Il momento magico che risale a Cinquanta anni fa non riguarda soltanto l’evento storico dello sbarco dell’uomo sulla luna avvenuto il 20 luglio 1969ecompiuto dall’equipaggio dell’Apollo 11, composto dal Comandante Neil Armstrong, da Buzz Aldrin e dal pilota del modulo di comando Michael Collins rimasto in orbita. Una impresa epica, la più seguita al mondo, per la pianificazione della quale vennero utilizzati dalla NASA alcuni computer sviluppati dalla Olivetti noti come “Olivetti Programma 101”.
A quest’evento, di portata unica, bisogna affiancare anche la trasmissione di un primo pacchetto di dati tra due computer dell’Università di Los Angeles e del Research Institute dell’Università di Stanford. Questo avvenne in quello stesso anno, quasi in contemporanea, ma in sordina: era il 29 ottobre 1969. Si tratta della nascita di Internet (allora chiamata Arpanet).
Che cosa è cambiato da allora?
Innanzitutto, l’impresa americana della conquista della Luna si è realizzata in piena guerra fredda e in concorrenza con una Unione Sovietica che oggi non esiste più. Non siamo più tornati sulla Luna – solo dodici esseri umani vi hanno potuto camminare – ma abbiamo una Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Il pensionamento dello Space Shuttle degli USA ci ha reso dipendenti dalla navicella russa Sojuz.
Invece, l’effetto più importante nel mutamento del mondo, oggi, nel 2019 – e ben 50 anni dopo – l’ha avuto il risultato di quella prima trasmissione di dati. Internet e i suoi successivi sviluppi ci hanno coinvolti e trascinati in una piena e profonda trasformazione dei modelli economici, della quale stiamo cercando di gestirne – tutt’ora – vincoli ed opportunità.
Da una parte, le nazioni interessate hanno beneficiato della conquista della Luna in termini di ricerca e prestigio. Dall’altra parte, però, oggi Internet viene utilizzato da un numero immenso di esseri umani sulla superficie del pianeta. L’Italia venne collegata intorno al 1986.
Tuttavia, malgrado la sua utilità ed importanza globale, vale la pena far notare “en passant” che ad oggi, quasi la metà della popolazione mondiale non è ancora connessa ad Internet.
Combattere contro il futuro è una guerra che noi esseri umani siamo chiamati a perdere, soprattutto in questo momento nel quale la nostra civiltà si sta orientando verso lo spazio. Il futuro si può predire? Certamente no. Ma è nostro dovere cercare di capirlo, di anticiparlo e – laddove necessario – adattare le nostre società ed economie alla nuova situazione.
Nelle Marche, dal dopoguerra, siamo passati attraverso il miracolo economico generalizzato in Italia e azioni individuali – come quelle di Enrico Mattei – ci hanno permesso di passare molto rapidamente da una società agricola ad una industriale. Dai campi agricoli, siamo passati ad essere una regione con una bilancia commerciale positiva: esportiamo più di quanto importiamo.
Abbiamo successivamente abbracciato anche il settore dei servizi, nel quale ci siamo fatti un nome.
Dopo la crisi del 2008, la disponibilità dei mezzi tecnologici, il coraggio di chi è rimasto a fare l’imprenditore, la nascita di start up di ogni tipo ma, soprattutto, la voglia degli operai di tornare nelle fabbriche segnano il momento giusto.
Sono maturi i tempi per puntare tutto sull’internazionalizzazione – in ogni sua sfaccettatura – per preservare il futuro industriale delle Marche, preservando i diritti e le conquiste sociali.
I prossimi mesi ed anni devono aprire delle opportunità, un luogo e degli spazi per un dibattito franco e produttivo per unire le imprese di tutte le categorie insieme alle donne e agli uomini necessari. L’obiettivo è di guardare il mondo come luogo nel quale ci dobbiamo giocare le nostre carte, trasformare in opportunità i vincoli di una società che invecchia, favorire il diritto dei lavoratori a vivere una vita dignitosa e trasformare i sogni imprenditoriali in realtà concrete, capaci di promuovere una internazionalizzazione generalizzata nelle Marche.
Questa dovrà avere il ruolo importante di contribuire a mantenere una società di benessere, capace di continuare a garantire uno “sviluppo senza fratture”.