Per dare un’idea di come stanno le cose adesso, dopo la vittoria del “NO”, dopo che comunque il sole è sorto di nuovo il 5 dicembre 2016, basta ricordare alcuni elementi.

La ricostruzione in quattro regioni, per una spesa valutata intorno ai sette miliardi di euro, rimane un compito che spetta al nostro – in settanta anni – sessantaquattresimo Governo. Un governo che dovrebbe insediarsi rapidamente. Si spera.

Il Premier uscente Matteo Renzi ha subito messo la palla nel campo dei vincitori del “NO” che – come era da prevedere – si muovono in ordine sparso. Chi vuole le elezioni subito, chi le vuole dopo le modifiche dell’attuale legge dalla consulta, chi vuole una nuova legge elettorale e chi vuole un governo che porti il Parlamento fino a fine legislatura (le malelingue dicono per maturare il vitalizio), facendo le riforme con la calma e il maggior consenso possibile. A queste condizioni, è facile capire che i giochi sono fatti. Addio alle riforme e buongiorno ai litigi infiniti.

Per chi è chiamato a governare questa fase transitoria dunque la strada sembra essere in discesa. Bisogna solo governare l’attuale situazione insieme al Capo dello Stato Mattarella. Resta da chiedersi: quale tipo di governo? Per fare che cosa?

Rimane invece il vincolo che il Candidato Premier dovrà godere della fiducia del partito, perché – nel mondo del 2017 – il PD dovrebbe mantenere una salda maggioranza nella Camera dei Deputati. Dovrà gestire la questione della ricostruzione, cercando di governare eventi nei quali l’emergenza, solo affievolita, non è finita. L’insediamento a gennaio del 2017 di Donald Trump, la rinuncia del Presidente francese François Hollande a ripresentarsi al rinnovo del suo mandato e le elezioni in Germania, alle quali si presenterà di nuovo la Cancelliera Angela Merkel – ma in un clima di minaccia e di alto rischio di crescita di movimenti di estrema destra – sono tutti elementi che ci richiedono di avere una persona autorevole come Presidente del Consiglio. Altro motivo importante è perché c’è da ospitare l’anniversario del sessantesimo anno dalla nascita dell’Unione Europea, la cui fondazione risale ai Trattati di Roma del 1957. Autorevole sì, perché ci vuole una persona in grado di presiedere il G7 a Taormina, di gestire la crisi in Siria e la lotta contro lo Stato Islamico insieme al Presidente della Russia Vladimir Putin. Ci sono da portare avanti, eventualmente, le negoziazioni della Brexit in qualunque momento il governo del Regno Unito di Theresa May decidesse di far scattare l’articolo 50, procedure che dovrebbero durare due anni. Poi abbiamo la spada di Damocle del terrorismo internazionale, del rischio legato al ritorno dei cittadini europei verso casa, già combattenti stranieri nelle zone di guerra in Medio Oriente e ovunque nel mondo. Tutto questo impone ai nostri governanti di cominciare a seguire, dall’inizio, l’iter del “Piano d’Azione di Difesa europeo (Edap)”, pacchetto annunciato il 30 novembre 2016, durante una conferenza stampa, dall’Alto rappresentante dell’UE Federica Mogherini, insieme al Vicepresidente della Commissione UE per la crescita Jyrki Katainen e dal Commissario UE al Mercato interno Elzbieta Bienkowska

Per fare bene tutto questo servono figure di livello superiore o uguale a quello di Romano Prodi per esempio.

Invece, per chi è chiamato a fare impresa, la strada è in salita.

Il mercato interno rimane fermo e, in questo contesto di incertezza, le sue prospettive di crescita non migliorano affatto. I paesi capeggiati dall’Arabia Saudita hanno deciso di diminuire la produzione di greggio. Questo dovrebbe portare – progressivamente – all’aumento del costo dell’energia (con conseguente aumento dei costi di produzione per le imprese marchigiane), finché dagli Stati Uniti non arriveranno la convenienza a produrre e le opportune quantità di petrolio capaci di fermare la salita dei prezzi.

Inoltre, finché non si inseriranno soprattutto più donne e anche più giovani nell’economia italiana, difficilmente si verificherà la tanto attesa crescita economica, perché cresciamo ma sempre molto poco, come succede da troppo tempo. Anche da prima della crisi del 2008.

Oggi le opportunità commerciali rimangono ancora sul mercato internazionale. Ma ci sono anche nuove imprese e nuove imprenditorialità che nascono qui da noi. Sono quelle spinte dalla semplice voglia di fare impresa, dalla voglia di reinserirsi nel mondo del lavoro, spinte da una scoperta o meglio da un’invenzione di prodotti o servizi innovativi. Sono quelle traghettate dal nuovo mondo che abitiamo, caratterizzato dall’e-transformation – “trasformazione dei modelli economici” – provocata dalla forte penetrazione nella nostra vita delle nuove tecnologie di comunicazione e informazione.

La lentezza con la quale facciamo le riforme in Italia – al di là delle colpe – ribadisce un concetto importante. Ci sono nuove opportunità da cogliere, nuove regolamentazioni da aspettare e rispettare, nuove sfide imprenditoriali da affrontare. Rimangono ancora lunghe vie da percorrere, perché il lavoro torni ad insediarsi sulle colline marchigiane, restituendo ai lavoratori la dignità e il benessere che hanno conosciuto non molto tempo fa.

Che lo vogliamo oppure no, che ci piaccia oppure no, ottenere più lavoro – a parte quello statale che si può creare artificialmente ed in ogni momento e che non diminuiamo quando non facciamo le riforme – significa guardare alle imprese.

Dobbiamo guardare alle imprese non perché il PD Marche è un accanito tifoso del liberismo sfrenato. Dobbiamo guardare alle imprese non perché si vuole essere al servizio di poteri imprenditoriali o di chissà quali poteri internazionali conosciuti o occulti.

Dobbiamo guardare alle imprese semplicemente perché la nostra esperienza marchigiana ci dice che sono gli imprenditori e le imprese che hanno tirato fuori donne e uomini dai lavori nei campi.

È anche perfettamente vero che sono i lavoratori, con il loro sudore, ad aver contribuito a creare quella ricchezza che poi il livello politico ha l’obbligo di indirizzare.

Serve un indirizzo capace di garantire uno sviluppo armonioso, rispettoso delle diversità, del territorio, dei diritti dei lavoratori e in grado – allo stesso tempo – di avere la premura necessaria di lasciare le cose meglio di come le abbiamo trovate.

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