Le ineguaglianze costituiscono senza l’ombra di dubbio una delle maggiori problematiche che il mondo è chiamato ad affrontare. Milioni di persone sono uscite dalla povertà più estrema negli ultimi anni e questo è una realtà innegabile. In effetti, in numerosi Paesi, un tempo poveri, sta emergendo una cosiddetta “classe media”, la cui esistenza – sui vecchi manuali di storia, di geografia e di economia – costituiva lo spartiacque tra società avanzate e tra società sottosviluppate.
Ma la spada di Damocle delle ineguaglianze rimane ancora sui Governi e le collettività locali, specialmente nei Paesi avanzati. Perché le ineguaglianze portano con sé precarietà, ingiustizie, proteste, finendo per diventare proprio un freno allo sviluppo stesso. I miliardari americani hanno capito bene questo meccanismo e molti hanno già deciso di fare beneficenza con le loro immense fortune. Sostengono le nuove iniziative imprenditoriali senza risparmiarsi, perché sanno che è il benessere della collettività la prima e vera garanzia delle loro stesse fortune. Ma nonostante quello, niente sembra impedire la crescita del divario tra ricchi e poveri nel Paese che rappresenta da solo il 25% dell’economia mondiale.
Queste disuguaglianze esistono. Esistono in Italia, esistono anche in paesi insospettabili come la Germania, prima potenza economica in Europa, che conta 80 milioni di abitanti. Secondo la federazione sociale Paritätischer Wohlfahrtsverband, nel 2013, il 15,5% della popolazione in Germania (12,5 milioni di abitanti) vivevano al di sotto della soglia della povertà. Questa cifra rappresenta più della popolazione messa insieme residente della Lombardia e delle Marche nel 2014, popolazione che vive in un Paese che con 1% della forza lavoro nel mondo produce 10% dell’export mondiale. Non è una cosa da sottovalutare.
La Regione Marche ha un’importante popolazione senile e, per fortuna della stessa Regione, è ancora molto attiva. Tuttavia, un numero crescente di anziani andrà ad aumentare la quota parte della popolazione anziana bisognosa di un’assistenza più attenta e sempre più diffusa, geograficamente, sul territorio.
Pertanto, creare ricchezza e stare attenti nella sua corretta redistribuzione è una strategia prioritaria per le Marche, al fine di garantire una vita futura dignitosa ai propri cittadini.
È proprio seguendo questa filosofia che le imprese marchigiane devono essere catalogate nella maniera più appropriata possibile, in categorie che possano garantire loro il massimo sostegno da parte degli organi pubblici nello sviluppo delle proprie attività, specialmente a livello internazionale. In più, questa divisione potrebbe avere l’effetto positivo di aiutare ad ottenere un massimo di collaborazione fra le imprese della stessa categoria, facilitando loro successivamente il non facile compito di affrontare le varie sfide che aspettano queste stesse imprese.
Favorire l’imprenditoria è un’ottima possibilità ed opportunità. Anzi, è una strada che dobbiamo per forza percorrere. Le Marche sono già tra le Regioni più imprenditoriali d’Italia e d’Europa. È un primato del quale bisogna andare fieri e che bisogna conservare. Innanzitutto perché significa salvare posti di lavoro.
In più con il vincolo delle poche nascite che ci caratterizza, a lungo andare una scarsa popolazione di lavoratori, ma anche di imprenditori, avrà come effetto quello di produrre ricchezze in quantità insufficienti, da un lato, per pagare le pensioni e, dall’altro, per far fronte alle risorse necessarie a garantire l’assistenza e fornire servizi sanitari come quelli della nostra regione, regione nella quale questo settore assorbe circa l’80% del budget regionale.
Pertanto, qui ed ora, l’imprenditorialità nelle Marche deve essere incentivata a qualsiasi costo. Non ne va soltanto della mera conservazione di un lodevole primato per il quale si può e si deve andare fieri. Ma l’imprenditorialità deve diventare diffusa per un fattore strategico collegato alla sopravvivenza delle persone.
L’analisi dei numeri non deve diventare un’ossessione che ci tiene lontano dalla realtà, che fa cadere alcuni in depressione e che provoca euforia in altri. Dobbiamo rimanere con i piedi ben ancorati a terra e ricordarci che il primo compito dell’imprenditore è quello di risolvere un problema, producendo, distribuendo o vendendo un bene o un servizio.
Ed è quello che la Regione Marche non deve dimenticare, al di là dei tecnicismi, dei tassi di interessi, di tassi di crescita economica, dei livelli di indebitamento del settore pubblico, delle famiglie e delle imprese. La necessità strategica di scovare, formare, e favorire lo sviluppo di imprenditori richiede di metterli nella condizione di conoscere, di sperimentare, di capire i problemi al fine di sviluppare delle soluzioni soddisfacenti per i loro futuri clienti.
Poi devono essere messi nelle condizioni di evolvere in un sistema che permette loro di produrre dei campioni, fare dei test, eseguire delle analisi per assicurare il massimo di chances che la soluzione prodotto o servizio possa essere producibile o implementabile, nonché essere economicamente sostenibile.
I numeri, le statistiche ci devono servire come delle boe di segnalazione in un mare di opportunità. Devono aiutarci a prendere decisioni. Ma serve un luogo nel quale dalla montagna al mare, dalle colline agli altipiani i marchigiani desiderosi di intraprendere la strada dell’impresa possano entrare in contatto con il mondo imprenditoriale, il mondo industriale, il mondo accademico, il mondo artigianale, il mondo artistico per sviluppare idee, soluzioni e inventare laddove necessario.
All’innovazione non si comanda. Neanche alla creatività. L’unica cosa che si può fare è sostenere la nascita di Centri di Imprenditorialità Diffusa, capaci di riunire le menti brillanti, di liberarne la creatività, permettere loro di imparare facendo, provocare dei fenomeni di osmosi, di emulazione e – perché no – di sana competizione. Esattamente questo ruolo ebbero i giardini di Lorenzo dei Medici, che accolsero grandi artisti tra cui scultori, pittori e tanti altri talenti che attraverso dei metodi, delle tecniche e il ricorso a maestranze, sono riuscite a produrre delle opere tra cui capolavori arrivati fino ai nostri giorni e che non smettiamo di ammirare. È quell’effetto, ottenuto in realtà dalla pura necessità di aumentare la propria influenza nella città, che permette ancora oggi all’Italia di essere uno dei Paesi più belli al mondo.
Risolvere problemi. La Start-up “blabla car”, creata dal francese Frédéric Mazzella – con un cognome che ci suona così familiare – ha inventato un concetto di trasporto condiviso che sta crescendo ovunque nel mondo. Il concetto è quello di far utilizzare lo stesso mezzo a più soggetti dividendo le spese di viaggio. Problemi risolti per il proprietario del mezzo, per le tasche dei compagni dei viaggiatori che risparmiano e in parte anche per l’ambiente che evita l’utilizzo di più macchine per recarsi nello stesso posto.
Ecco un esempio di imprenditorialità che si traduce in successo.
Oggi nelle Marche dobbiamo favorire l’imprenditorialità. Lo dobbiamo fare per necessità di sopravvivenza. La tecnica ce lo permette. La crisi ha lasciato enormi spazi vuoti nelle zone industriali e anche nelle città. La creatività non manca. Bisogna canalizzarla verso un punto immediatamente visibile, un luogo che deve e può diventare utile per trovare una soluzione parziale o totale ad un problema dove la creatività possa essere messa a disposizione di altri.
Ci vuole coraggio. Ma dai centri di imprenditorialità diffusa si concentrerà, rinascerà lo spirito di trovare soluzioni ai problemi, di creare qualcosa di nuovo. Tutto questo per creare ricchezza, necessaria per garantire la sopravvivenza di una popolazione, direi di più: di una cultura che ha visto innalzarsi sul proprio suolo meraviglie come il Palazzo Ducale di Urbino, e visto nascere la manifattura del calzaturiero, cantieri navali, distretti del mobile, in tempi meno favorevoli e in condizioni ben più difficili di quelle in cui viviamo oggi.