Non è la prima volta che ci sono crisi a livello mondiale. L’economia ci ha sempre convissuto, ma si sono svolte sempre in momenti separati, come ad esempio la crisi del 2008 che, in realtà, ha raggiunto l’Italia quando si è cominciato a ragionare sui debiti sovrani.
La particolarità della crisi che stiamo vivendo in questo momento storico, dovuta a Covid-19, è la “quasi totale contemporaneità” con la quale ha colpito le economie mondiali. In più, è difficile prevedere quando finirà, capire chi ne è condannato oppure chi potrà uscirne vincente. Perché rischia di durare per lungo tempo.
Sul tavolo ci sono moltissime domande, ma pochissime risposte.
Una crisi di sistema, che riguarda in contemporanea più economie nel mondo, è una situazione che non abbiamo mai affrontato o conosciuto prima. Si tratta di gestire problematiche complesse per le quali non bastano soluzioni banali e semplicistiche. Questo richiede la selezione di una certa categoria di persone – flessibili – e capaci di gestire la complessità esponenziale – multidisciplinari – risultante dalla crisi sanitaria.
Per questo motivo, dobbiamo fare delle scelte. Soprattutto perché la crisi è arrivata in un momento nel quale l’export marchigiano è in difficoltà e ben al di sotto al livello del 2008. In effetti, l’export regionale ha impiegato sette anni per ritrovare il livello pre-crisi e da allora non siamo più riusciti a superarlo. E le imprese sono una componente importante della nostra società, della nostra regione e dell’Italia.
Per questo motivo, dobbiamo gestire delle priorità. L’internazionalizzazione deve essere una priorità strategica, specialmente nei settori agroalimentari, nella promozione del “Made in Italy” e dell’“Italian Way of Life”, che – per il nostro sistema industriale – rimangono risorse senza fine né confini.
Per questo motivo, dobbiamo accettare di assumere delle responsabilità. Impegnarsi, agire per il bene della collettività rimane – oggi più che mai – un obbligo, un onere o un onore per chi vuole servire la propria regione, il proprio paese e sostenere l’Europa.
Sarà la fine della globalizzazione dopo il rallentamento, dal 2016, degli Stati Uniti in quel senso?
Se è vero che l’economia mondiale si è spostata verso l’Asia – sia in termini di produzione, consumi e disponibilità finanziaria – è anche vero che le Marche e l’Italia con i loro prodotti e servizi hanno ancora molte carte da giocare nell’economia.
Il problema, invece, sembra essere rappresentato dalla straordinaria E-trasformation (trasformazione digitale dei modelli economici) che è anche causa dell’accelerazione digitale conosciuta dall’inizio della crisi sanitaria e per la quale eravamo poco preparati.
Rischiamo di non poter reggere il passo.
Se già al livello europeo – prima della crisi sanitaria – eravamo giunti alla conclusione che nessun paese potrà affrontare il mondo da solo, anche a livello locale ci dobbiamo mettere in testa che il mondo era, è e deve rimanere il nostro mercato. Anche l’internazionalizzazione ha bisogno di un luogo nel quale determinare le strategie e trovare le soluzioni ai molteplici problemi.