Abbiamo spiegato più volte perché l’internazionalizzazione delle imprese marchigiane – dopo il crollo del mercato interno – sia diventato un fattore strategico per l’economia regionale al fine di conservare e creare nuovi posti di lavoro.

Qualora fosse ancora necessario, vogliamo e dobbiamo segnalare nuovamente che le Marche – con soli 1,5 milioni di abitanti – sono all’ottavo posto tra le venti regioni italiane in materia di export. Non solo. Per nostra fortuna, grazie all’iniziativa degli stessi imprenditori, delle braccia e delle menti dei nostri lavoratori, che producono beni e servizi, la Regione continua ad accumulare un saldo positivo nella sua bilancia del commercio con l’estero.

Accanto a questa necessità strategica – “puntare sull’internazionalizzazione delle imprese marchigiane” – dovuta a fattori interni alla nostra economia (crollo del mercato interno), esiste una motivazione esterna all’economia marchigiana (espansione continua del mercato estero) che giustifica una ulteriore strategia: “puntare sull’aumento del numero degli esportatori abituali”.

Mentre per la prima azione strategica di internazionalizzazione gli attori principali, chiamati a fornire il maggiore sforzo, sono operatori pubblici con strategie che richiedono l’intervento sia di enti pubblici che di privati (Stato, Regioni, Diplomazia Economica, ecc.), il successo della seconda azione (necessità di aumentare il numero degli esportatori abituali) – alla quale da oggi bisognerà aggiungere la parola “urgente” – dipenderà principalmente dal tessuto imprenditoriale marchigiano stesso, dalla sua dinamicità e dalla sua capacità di affrontare la grande sfida di inclusione delle donne e dei giovani in questo processo.

Poi ci sarà da decidere da dove cominciare. Per affrontare i mercati mondiali il terreno di apprendimento della nostra imprenditorialità è tuttora e dovrà restare la zona euro. In seguito, sarà necessario ingranare rapidamente la marcia superiore per affrontare i mercati al di fuori dalla zona euro, in Europa e nel mondo.

Allo stesso tempo, la digitalizzazione e la conseguente trasformazione dei modelli economici, nuovi bisogni e il naturale processo di distruzione creatrice, hanno creato nuovi bisogni vicino e lontano da casa nostra. Per alcune nuove imprenditorialità, sarà necessario un accompagnamento fuori dai confini per essere lanciate da subito nel mercato globale, qualche volta anche molto lontano dai “garage” o dai coworking marchigiani nei quali queste stesse start up nostrane sono nate.

La necessità di affrontare la grande sfida di “internazionalizzazione diretta delle nuove imprenditorialità” (principalmente le start up e le industrie creative) è un fattore strategico importante da tenere in considerazione.

Ultimamente, la zona euro è tornata di nuovo alla ribalta dopo che i populismi hanno fatto dell’uscita dall’euro la propria bandiera per la loro campagna di propaganda basandosi su una clamorosa disinformazione. Alla luce dei fatti, tale posizione sta scemando nei movimenti populisti. In effetti, questa strategia politica sembra nascere più dall’ignoranza e dal dilettantismo che non dalla volontà di nuocere.

Forse proprio la mancata conoscenza della realtà spiega i continui passi indietro di tutti i populismi su questa sciagurata misura, rispetto alla quale perfino il Front National francese sta facendo marcia indietro, visto che non vede più “l’uscita dall’Euro” come una misura prioritaria?

Chi vive in Italia, nella realtà del lavoro della seconda potenza industriale dell’Europa dietro la Germania, sa invece benissimo che l’Europa è fondamentale. Per esempio per le Marche nel 2016, l’Europa ha rappresentato rispettivamente il 60.9% (verso l’UE-28) e il 72.1% (verso l’Europa come Continente) della destinazione del nostro export. Basterebbero solo questi due dati per mettere fine alle polemiche provocate da chi ridicolizza l’Europa e che ha fatto e continua a fare della demagogia la propria ideologia. Questo è quello che ci distrae ed impedisce di concentrarci sulle grandi riforme dell’Europa, delle quali – invece – abbiamo veramente bisogno.

La zona euro è una zona strategica per le Marche e per l’Italia. Non solo perché vi esportiamo una gran parte dei nostri prodotti e dei nostri servizi come i dati ci hanno dimostrato. Ma anche perché la zona euro rappresenta il 15.6% del PIL mondiale.

Di fronte ai mercati, le imprese devono evitare di mostrare la stessa paura che i cittadini provano invece di fronte alle riforme, perché, contrariamente ai cittadini, ai dipendenti pubblici, ai parlamentari, ai politici e ai giovani che rifiutano il cambiamento utilizzando il voto di protesta, nel caso delle imprese rifiutare di cambiare potrebbe anche significare dover morire.

La storia dell’imprenditorialità mondiale, italiana e marchigiana dimostra che la paura non è un limite quando si vuole inventare un nuovo prodotto, un nuovo servizio. Questo non solo perché il compito principale dell’imprenditorialità è sempre stato quello di risolvere problemi.

Siamo entrati in un clima di paura del ritorno al protezionismo, fomentato anche dalla guida della più grande potenza economica mondiale. Siamo entrati in un clima di paura e di preparazione di guerre commerciali e monetarie.

Viene da chiedersi se con queste affermazioni il PD Marche stia facendo una difesa del neoliberismo. La risposta è negativa. Il PD Marche legge semplicemente la realtà, la natura e le caratteristiche oggettive del suo tessuto imprenditoriale, costituito in prevalenza da numerose, piccole, piccolissime e micro imprese. Sono queste che assicurano i posti di lavoro nelle Marche. Sono queste che, con i loro investimenti e il lavoro delle risorse umane, generano il saldo positivo del nostro commercio estero.

Pertanto, devono essere proprio queste – le imprese – le destinatarie dei nostri enormi sforzi.

Il fine nobile è quello di conservare, sviluppare ed aumentare i posti di lavoro per garantire dignità ai marchigiani, che mettono braccia e menti a disposizione di queste imprese e che – principalmente a causa della loro piccola dimensione ma anche per non aver affrontato sfide passate e presenti – non riescono ad accedere ai mercati, soprattutto internazionali.

Se dobbiamo aiutare l’imprenditorialità marchigiana, lo dobbiamo fare – da un lato – per garantire prosperità, lavoro, dignità, sostenibilità di uno Stato sociale e – dall’altro – anche per assicurare uno “sviluppo senza frattura” a beneficio non solo della sua popolazione, ma anche di quella dell’Italia intera.

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