La crisi economica del 2007/2008 (a seconda di quando e dove sia cominciata) ha compiuto o sta per compiere dieci anni e – insieme ad un mondo che continua a correre – ci ha proiettato in un mondo che non è semplicemente cambiato ma che è completamente nuovo.

Questo dato di fatto è dimostrato, in concreto, da alcuni elementi (non esaustivi) e sfide che citiamo di seguito:

1) Il mercato del lavoro e la condizione particolare dell’Italia – attualmente la seconda potenza manifatturiera in Europa dopo la Germania – richiedono sempre più risorse umane con una formazione universitaria tecnico-scientifica. Per mantenere e cercare di migliorare il proprio primato, l’Italia deve considerare il mondo della formazione un’”altissima priorità strategica”.

2) Le varie sfide presenti e future – tra cui quelle sanitarie legate alla senilizzazione della società occidentale – ma soprattutto un mondo nel quale la tecnologia ha provocato l’e-transformation (trasformazione dei modelli economici), impongono di puntare su innovazione e ricerca. Ma sappiamo anche che all’innovazione non si comanda. Bisogna quindi creare le condizioni, “l’humus” particolare, il cosiddetto ecosistema, affinché l’innovazione si possa sviluppare attraendo anche cervelli, idee imprenditoriali e finanziamenti. Per la ricerca, invece, sappiamo che conta molto il livello di investimenti e che – talvolta – deve essere proprio massiccio per ottenere risultati positivi.

3) Altri cambiamenti profondi della nostra società si traducono in fenomeni che avranno – tra pochissimo tempo – un impatto profondo sul mondo del lavoro e anche sulla visione e le politiche di genere. L’esempio concreto è il nuovo fenomeno registrato nei quattro Atenei marchigiani dove sono iscritte più donne che uomini (nell’anno di immatricolazione 2013/2014 risultavano iscritte 25.000 donne rispetto a 20.000 uomini. Terminati gli studi, che ne sarà di quelle 5.000 donne laureate in più che, lo sappiamo fin d’ora, saranno destinate ad affrontare, rispetto ai colleghi uomini, maggiori barriere all’entrata nel mondo del lavoro?).

4) L’impatto di Industria 4.0 ha modificato per sempre alcune attività lavorative. Richiederà l’inserimento e la formazione continua di risorse umane preparate. Fino ad ora, le rivoluzioni industriali avevano toccato solo o principalmente le “attività manuali”, ma questa volta sono e saranno colpite sempre di più le attività dei cosiddetti “colletti bianchi”. E Industria 4.0 avrà, anche e sempre di più, un impatto devastante perfino sulle professioni liberali.

Questo in estrema sintesi il quadro che abbiamo di fronte e nel quale esiste una necessità assoluta di non perdere ulteriori posti di lavoro, di crearne di nuovi e di puntare alla formazione di risorse umane.

Bisogna anzi creare nuovi posti di lavoro spesso con mestieri o funzioni rivolte a prodotti o servizi mai esistiti prima. Bisogna inserire le donne nel sistema economico sia come lavoratrici che, in modo deciso, come imprenditrici (che ne sarà di quelle 5.000 donne in più iscritte nei quattro Atenei marchigiani se non impostiamo fin d’ora adeguate politiche dedicate e mirate?). Bisogna affrontare la questione di una popolazione che tende sempre più ad invecchiare e che necessita di maggiori servizi sempre più specializzati.

Questo comporta, lo avevamo già evidenziato, un “balzo imprenditoriale” così come “aprire la società alla scienza e la scienza alla società”.

Minacce, sfide attuali e future – delle quali non possiamo oggi definire né la natura né l’intensità – richiedono strategie, mezzi e anche personale qualificato per far fronte a cambiamenti sempre più frequenti in intervalli di tempo sempre più ridotti.

E dopo un’attenta analisi dei vincoli legati ad un mondo completamente nuovo, dopo la crisi e il collasso del mercato interno (da sostituire con il mercato internazionale per mantenere i posti di lavoro) e la conseguente necessità di puntare all’internazionalizzazione delle aziende, il PD Marche è giunto alla conclusione – e lo sostiene da anni – che serve un luogo per affrontare tutte queste sfide.

Un luogo che tenga conto della necessità di affrontare nello stesso tempo diversi vincoli – come quelli legati alla piccola dimensione delle imprese marchigiane e italiane, la scarsa progettualità generale ed in particolare nei nuovi ambiti, vecchie e nuove sfide che non abbiamo tutt’oggi affrontato, solo per citarne alcuni – così come dell’importanza di cogliere opportunità legate allo sviluppo di nuove imprenditorialità, al mondo delle start up, a settori produttivi strategici (es. aerospazio, ecc) e a nuovi modi di consumare o di lavorare (sharing economy, economia circolare, ecc).

E questo luogo è il Centro di Imprenditorialità Diffusa. In questo luogo – spazio di contaminazione tra manifattura, scienza, arte, innovazione, tecnologia – potranno essere gestiti fattori competitivi e vincenti come: l’introduzione trasversale ad ogni livello della CULTURA imprenditoriale; l’introduzione di elementi di europrogettazione; l’aumento di contatti tra mondo Scuola/Università; l’aumento dei casi di Spin off, facendo sistema con il patrimonio esistente e che, ad oggi, non sempre è adeguatamente valorizzato o conosciuto come quello dei coworking, FabLab, Incubatori, Acceleratori. Si tratta dell’insieme di soggetti che, facendo sistema, potrebbero dialogare con Spin Off e Università ed essere sempre più al servizio del nostro sistema produttivo regionale e nazionale facendo un vero salto verso Centri di Imprenditorialità Diffusa.

Il Centro Imprenditorialità Diffusa concepito dal PD Marche, già descritto in un’analisi dettagliata che risale al 2015 e alla quale si rimanda per completezza, è più di un Centro di Innovazione per affrontare la sfida della digitalizzazione: è proprio l’anello mancante tra RICERCA E PRODUZIONE, quello di cui ha bisogno le Marche per creare e mantenere posti di lavoro, in quanto sistema produttivo che, oltre ad una bassa digitalizzazione, presenta anche ulteriori vincoli e limiti (strutturali e culturali) da affrontare per essere competitivi. Ora più che mai rispetto al passato, per contribuire allo sviluppo economico di una Regione in difficoltà a causa di tragici eventi sismici che l’hanno colpita duramente.

Un rinascimento necessario, da più punti di vista, rispetto al quale la nostra terra, culla del Rinascimento con Urbino, ha tutte le carte in regola per proporre un modello da lanciare a livello nazionale ed europeo e che sceglie la cultura imprenditoriale come traiettoria trasversale indispensabile a tutti i livelli per mantenere e creare nuovi posti di lavoro.

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