La globalizzazione contemporanea è un processo che – mai come prima d’ora – è riuscito a mettere varie parti del mondo in relazione fra loro. Quello che un tempo si chiamava villaggio globale oggi è un mondo che ci presenta un conto, oggettivamente salato.
Tutti pensavano di vincere. La realtà, invece, ci induce a tirare le somme constatando che lo sviluppo della globalizzazione si è svolto in maniera diseguale. Alcuni luoghi del pianeta ne sono stati esclusi, pur dovendo subirne conseguenze nefaste, altri si sono rivelati proprio dei poli di attrazione della globalizzazione. Anche se nessuno assomiglia all’altro, sono principalmente dei poli in grado di attirare o strutturare dei flussi. Per esempio in Europa, una nazione come i Paesi Bassi – che oggi conosce una forte ondata di euroscetticismo – ospita un sistema straordinario, come i porti olandesi, per attrarre grandi flussi di merci. Vi transitano container, una quantità incredibile di merci liquide e asciutte, molte specialità alimentari in partenza dall’Europa o in arrivo dal mondo intero. Senza dimenticare le merci ortofrutticole, di cui il paese è leader, e infine il transito di gas e di prodotti chimici.
Questo si può anche verificare altrove nel mondo, nel porto di Singapore per esempio. Il successo di questi poli non è generalmente dettato dal caso. Spesso e volentieri si tratta di vantaggi strategici naturali (per esempio profondità del porto e collegamento diretto col fiume Reno per Amsterdam e posizione geografica per Singapore), ai quali bisogna poi aggiungere l’intervento dell’uomo, come scelte strategiche, investimenti ma soprattutto visione.
Oggi, in un contesto di “assestamento della globalizzazione”, notiamo che ogni polo della globalizzazione possiede una sua ragion d’essere, una logica propria e una strategia di sviluppo.
I poli della globalizzazione sono generalmente dei luoghi decisionali della politica (New York) oppure luoghi di decisioni economico-finanziarie (Londra o Francoforte con le loro “Borse” e la presenza di sedi di multinazionali). Ed infine possono essere anche dei centri dai quali si diffondono la cultura (Firenze, Milano, Roma, Venezia, ecc.). Posti dove ci sono molti monumenti, musei e da dove partono mode, nuove tendenze ed innovazioni, dando vita al cosiddetto “soft power” (“potere leggero”). E solo il cielo sa quanto potenziale ha l’Italia per poter vivere tranquillamente di questo settore.
I poli della globalizzazione riescono ad attrarre flussi commerciali e, oggi, anche informazioni (internet). Riescono ad attrarre capitali, una manodopera più o meno qualificata. Questo fenomeno ha generato spesso crisi e xenofobia, oggi tra gli elementi che sono alla base della recrudescenza dei movimenti di estrema destra e del rifiuto di globalizzazione.
In tale contesto, per le Marche e l’Italia, la via è tracciata. Si chiama “Obiettivo lavoro” e la prima alleata è l’imprenditorialità, che – in un contesto di crisi economica – deve necessariamente affacciarsi al mercato globale facendo i conti con la globalizzazione.
Se siamo tutti d’accordo che la globalizzazione non deve distruggere i musei, per l’Italia diciamo anche la cultura, moda, idee. Anzi, il mondo deve approfittare della creatività italiana che, pur riuscendo ad infilarsi proprio tra una moltitudine di varchi e nicchie, allo stesso tempo fatica a trovarsi pianure di sviluppo nel mondo.
Dobbiamo prendere atto che al momento – in Europa – siamo secondi a quella che viene definita la migliore industria del mondo, la Germania. E dobbiamo mettere in campo tutte le nostre energie e risorse, tutte le notorietà di personaggi pubblici disponibili, uomini e donne, che siano nell’ambito della musica, del cinema, della scienza, dello sport, affinché diventino degli ottimi ambasciatori dei Marchi e dei prodotti italiani nel mondo.
Attenzione. Peggio della globalizzazione, il treno dell’Industria 4.0 non passerà due volte. Sarà anche questo un fenomeno che distruggerà, in parte, quello che abbiamo saputo costruire con fatica e sudore.
Solo un’imprenditorialità in costante crescita e inclusiva della sua compagine femminile – nelle Marche e in Italia – sarà in grado di traghettare le imprese italiane all’interno del vortice dell’ennesima rivoluzione industriale.
Per affrontare questa rivoluzione, ci vorranno le solite caratteristiche degli imprenditori che sono passione, visione, coraggio e spirito di sacrificio. Ma ci vorranno anche risorse finanziarie e risorse umane, manageriali, capaci e motivate anche dagli imprenditori stessi.
La posta in gioco è molto alta. Tra qualche anno, come per la globalizzazione, anche per l’industrializzazione arriverà il momento di fare i conti con la realtà. Ci troveremo rapidamente nel mondo di domani, nell’immediato futuro, con di fronte una nuova sfida da affrontare con rapidità e decisione. Il rischio è quello di accorgersene troppo tardi.
Se l’imprenditorialità marchigiana avrà saputo dominare nello scacchiere nazionale, europeo e mondiale, ce lo dirà il tempo. Ma è da oggi che, con adeguate politiche di indirizzo, bisogna cominciare a fare in modo che le vocazioni imprenditoriali marchigiane – insieme alla loro compagine femminile – non cessino ma addirittura continuino a crescere.
È da oggi che bisogna assicurarsi che questa imprenditorialità regionale e nazionale vada sempre nella direzione di un futuro che non solo è già segnato ma che ormai ci sta aspettando nell’arena globale.