Internazionalizzazione. Fare delle Marche una potenza commerciale

 

Nella nostra regione esistono già i presupporti industriali e di imprenditorialità per raggiungere questo obiettivo: essere una potenza commerciale. Nelle Marche si produce di tutto e tutta la superficie regionale è disseminata di iniziative imprenditoriali storiche da preservare, ma anche di nuove attività, come il coworking o le start up, che non ci fanno sfigurare a livello nazionale ed europeo.

Diventare una potenza commerciale è un obiettivo che richiede di intrecciare molti fattori e situazioni. Non si tratta, come – a torto – viene sempre rimproverato al PD, di aiutare i ricchi a discapito dei poveri.

Fare delle Marche una potenza commerciale puntando sull’internazionalizzazione lo richiede la condizione dei nostri lavoratori stanchi della cassa integrazione, di visitare gli uffici d’impiego o di spostare continuamente il loro voto di protesta senza vedere le cose cambiare rapidamente. Qualcuno addirittura ha semplicemente smesso di votare, rinunciando così ad uno dei diritti/doveri fondamentali in un paese democratico.

Fare delle Marche una potenza commerciale puntando sull’internazionalizzazione lo richiedono i bisogni e le condizioni presenti ma soprattutto future di migliaia di marchigiani che sono già oggi sopra la soglia dei 65 anni (20% over 65). Ma dietro a questa montagna, ci aspettano in particolare quelli che in un futuro prossimo si stanno per avviare progressivamente verso una pensione meritata.

Non stiamo parlando di estranei in casa. Stiamo parlando dei nostri nonni, genitori, fratelli e sorelle maggiori, in alcuni casi anche dei nostri figli, grazie alla nostra straordinaria longevità.

Stiamo parlando di migliaia di medici di famiglia, di insegnanti e professori, di ingegneri, di infermieri, di membri delle forze dell’ordine. Ma soprattutto di migliaia di operai e di operaie, di impiegati che hanno migliorato la nostra vista attraverso il loro lavoro o i loro servizi. Stiamo parlando di donne e uomini.

Fare delle Marche una potenza commerciale puntando sull’internazionalizzazione lo richiedono nuove sfide come Industria 4.0 che – contrariamente alle rivoluzioni del passato – non avranno solo impatto sul lavoro dei più umili, ma questa volta anche sul lavoro dei più tecnici e qualificati e addirittura anche su quello delle professioni.

Fare delle Marche una potenza commerciale puntando sull’internazionalizzazione lo richiede il dovere di non escludere né marginalizzare l’altra metà del cielo marchigiano, un tema rispetto al quale l’imprenditoria femminile diventa una via irrinunciabile per gestire gli attuali vincoli (es. tasso di disoccupazione femminile e un maggior numero di donne marchigiane iscritte nei quattro Atenei marchigiani) per un futuro fiorente delle Marche.

Come ma soprattutto da dove dovremmo prendere le risorse per garantire un futuro decente a tutte queste persone che rimarranno ancora attive per una parte importante della loro vita?

Questi concetti sono espressi – lo spero – in modo chiaro ed inequivocabile. E le risposte hanno il dovere supremo di esserlo altrettanto.

La via da percorre è quella di guardare oltre il “nostro cortile di casa” dove il mercato interno – crollato dopo la crisi del 2008 che sta per compiere dieci anni – non sarà più sufficiente a garantire – da solo – la ripresa di livelli occupazionali, anche nel caso in cui si dovesse risollevare come sta avvenendo progressivamente.

Gli operai marchigiani fortunati, con un lavoro dopo la crisi, dovrebbero guardare alla destinazione delle merci che fabbricano o che confezionano prima di lasciarsi tentare di seguire le sirene dell’anti europeismo scendendo in piazza contro l’Europa. E chi è rimasto con un lavoro lo fa sicuramente all’interno di un’azienda che ha il mercato internazionale come suo sbocco strategico. Secondo i dati del 2016, l’Europa assorbe il 72,1% dell’export marchigiano. Questo è un dato che non ci dovrebbe lasciare molti dubbi né perplessità.

Aumentare il numero di esportatori abituali, incoraggiare la diffusione del “Made in Marche” e il “Made In Italy” nel mondo, integrare le aziende marchigiane – a tutti i costi – nelle grandi catene globali di valore, perché 3/4 dei beni scambiati nel mondo sono di prodotti semilavorati, puntare all’internazionalizzazione delle nostre start up fin dalla “culla”, avviare le aziende storiche e i loro marchi e il massimo di altre aziende verso l’estero, il maggior utilizzo del Marchio come strumento di comunicazione con i nuovi clienti e come mezzo per aumentare i margini, favorire eccellenze e peculiarità come start up del settore aerospaziale, biomedicale, dell’economia circolare, della sharing economy e dello sviluppo sostenibile, e tanto altro come la Responsabilità Sociale delle Imprese, sono tutte attività da considerare – d’ora in poi – come attività di priorità strategica.

Ma soprattutto, a scanso di equivoci con i nostri elettori e per rispondere immediatamente ed in anticipo ai nostri detrattori, questi obiettivi e strategie non dovranno essere percepiti come degli interessi di categoria, ma come un interesse generale per le Marche e le fondamenta del contributo marchigiano ad una rinascita industriale dell’Italia.

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