030 ed il coordinamento dell’attuazione a livello europeo è assegnato al Commissario all’Economia Paolo Gentiloni.

Tre pedagogiste, dunque, che hanno fatto della diversità culturale per il dialogo e lo sviluppo una bandiera comune. Ricordarne le visioni in occasione della Festa dell’Europa del 9 maggio, a 70 anni dalla Dichiarazione di Schuman – “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto” – sia da stimolo per chiedere di introdurre più educazione civica europea a tutti i livelli con l’obiettivo di formare una generazione di giovani capaci di sentirsi cittadini del mondo con solidi valori comuni di cittadini davvero europei.

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