Il 26 Aprile 1956, l’americano Malcom McLean – l’inventore del container – ne spediva cinquantotto da Newark nel New Jersey a Houston nel Texas. Oggi nel mondo ne esistono oltre venti milioni. Ma il container non naviga solo per i mari del mondo. Parte dal piazzale delle nostre aziende dove viene caricato con la merce prodotta grazie a mani, cervelli e capacità tecniche e tecnologiche dei lavoratori marchigiani. Poi, prende la via stradale, quella ferroviaria, quella dell’acqua e, se opportunamente modificato, anche quella dell’aria. Questo “strumento logistico di base” è responsabile, in generale, dello straordinario sviluppo del commercio e, in particolare, di quello estero. La ragione sta nel fatto che permette di trasportare – in container appositamente costruiti – anche merci speciali come vini, frutta e verdura da un lato, solventi e prodotti chimici liquidi dall’altro, tutti prodotti che, provenienti dalle Marche, vanno verso destinazioni le più diverse.
Se a tutte queste cose aggiungiamo un contesto nel quale esistono di fatto bassi costi di trasporto – che rendono poco o totalmente ininfluente il luogo di produzione della merce – riusciamo a capire meglio la situazione del mondo nel quale viviamo.
Come per la globalizzazione, tale invenzione – trasformatasi in poco tempo in una straordinaria innovazione che ha di fatto accelerato notevolmente le operazioni di carico – non solo ha reso felici le persone. Di fatto ha cambiato profondamente la vita e le attività nei porti. Basti pensare ai marinai che non dovevano più aspettare tempi biblici, anche di due settimane, per il completamento del carico.
Questa lezione ci insegna come non si debba fuggire dai cambiamenti, ma che bisogna cercare di governarli.
Se da un lato pensiamo agli effetti provocati dal container come ad una straordinaria “standardizzazione del trasporto” dall’altro dobbiamo anche costatare che la materia dell’imprenditorialità – la quale è proprio alla base delle produzioni da movimentare tramite quello strumento – ha conosciuto un percorso molto diverso. Altro che standardizzazione.
L’accelerazione straordinaria degli scambi commerciali, le invenzioni e le innovazioni successive, la trasformazione dei modelli economici (e-transformation) e altri molteplici fattori ci hanno fatto conoscere forme imprenditoriali tra le più diverse e tra le più diffuse ovunque nel mondo.
Non è stato tutto rosa e fiori. In alcuni casi estremi, siamo stati costretti a guardare a nuovi modi di fare impresa, oppure ci hanno costretti a cambiare radicalmente quelli esistenti. La nostra ultima sfida si chiama Industria 4.0 e non dobbiamo avere dubbi sul fatto che esista una imprenditorialità del futuro già in corso o una che deve addirittura ancora nascere. E anche quest’ultima avrà degli effetti sui nostri modi di vita, sul nostro lavoro, sul nostro reddito e sulla nostra salute.
Non vi è nessun dubbio su questo. Siamo e saremo per lungo tempo in un percorso di cambiamento e adattamento continuo. E le Marche e proprio le sue imprese devono – in Italia, in Europa e nel mondo – essere e restare avanti in questo processo.
Parte del mondo è ancora in crisi, in seguito alla crisi del 2008, compreso il mercato interno in Italia. La classe media cinese, sulla quale le nostre imprese contavano molto, è rimasta traumatizzata dal crollo borsistico che c’è stato in Cina. Questo paese è ora impegnato a creare un (immenso) mercato interno sul quale il mondo sta cercando di introdursi. Le aziende marchigiane non devono fare eccezioni. Per quanto riguarda il polo produttivo che conoscevamo come “la fabbrica del mondo”, le relative imprese cinesi hanno cominciato a delocalizzare in Vietnam e ancora più lontano. Prendiamone nota.
Ma esistono anche molte altre opportunità che solo il fiuto degli imprenditori può riconoscere, come il mercato tecnologico degli Stati Uniti dove dobbiamo orientare le nostre start up e PMI innovative. Oppure cercare di soddisfare la clientela degli americani benestanti il cui numero continua a crescere – nonostante le disuguaglianze – chiamando alla riscossa le aziende marchigiane alla ricerca di margini e non solo di volumi.
Oppure, ci sono le opportunità legate alla necessità (governi), all’obbligo (città) o alle scelte personali (consumatori) di salvare il pianeta, che possono permettere o spingono a prendere in considerazione attività imprenditoriali.
Green Economy, Economia circolare, Coworking, FabLab, Sharing Economy, Industria 4.0, Economia degli anni d’argento, biomedicale, fintech, automotive, aerospazio, sicurezza, cibersecurity, difesa – solo per citarne alcuni – e altri settori strategici sono proprio qui, di fronte a noi ogni giorno, per attirare l’attenzione di tutte le aziende marchigiane e delle proprie autorità politiche e amministrative. Vi è la urgente necessità di sostenere, favorire lo sviluppo di una imprenditorialità marchigiana (anche e soprattutto quella giovanile e quella femminile), perché il mondo non è né statico né – più o meno – standardizzato, come il nostro prezioso container.
Il mondo è diventato – piuttosto – un luogo estremamente dinamico e cangiante e questa è una situazione con la quale ci dovremmo confrontare per anni. Pertanto, il 2017 dovrà rappresentare un trampolino per l’imprenditorialità marchigiana, affinché diventi uno dei principali punti di partenza e di forza di un modello marchigiano orientato alla riconquista della crescita economica per il bene della nostra regione, nella speranza di diventare un modello per l’Italia del post sisma e per un Sud che ce la può e ce la deve fare.