Il 14 Marzo 2003, l’ex Cancelliere Gerhard Schröder – a costo di perdere in popolarità – presentava la sua “Agenda 2010” che prometteva lacrime e sangue. E così fu, insieme ad una precarietà senza precedenti. Ma oggi la Germania è ritornata al salario minimo ed è tra le prime potenze economiche del mondo. Un paese manifatturiero – come l’Italia, come le Marche – che continua a realizzare record di esportazioni e surplus commerciali, condannati ma certamente invidiati da tutti.
Un Paese che si è anche potuto permettere di sancire il vincolo di pareggio di bilancio nella Costituzione, ma questo principalmente perché è un Paese federale.
Sarà senza dubbio un formidabile concorrente per gli Stati Uniti, che spinge il Presidente eletto – uomo d’affari e miliardario Donald Trump – a dire, nel suo discorso della vittoria, che “vuole fare crescere l’economia il doppio rispetto ad oggi”. Anche negli Stati Uniti si è ritornati all’economia reale e al manifatturiero. Difficilmente si vede come un Presidente di un Paese diventato esportatore di beni manifatturieri (e addirittura anche di petrolio) possa attuare le sue minacce nei confronti degli immigrati e creare, nel mercato globale, un clima distruttivo degli scambi economici.
Bisogna pertanto tornare con i piedi per terra, dopo gli insulti, i colpi bassi e la sorpresa che c’è stata. Sarà questa sorpresa che spiega, umanamente, perché Hillary Clinton, dopo un mancato appuntamento con la Storia, ha mantenuto, in un primo momento, un prolungato silenzio per non presentarsi distrutta davanti alla platea delusa dei suoi elettori?
Questi due paesi – Stati Uniti e Germania – sono andati a conquistarsi fette di mercato di prodotti manifatturieri in giro per il mondo. Noi in Italia, da circa venti anni a questa parte, non abbiamo avuto la fame necessaria, la voglia, non siamo stati capaci o non abbiamo saputo intercettare questi mercati, quando eravamo tra le economie più manifatturiere del mondo, pur sapendo che i nostri prodotti sono da sempre – e restano ancora oggi – ottimi e potenzialmente ricercati.
La Germania di allora ridusse le indennità di disoccupazione, introdusse l’obbligo di accettare qualsiasi impiego per i disoccupati, aumentò drammaticamente il numero di lavoratori interinali, favorì “l’autoimpiego”. Furono toccate pensioni ed età pensionabile in un contesto di forti autonomie e competenze regionali, in un sistema produttivo fatto di piccole e medie imprese familiari, come in Italia, ma dove esistono anche imprese di grandi dimensioni, diversamente da noi.
Nel nostro Paese alcune di queste riforme sono state fatte. Ma dobbiamo fare di più, perché rimangono altre “palle al piede” per le nostre imprese e il nostro sistema, legate alla dimensione delle stesse – troppo piccole per fare il salto internazionale da sole – e ad un’organizzazione del settore pubblico molto centralizzata, con ancora poche competenze vocate all’internazionale oppure a geometria variabile sul territorio nazionale.
Il bilancio dell’ex Cancelliere tedesco Gerhard Schröder divide tutt’ora le opinioni. Ma è innegabile che il paese goda di una migliore salute rispetto al passato, soprattutto rispetto ai suoi concorrenti, e che la chiave di successo sia stata quella di aver favorito l’ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro tedesco.
L’Europa resta una piazza sulla quale giocare per le nostre imprese, specialmente sul mercato tedesco e, in generale, su tutti i “mercati maturi”. E in una regione – le Marche – dove si produce di tutto, anche in termini di servizi, diventa difficile spiegare come – nonostante il mondo continui la sua espansione economica – i nostri prodotti, i nostri marchi e le nostre start up siano ancora fattori scarsamente conosciuti nel mondo.
Dimensione delle imprese, puntare sul marchio per aumentare i margini, introdurre più managerialità, risolvere il problema del finanziamento delle imprese marchigiane (ricorrendo anche a nuove forme di finanziamento accanto a quelle più tradizionali) ed investire sull’ampia distribuzione di prodotti sono tutte realtà dalle quali non ci possiamo più nascondere se vogliamo tornare a crescere, restare ai primi posti nel mondo tra i paesi manifatturieri e percorrere la via irrinunciabile e strategica dell’internazionalizzazione. Anche perché questo risulterà decisivo per sostenere una regione in forte senilizzazione e soprattutto – in questa fase – i nostri territori colpiti dal terremoto.
Non solo grazie alla ricostruzione, ma anche alla salvaguardia delle imprese esistenti così come al sostegno della nascita di tante altre iniziative imprenditoriali chiamate per loro natura – oggi necessario più che mai – a creare nuovi posti di lavoro.