Esiste una contraddizione in questo titolo? Per la Regione Marche bisognerebbe concludere che le due cose non sono affatto incompatibili. Ecco perché.

La globalizzazione non è un fatto caduto dal cielo. E’ stato un fenomeno voluto e programmato da una visione ideologica che voleva il commercio come fautore di relazioni pacifiche tra stati e individui. Anzi, in alcuni paesi, per un certo periodo storico, la proprietà di impianti produttivi da parte di uno stato o di un’impresa straniera era vietata dalla legge e neanche accettata dai cittadini.

Questo è stato possibile solo grazie alla caduta del Muro di Berlino, alla dissoluzione dell’Unione sovietica nel 1991 e all’imposizione del liberismo inteso come migliore sistema economico al mondo. Infatti, nella nostra Storia, decidere di spostare le fabbriche dalle Marche verso l’Europa dell’Est e rimanere proprietario degli impianti non è stato sempre possibile. Oggi, il fenomeno del “reshoring” sta invertendo questa tendenza.

E’ importante riquadrare bene i fatti per capire che la globalizzazione non è stata una fatalità ma una scelta deliberata. Anche perché, e soprattutto, se c’è chi pensa o parte addirittura dal presupposto che sia “inevitabile”, risulta poi molto più difficile sedersi ad un tavolo per studiare, analizzare e trovare soluzioni ai problemi portati o aggravati dalla globalizzazione stessa.

In sintesi: non dobbiamo partire dal presupposto che sia un fenomeno casuale.

Un partito di sinistra non dovrebbe mai essere felice quando ci sono ineguaglianze e difficoltà economiche per la classe operaia. Per questo la globalizzazione dovrebbe essere un processo che in alcuni casi si può e si deve governare. Specialmente se si tratta di modificare decisioni e situazioni al fine di evitare, limitare o eliminare le ineguaglianze così come di ridurre la distanza che separa i sempre più ricchi dai sempre più poveri.

Tuttavia, la struttura della nostra società marchigiana ci impone di guardare anche alla realtà sul terreno.

I lavoratori marchigiani sono impegnati presso aziende che sono, per la maggior parte, fondate da piccoli imprenditori. Questi sono stati e sono ancora oggi i diretti responsabili della creazione di numerosi posti di lavoro e della direzione operativa e strategica delle loro imprese. Hanno contribuito a creare ricchezza nella nostra regione, offrendo posti di lavoro e rifiutando o evitando di licenziare quando è arrivata la crisi. Al loro fianco – purtroppo solo in pochissimi casi – alcuni imprenditori scelgono di mettere a capo dell’impresa dei manager competenti per la gestione operativa, riservandosi o cedendo, in rarissimi casi, la parte della direzione strategica dell’impresa.

Pertanto, proteggere i posti di lavoro dei marchigiani, occuparsi del benessere delle loro famiglie, capire i disagi di chi perde il lavoro e adoperarsi per la loro reintegrazione nel mondo del lavoro – anche in età avanzata – pensare all’avvenire delle donne che studiano sempre di più anche a livello universitario, preoccuparsi per le pensioni dei nostri genitori e della sanità per i nostri nonni, significa anche occuparsi di imprese. Tutto questo perché nelle Marche l’impresa è l’organizzazione alla base della creazione della ricchezza, di posti di lavoro grazie ai quali i lavoratori portano “un pezzo di pane a casa”.

Dopo aver chiarito questa posizione in relazione alle imprese, andando ad analizzare le cose più da vicino, vediamo che queste imprese sono a loro volta inserite in un tessuto imprenditoriale nazionale, europeo e internazionale.

Concentrandosi sull’analisi di dettaglio dei numeri – come già osservato precedentemente – ci sono molte sorprese. Ma ci sarà l’occasione di tornare sui numeri. Intanto, memorizziamo questi dati.

Con una popolazione di poco più di 1,5 milioni sui 65 milioni di italiani, nelle Marche ci sono il 3% delle aziende di tutta Italia.

Le aziende marchigiane hanno dei primati importanti in termini di numero di imprese, tipologia (artigianali, industriali-manifatturiere, di commercio e di servizi), prodotti e anche volumi di produzione. Questi primati rendono le aziende marchigiane degli attori a livello nazionale, esportatori – per la maggior parte nell’Unione Europea – in giro per il mondo.

Possiamo fare mille volte meglio rispetto a quanto stiamo facendo adesso.

Se guardiamo alle grandi aziende, abbiamo marchi conosciuti a livello globale. La Tod’s ha raggiunto da poco il traguardo storico di un fatturato di 1 miliardo di euro ed ha il grandissimo merito di aver contribuito al risanamento di un monumento di importanza mondiale come il Colosseo simbolo di Roma, capitale d’Italia. Abbiamo aziende come la Scavolini che, grazie ad un successo sul mercato, ha cominciato una politica di diversificazione dei prodotti e oggi non vende più solo cucine.

Ora le aziende delle Marche devono affrontare una grande sfida. Quella di conquistare il Mondo.

Tra i nostri ardui compiti, qui nelle Marche, oltre a conquistare il mondo con le nostre imprese, c’è anche quello di non dimenticare di convertirci rapidamente “all’economia circolare” e alla “sharing economy”, andando a realizzare quello che Patrizia Toia, Capodelegazione PD al Parlamento Europeo e Vicepresidente della Commissione per l’industria, ricerca, energia, chiama la “sintesi perfetta”.

Chi prende di mira l’Unione Europea – che è lontana dall’essere un’organizzazione internazionale perfetta – e vuole portarci a strappi definitivi come l’uscita dall’Europa o dalla moneta unica, accusandola di tutti i mali – dovrebbe prima guardare ai numeri del nostro export. Questo ad oggi ci garantisce anche un cospicuo avanzo, laddove molte altre regioni d’Italia non sono messe bene come noi e laddove paesi europei come la Francia conoscono dei pesanti disavanzi.

Se vogliamo aumentare il gettito fiscale per affrontare una sanità nella quale aumenta sempre più il fabbisogno di finanziamenti così come la necessità di offrire maggiori servizi alla collettività regionale, dobbiamo guardare alle imprese.

Quanto sopra illustrato rappresenta degli argomenti concreti per dire che se è vero che ormai siamo dentro la globalizzazione, è altrettanto vero che bisogna cercare di governarla al fine di non esserne semplicemente esclusi, laddove ci sono dei vantaggi, o considerati perdenti di questo processo. E’ importante intervenire laddove il sistema presenti delle incongruenze o delle disfunzioni (e non sono più delle opinioni), che purtroppo si sono trasformate in fatti concreti come povertà e disagio sociale.

Detto questo, per creare sviluppo e benessere nelle Marche, paradossalmente, bisogna guardare alle imprese, di qualsiasi tipo esse siano. Che siano industriali, cooperative, sociali o di servizi. Che siano giovanili, femminili o appartenenti ad immigrati. Che siano del settore della manifattura tradizionale, della meccanica, del settore del lusso, del turismo territoriale, museale o delle industrie creative. Che siano aziende storiche o semplicemente proprietarie di una semplice idea come lo può essere per una start up o nell’ambito di tecnologie avanzatissime per le PMI innovative.

Quello che dobbiamo ritrovare nelle Marche è la via del lavoro. Meglio se riusciamo a caricarlo di valore aggiunto in modo da rendere le nostre produzioni uniche ed irripetibili, venderle ad un prezzo che possa garantire all’imprenditore un giusto guadagno e la sopravvivenza della sua impresa e ai lavoratori un posto duraturo nel tempo.

Ma per raggiungere questo traguardo dobbiamo “uscire” dal nostro cortile, dalle nostre frontiere, imparare altre culture e migliorare nell’apprendimento delle lingue straniere.

Dobbiamo andare a conoscere meglio i processi, capire i flussi, influire sugli attori. Anche perché si tratta di garantire lavoro al nostro settore manifatturiero, visto che la maggior parte dei prodotti scambiati nel mondo sono semilavorati, come indicato da Luca Paolozzi, Direttore del Centro Studi di Confindustria durante una conferenza al Festival dell’Economia 2016 di Trento. Dobbiamo certamente lavorare su lato della domanda, che si è espansa sull’intero pianeta malgrado guerre e crisi, sforzandoci di capire bene “come gira il mondo” e di evitare sovraesposizioni su zone di crisi o su alcuni mercati.

Ma principalmente, dobbiamo lavorare sul lato dell’“offerta”, su come le nostre aziende sono organizzate e su come si presentano sul mercato internazionale – come suggerito strategicamente dal Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda – affinché diventi possibile attirare e convincere aziende partner, inserite nelle grandi catene del valore globali che superano i confini nazionali, a scegliere sempre più aziende marchigiane come partner strategico.

Oggi, bisogna prendere atto che il mondo è organizzato in questo modo. Non per rassegnarci a lasciarlo così com’è ma per pensare a come sostenere l’occupazione attraverso questo sistema.

Ecco quello che è importante fare per le nostre Marche artigianali e manifatturiere oggi e adesso perché senza lavoro, niente “sviluppo senza fratture”.

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