L’accelerazione della Storia in questa estate di morti e di feriti subisce un ulteriore balzo con la morte Martedì 26 Luglio 2016 di Padre Jacques Hamel a Saint-Etienne-de-Rouvray. Ancora una volta, questo succede in una Francia nella quale si contano 236 persone che hanno perso la vita in attentati ed attacchi terroristici negli ultimi 18 mesi. Senza contare i feriti.

Oltre a toccare una fede nella quale molti cittadini italiani si riconoscono, questo numero di morti è altamente simbolico per le Marche: corrisponde esattamente al numero dei Comuni che conta la nostra regione. 1 morto a causa del terrorismo per ogni Comune marchigiano.

Trasmettiamo le nostre condoglianze a tutte le famiglie, una solidarietà indefettibile alla Francia, Paese con il quale condividiamo una frontiera, Paese fondatore dell’UE insieme a noi. Ancora recente è la ferita e il lutto condiviso di Nizza, con le sei vittime di nazionalità italiana e quelle francesi, spesso con cognomi di chiara origine italiana.

Questa sincera solidarietà con la Francia e la volontà di cooperazione per domare il male che affligge le nostre società sono stati subito offerti dall’Italia. Proprio fin dall’inizio dello scalare di questa violenza, solo 18 mesi fa, come ricordavamo sopra.

L’accelerazione della Storia che stiamo sperimentando non è stata dettata solo dal terrorismo e dalla mutazione profonda del quadro nel quale viviamo e che sta modificando le nostre abitudini e il nostro modo di pensare. Purtroppo no. Ci sono altri eventi in corso che continuano a creare rischi e minacce che dobbiamo affrontare in contemporanea, oltre alla priorità che oggi dedichiamo giustamente alla sicurezza dei cittadini.

In effetti, la costruzione europea ha subito un duro colpo con un Brexit simboleggiato dalle enormi code venutesi a creare lungo le vie di comunicazione per entrare in Francia. E non sono ancora cominciati i negoziati per l’uscita del Regno Unito. Alla luce di questi eventi che possono arrecare un grande pregiudizio ai cittadini – come i vacanzieri bloccati nel traffico per ore o i camionisti bloccati con le loro merci e la voglia di tornare a casa a distanza di migliaia di chilometri – diventa chiaro e imperativo che bisogna avviare prima possibile i negoziati di uscita e bisognerà stare molto attenti a non trasmettere incertezze o a creare ulteriori disagi nelle decisioni provvisorie o definitive che verranno prese.

La piega “populista” che stanno prendendo le elezioni presidenziali di Novembre 2016 negli Stati Uniti e l’utilizzo di violenza verbale estrema con un appello da parte di un veterano a fare “comparire il candidato democratico Hillary Clinton davanti ad un tribunale per condannarla per alto tradimento per poterla fucilare”, destano molta preoccupazione. Proprio mentre il Paese sta cercando di non sprofondare nella spirale della violenza causata dagli assassini a sangue freddo e le sparatorie contro i poliziotti, accusati di avere relazioni difficili che portano spesso alla morte di afro-americani nelle operazioni di controllo e di perquisizioni. La Turchia continua ad essere un enigma che i prossimi mesi ci sveleranno come affrontare, con il chiaro pericolo che i negoziati per l’adesione all’UE sono a rischio qualora si dovessero prolungare sia gli abusi del governo turco, non solo nei confronti della dignità dei soldati, sia gli attacchi a magistrati, università e giornalisti.

Padre Jacques Hamel, in pensione, ha svolto il suo ministero come “Usque ad effusionem sanguinis”, cioè fino a versare il proprio sangue, fino al martirio. Lui ha dato la vita, dopo una vita spesa al servizio mentre i suoi assassini avevano tutta la vita davanti, ma loro hanno deciso di buttarla via, insieme a quella di altri.

Ora due sfide immense ci aspettano.

La prima è quella di respingere con forza questa filosofia della morte, rivendicata continuamente da uno Stato Islamico in affanno e che continua ad uccidere musulmani, che i fatti continuano a dimostrarci essere giovanissimi, con problemi personali che vogliono fare scontare alla collettività.

La seconda sfida è che una minaccia così disordinata, disorganizzata e imprevedibile ci pone di fare riflessioni sulla sicurezza, nelle quali nessun Paese potrà – in nessun caso – fare da solo. Difesa comune, condivisione delle informazioni, collaborazione tra le polizie e i servizi di sicurezza interni ed esterni, cyber security, assistenza internazionale delle vittime, armonizzazione delle legislazioni in materia di sicurezza sono tutti temi sui quali dobbiamo continuare a parlare a livello sovranazionale.

Stringiamoci tutti ad “Europa” se vogliamo assumerci la responsabilità di aiutare oggi i nostri partner che, come la Francia, sono già sotto attacco.

Stringiamoci tutti ad “Europa” se riconosciamo che domani potremmo essere chiamati a rispondere a ulteriori sollecitazioni nelle quali siamo comunque vincolati a garantire la sicurezza dei nostri figli, anziani, delle nostre imprese, dei nostri monumenti, e a garantire la sopravvivenza dei nostri valori che ci derivano dal passato, così come a lottare per la sicurezza del nostro futuro.

Stringiamoci tutti ad “Europa” per rigenerare un ambiente, un contesto dove tener conto che la priorità è di fare uscire l’Europa dalla crisi, abbandonando ogni posizione dogmatica che impedisca che ciò avvenga.

Stringiamoci tutti ad “Europa” per dare una risposta che sia capace di rispecchiare la “multinazionalità delle vittime”, per non dimenticare i morti e i feriti, ma anche per prendere sempre più coscienza e reagire sapendo che la follia omicida, guidata anche dall’imprevedibilità del momento della violenza alla quale i terroristi ci vogliono sottoporre, è una sfida globale che non possiamo affrontare ognuno andando per la propria strada, ognuno contando esclusivamente sulle proprie forze.

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