Introduzione
La crisi economica del 2008 sta per compiere dieci anni.
In Italia, soprattutto nelle regioni del Nord, questo fenomeno ha lasciato dietro di sé macerie industriali: zone artigianali e industriali semi deserte, a causa di aziende che hanno dovuto chiudere prima ancora di spostarsi nel capannone nuovo.
La conseguente disoccupazione ha contribuito ad uccidere il mercato interno di una potenza economica di circa 60 milioni di abitanti come l’Italia (dati Istat al 1 gennaio 2016), nella quale si produceva e si produce – ancora – di tutto. Dalle viti ai satelliti, dalle biciclette, passando per le moto, le auto, fino agli elicotteri e senza dimenticare gli aerei e le navi. Dal cibo industriale ai medicinali, dal latte fresco ai prodotti alimentari stagionati. Dall’abbigliamento per adulti e bambini, dalle scarpe ai vestiti, dai giochi agli strumenti musicali e perfino i prodotti agroalimentari di qualità in grado di rispettare esigenze personali o legate alla propria fede.
E questa lista non è esaustiva. Ma è l’assaggio sufficiente che ci fa capire perché l’Italia sia la seconda potenza industriale in Europa, dietro la Germania.
Per quanto ci riguarda più da vicino, le Marche non sono più solo terra agricola. Sono diventate nel tempo zona imprenditoriale. E di questo cambiamento epocale bisogna prenderne definitivamente atto, prima possibile. Senza questa convinzione, risulterà difficile indirizzare la nostra regione ed il nostro paese verso le soluzioni giuste per risolvere i nostri problemi passati, presenti ma soprattutto quelli futuri.
Ecco perché nel PD Marche parliamo di “eccezione marchigiana”. Perché nella nostra piccolissima regione, che raccoglie appena il 2,5% della popolazione italiana senza imprese non esiste il lavoro.
Sarà ora che ci fissiamo questo primo principio in testa e cercare di divulgarlo al massimo?
L’eccezione marchigiana e diversi tipi di imprenditorialità
L’eccezione marchigiana (regione imprenditoriale, manifatturiera, della micro impresa, esportatrice, ma anche con una popolazione longeva), a cui va aggiunta la situazione contingente del terremoto, ci spinge a puntare sull’imprenditorialità, orientamento naturale della nostra piccola regione.
Se da una parte è abbastanza chiaro, anche in base ai numeri più volte analizzati, perché dobbiamo puntare sull’asse verticale dell’imprenditorialità tradizionale, quella femminile, quella giovanile e infine quella degli immigrati, le sfide mondiali costringono oggi le Marche ad andare rapidamente anche verso un nuovo orientamento per aprire una fase di imprenditorialità settoriale (orizzontale).
Affianco ai modelli di imprenditorialità liberale nord americano, basato sulla valorizzazione dell’innovazione, sull’individualismo, sull’assunzione del rischio e della ricerca del massimo profitto, nel tempo si sono sviluppate altre forme di imprenditorialità che alcuni di noi già conoscono e che mettono a nostra disposizione, per esempio, prodotti come quelli dell’economia equo solidale.
Possiamo anche citare l’imprenditorialità in rete che nasce dalla produzione per conto terzi (conosciuta anche in Italia e che ha urgente bisogno di essere collegata alle grandi catene del valore).
Poi c’è l’imprenditorialità corporativa diffusa in Francia e in generale in Europa. Infine, c’è l’imprenditorialità informale molto diffusa in Asia, per esempio, continente nel quale siamo chiamati in futuro ad espandere le nostre attività.
L’imprenditorialità non sempre è basata sulla ricerca assoluta del profitto. Alcuni modelli sono basati sulla fiducia reciproca. In alcuni casi, si tratta addirittura di riporre il modello di business sulla fiducia totale verso una parte dei contraenti, soprattutto nel settore informale.
Ci sono dei modelli di imprenditorialità più “collettivi”, nei quali è l’arte di arrangiarsi che conta, altri nei quali sono le capacità di fidarsi del prossimo che sono alla base del sistema.
Poi arrivano anche il bisogno di socializzazione e di sensibilità verso gli altri – in opposizione alla realizzazione personale – che hanno portato alla creazione di nuovi modelli di business (la sharing economy per esempio).
Ecco. Siamo chiamati ad abbracciare tutti questi vecchi e nuovi modelli, senza dimenticare le start up di domani, nascoste o che “dormono” ancora nei garage marchigiani.
E servirà un luogo – Centro di Imprenditorialità Diffusa – nel quale far nascere, coordinare e risolvere i problemi che scaturiranno da questa straordinaria avventura che le Marche hanno la possibilità di lanciare.
Contesto generale
Prima, nell’introduzione, abbiamo parlato di un mercato interno ferito a morte, massacrato dalla crisi del 2008. Ecco perché l’internazionalizzazione (delle nostre imprese si intende) risulta essere la via strategica per uscire da questa trappola responsabile dell’emorragia di posti di lavoro.
E questa è la situazione nella quale stavano le cose – e lo sono ancora – già prima della crisi. Ed è in questo contesto che dovevamo già aver chiaro che l’imprenditorialità costituisce un fattore strategico per la rinascita industriale delle Marche e dell’Italia. Con molti problemi vecchi da risolvere.
Da poco, come se non bastasse, altre importanti sfide si sono aggiunte ad una situazione che definire precaria significa essere estremamente gentili.
Si tratta di fenomeni come il terrorismo internazionale e quello delle migrazioni, venuti a peggiorare le nostre ansie e a gravare maggiormente sulle risorse che avevamo a disposizione per rilanciare l’economia. Perché la vita umana e la sicurezza vengono prima di tutto.
Ma abbiamo realizzato che queste ed altre sfide hanno portato con sé ulteriori rischi e molti problemi, che bisogna affrontare senza fuggire davanti a questioni che abbiamo messo, a lungo, sotto il tappeto. Come quella della necessità di aumentare i fondi per la nostra sicurezza oppure quella importante e strategica della cooperazione allo sviluppo – con promesse da mantenere – senza la quale la questione delle migrazioni non potrà essere mai risolta.
La recente modifica dello scenario mondiale non deve ingannare. Brexit o l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo sul clima di Parigi non devono ingannare. Le sfide ambientali e climatiche, l’aumento esponenziale della popolazione in zone popolate maggiormente da giovani, come ad esempio l’Africa, e la senilizzazione delle società cosiddette avanzate come Giappone, Europa e in parte Stati Uniti, le sfide legate alla disponibilità e l’equa distribuzione dell’acqua e dell’energia nel mondo – loro – rimangono.
Oggi, esiste un punto di riferimento mondiale per tutti che sono gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2030 definiti dalle Nazioni Unite il 25 settembre 2015 a New York.
Ed è qui che deve subentrare il fattore imprenditoriale.
Proprio perché l’imprenditorialità, quella oggi, è in grado – naturalmente con l’intervento fermo e l’indirizzo deciso di un’amministrazione pubblica mossa da uno spirito di “politica di servizio” – di trainare tutti questi elementi verso l’obiettivo strategico di una ripresa economica rapida e sostenuta.
Economia della condivisione (Sharing economy), economia circolare, industria 4.0, coworking, FabaLab, incubatori, piattaforme crowdfunding, riconversione di settori produttivi verso nuove frontiere come ad esempio l’aerospazio – per citarne alcuni – sono ambiti che se dovessero beneficiare dell’appoggio dell’imprenditorialità, si troverebbero davanti un fattore moltiplicatore straordinario.
Imprenditorialità, soprattutto quella femminile, significano salvare il passato, proteggere il presente e disporre per il futuro delle Marche.
Imprenditorialità significa anche gestire le questioni legate all’energia, all’informatica e le nuove tecnologie, al cibo e all’agricoltura, al riciclo dell’acqua, alla costruzione di case e immobili utili alla società, gestione e riciclaggio dei rifiuti, senza dimenticare una sanità costituita sempre più da servizi.
Abbiamo bisogno di fare veloce per uscire dalla crisi. E a parte coloro che – e non lo ricordiamo volentieri – trascurano il fatto che il lavoro viene creato dalle imprese, questa velocità di azione e di realizzazione per “decollare” ce la può garantire solo l’imprenditorialità.
Superare pregiudizi ideologici
Speriamo di aver finalmente chiarito l’ambito nel quale si evoca o si critica l’imprenditorialità, l’aiuto alle imprese: alla base vi è un pregiudizio ideologico.
A coloro che accusano il PD Marche di difendere le imprese rispondiamo che è necessità di sopravvivenza, per mantenere posti di lavoro e creare nuova occupazione.
Innanzitutto perché le Marche costituiscono un’eccezione. L’eccezione marchigiana.
Poi perché l’imprenditorialità è in grado di trainare la nostra regione e l’Italia fuori dalla crisi, orientandoci tutti verso l’internazionalizzazione, unica via d’uscita dalla crisi economica.
Poi perché l’imprenditorialità è in grado, da una parte, di sbloccare le risorse economiche e dall’altra di trainare rapidamente molti progetti, come quelli legati alla cooperazione allo sviluppo e alla Responsabilità Sociale di Impresa, alla gestione delle nuove sfide legate alla tecnologia, all’innovazione e alla ricerca.
Cerchiamo pertanto di non farci ingannare dai nostri giudizi o pregiudizi ideologici, ma guardiamo la realtà in faccia: senza imprese, nessun lavoro.
E senza lavoro, l’Italia perde tutto il senso del suo essere perché “Repubblica democratica fondata sul lavoro”
E nessuno vuole che l’Italia da questa partita ne esca sconfitta.
Allora, mettiamoci al lavoro, fianco a fianco con le imprese se vogliamo raggiunge questi grandi e diversi obiettivi, sapendo che il successo delle Marche sarà quello dell’Italia.