L’esito delle elezioni in Olanda ha fornito, per quanto riguarda l’economia del Paese, due indicazioni principali.
La prima è quella di un Paese che gode di ottima salute e soprattutto che sta meglio rispetto a molti altri attori della scena economica europea ed internazionale. Tra le motivazioni del voto degli elettori, questo è un fattore da non sottovalutare, gli stessi iniziano a vedere l’uscita dalla crisi.
L’altra indicazione riguarda una globalizzazione che, nonostante porti con sé anche problemi, non deve essere respinta bensì gestita, governata. Questo perché tale fenomeno genera sfide – come la forte presenza di una popolazione di origine straniera dovuta alle varie ondate migratorie in città come Rotterdam – ma altresì contestuali opportunità. Un semplice esempio è quello della manodopera necessaria per portare avanti le attività del porto di quella che è appunto la seconda città dei Paesi Bassi e che ha il più grande porto d’Europa.
Gli olandesi hanno potuto constatare che se la loro economia oggi gode di una migliore salute – anche rispetto alla Germania – lo si deve ai traffici che passano attraverso le sue eccellenti infrastrutture portuali.
Questo fenomeno rappresenta un monito per le nostre imprese marchigiane ancora in ritardo nei loro processi di internazionalizzazione. Ma nessuno sta dicendo che il mondo sia un posto dove vigono solo pace e fratellanza.
Negli Stati Uniti la minaccia alla Germania campione mondiale di export si sta facendo sentire e molte case automobilistiche si sentono in pericolo nonostante i numerosi posti di lavoro che le aziende tedesche – molto internazionalizzate – sono riuscite a creare negli USA. Il rischio di vedere le esportazioni verso gli Stati Uniti rappresenta un pericolo anche per l’Italia, secondo Paese manifatturiero d’Europa.
Bisogna continuare a monitorare la situazione politica con attenzione, senza smettere di guardare al più grande mercato del mondo, a beneficio dei posti di lavoro nelle nostre aziende.
Inoltre bisogna far notare che il nuovo esecutivo statunitense sembra aver preso la strada di “chiudere” un paese che si è popolato e costruito proprio grazie all’immigrazione. L’attuale governo sta cercando di ripudiare il multilateralismo, rischiando così di favorire lo scoppio di conflitti latenti ovunque nel mondo. Gli ultimi eventi – relativi alla penetrazione in Siria della forza aerea oppure l’intercettazione di uno o più missili provenienti dalla Siria da parte della difesa israeliana diretti contro il Paese – sono una “escalation” che non annuncia niente di buono.
Ma in questo vasto mondo – nel quale solo l’ONU conta 193 paesi membri – ci sono ancora molti paesi che stanno domandando invano prodotti Made in Italy. In alcuni casi, le nostre imprese hanno commesso clamorosi errori di posizionamento dei loro prodotti. Un esempio è quello del mercato delle automobili, nella fascia dei cosiddetti “SUV”, esploso ovunque nel mondo e in ogni categoria. Molte case automobilistiche nostrane hanno tardato ad aggredire quella clientela per la quale il prezzo del veicolo non era evidentemente il fattore decisivo per l’acquisto. Eppure per produrre queste macchine, negli ultimi anni, non sono mancati né capannoni né braccia di operai.
Questo è solo uno tra gli esempi che dimostrano quanta strada dobbiamo fare e quante opportunità ci riservi ancora l’internazionalizzazione.
L’Olanda, in particolare, è una piattaforma attraverso la quale i prodotti finiti ma anche quelli intermedi – prodotti destinati ad altri produttori che rappresentano in totale due terzi degli scambi a livello mondiale – vi transitano, per poi andare ovunque nel mondo.
L’interdipendenza tra paesi europei non è più da dimostrare. Soprattutto se per le Marche l’Europa rimane il mercato principale verso il quale sono spedite oltre il 70% delle nostre esportazioni (72,1% nel 2016).
Il mondo non è ovunque un posto sicuro, ma oggi costituisce il mercato sul quale le nostre aziende si devono confrontare.
La ripresa e lo sviluppo economico – in Italia – passano dunque obbligatoriamente attraverso i mercati esteri, attraverso quindi l’internazionalizzazione come fattore di crescita e di rinascimento anche del tessuto industriale e produttivo marchigiano.