I portatori di interessi delle Marche – regione fortemente manifatturiera che sta cercando di uscire dalla crisi – in quanto rappresentanti di settori commerciali e industriali impegnati sui mercati interni o esteri ed i lavoratori si devono sentire interpellati dall’andamento preso dai fatti, a livello internazionale, soprattutto dall’insediamento del nuovo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Come il PD Marche lo indica da anni – spinto principalmente dall’obbligo di proteggere gli interessi dei lavoratori e non per amore del liberismo sfrenato – il mercato internazionale stava aspettando l’ingresso potenzialmente devastante di una forza manifatturiera di portata globale. Era solo questione di tempo.
Ecco in quale logica programmatica si è richiamata – e si continua a richiamare – l’attenzione di tutti gli attori marchigiani affinché la regione guardi al “mondo come il nostro mercato”. Ecco in quale logica è auspicabile che le imprese – nel rispetto del dettato costituzionale della libertà di impresa – possano privilegiare ed accelerare gli sforzi di riforma interna, di apertura al mondo manageriale, di apertura ai giovani e alle donne. Ecco perché è fondamentale il sostegno delle giovani e nuovissime attività imprenditoriali tra cui sono comprese le start up che hanno ricerca e sviluppo come base delle loro fondamenta. Ecco perché abbiamo richiamato e auspicato di non abbandonare un’organizzazione come l’Unione Europea che non ci indebolisce, ma che invece ci rafforza. Perché l’Unione Europea ci presenta numerosi vantaggi ed opportunità nei nostri sforzi di sviluppo che hanno come punti cardini la creazione di posti di lavoro e il sostentamento del nostro sistema di protezione sociale.
Questo nuovo attore concorrente è spinto, in parte, da nuovi sviluppi tecnologici come stampa in 3D, Industria 4.0 e, dall’altra, da quelli che hanno portato ad un’energia a prezzi stracciati come le estrazioni di gas e di petrolio sul suolo degli Stati Uniti, diventati nel frattempo il primo esportatore mondiale.
Forse il momento dell’arrivo di questo concorrente manifatturiero, spinto da un Presidente degli Stati Uniti che di professione faceva (e forse fa tutt’ora) l’imprenditore a livello internazionale, è arrivato.
A noi italiani, la sicurezza con la quale Donald Trump annuncia la creazione di posti di lavoro “come non si è mai visto prima” non ci è nuova. Sappiamo già e abbiamo imparato sulla nostra pelle che questo tipo di promesse ha successo negli elettori, tra gli elettori, ma sappiamo anche che queste promesse potrebbero anche non avverarsi.
Tuttavia, nel caso degli Stati Uniti, alcuni elementi citati sopra, come la tecnologia e soprattutto l’energia, potrebbero rappresentare un grande vantaggio per lo sviluppo manifatturiero. Altra freccia della quale dispongono gli Stati Uniti al loro arco e che potrebbero utilizzare per “spingere o difendere la propria economia” è la straordinaria forza militare e la relativa decisione di diminuire gli investimenti per proteggere i paesi della NATO. Infine, bisogna anche citare la rete diplomatica mondiale e l’enorme potere di “soft power” perso nell’American way of life del cibo e dell’abbigliamento, ma ancora vivo nel mondo del cinema, della televisione e in quello delle tecnologie di informazione e di comunicazione.
Dicevo che noi italiani abbiamo già esperienza nella promessa di creazione di migliaia di posti di lavoro. Ma abbiamo anche sperimentato risposte – a sfide strategiche – che nel tempo si sono rivelate sbagliate. L’esempio classico era la richiesta di alcuni partiti che, per difendere le imprese, puntavano a “giocare al ribasso” scegliendo misure populiste come “tassare i prodotti cinesi”. Sarebbe sciocco da parte nostra ascoltare di nuovo le stesse sirene con il rischio di ricadere negli stessi errori.
I venti di guerra commerciale che si stanno delineando all’orizzonte riguardano i volumi e non a caso coinvolgono direttamente attori che puntano sulla produzione di massa come la Cina, il Messico, la Corea del Sud e gli altri paesi che hanno, come strategia principale, quella di inondare i mercati mondiali con i loro prodotti.
Attenzione. L’Italia non è un attore che deve guardare dall’altra parte. Ma alcuni ritardi, debolezze e soprattutto caratteristiche delle nostre imprese e vincoli rigidi, come l’assenza sul nostro territorio di fonti di energia anche a a basso costo, ci impediscono di giocare alcune partite. Anzi, rischiamo di perdere prima di aver cominciato.
Per questo motivo la dimensione delle imprese rimane una sfida ancora aperta e per la quale dobbiamo decidere se accettare o meno le singole esigenze da rispettare, le scelte da fare per poter affrontare alcune strade. Per questo motivo la questione dell’investimento sul Marchio, della scelta di puntare a “l’Italian way of life”, la voglia e la richiesta di “Made in Italy” nel mondo deve rimanere in cima alle nostre priorità.
Ad oggi, solo i mercati esteri – che sono il vero obiettivo sia del nuovo Presidente degli Stati Uniti che del Governo della Gran Bretagna, che ha deciso di abbandonare l’Unione Europea – sono in grado di portare crescita nelle Marche e in Italia.
La confusione che stanno creando quelli che dichiarano di lavorare per il popolo e per riportare la sovranità al loro paese non deve ingannare: quella di Donald Trump che vuole e dichiara – appunto – di voler difendere i lavoratori aspira in realtà a sfruttare la loro forza per puntare ad una colossale produzione industriale, ma per il beneficio di ricche imprese che avranno gioco facile con i molti miliardari che si sono accomodati nel governo dell’economia più potente al mondo. La confusione peggiore viene dagli euroscettici britannici e dal Governo conservatore di Theresa May, che non vogliono più partecipare al mercato Comune, perché hanno scelto di riconquistare il mondo attraverso la creazione di un impero commerciale.
I fatti sono davanti ai nostri occhi. Non abbiamo più le scuse del passato lontano nel quale gran parte della popolazione non sapeva né leggere né scrivere. Un passato nel quale le compagnie commerciali nascevano con scopi tenuti all’oscuro o che non potevano essere compresi dalla maggioranza delle persone.
Tutti gli attori che abbandonano la strada del multilateralismo, della cooperazione e della collaborazione tra gli stati e che si stanno buttando sul recupero della loro sovranità stanno lanciando contemporaneamente la sfida di diventare delle grandi potenze economiche. Questo – nelle Marche e in Italia – ci dovrebbe portare e far arrivare alla semplice conclusione che i veri obiettivi di questi attori siano i mercati internazionali.
Se guardiamo vicino a casa nostra, senza far rumore né mosse egoistiche o antieuropee, la Germania – prima potenza industriale d’Europa – che nel 2015 ha prodotto un eccedente nella bilancia commerciale di oltre 240 miliardi di euro è passata a quasi 300 miliardi di euro. E’ un’economia sociale di mercato che domina i mercati esteri e che ha i suoi problemi come tutti, ma che cerca di proteggere lo stato sociale invece di smontare programmi di copertura sanitaria come avviene oggi negli Stati Uniti o di minacciare di diventare paradisi fiscali come il governo conservatore della Gran Bretagna.
L’Italia, nella quale le Marche sono un attore industriale importante, è la seconda potenza industriale in Europa con un eccedente commerciale di 45 miliardi nel 2015, ma che deve ancora fare tanta strada verso l’internazionalizzazione, soprattutto adesso che ci sono concrete minacce/opportunità di ingresso di nuovi attori sul mercato e nuove strategie di partner/concorrenti come la Gran Bretagna.
La notizia recente di un gruppo automobilistico tedesco che, per la prima volta nella storia, ha superato in vendite il record del gruppo giapponese, che deteneva un primato da anni, è un chiaro segnale. Questo evento ci indica – qualora ce ne fosse ancora bisogno – che ci troviamo in un mondo completamente nuovo, specialmente se per le Marche dobbiamo considerare che stiamo parlando di una popolazione colpita continuamente da calamità naturali, una regione nella quale bisogna agire a favore di una collettività alla quale bisogna garantire uno stato sociale sostenibile, soprattutto se la società converge verso una senilizzazione chiamata ad aumentare.
Il record battuto dall’azienda tedesca è la dimostrazione che niente è al di fuori della nostra portata. Né come Paese Italia, né come regione fortemente manifatturiera, a patto di mantenere e di accelerare sulla strada che consiste nel mettere l’internazionalizzazione tra le nostre priorità strategiche.
Oggi, stiamo vedendo che molti attori si stanno avviando con le parole e con i fatti verso la strada indicata del PD Marche, che auspica già – da tempo – di andare a caccia della crescita economica ovunque nel mondo attraverso l’internazionalizzazione – con la differenza che l’obiettivo iniziale non è chiudersi su se stessi – per perseguire l’obiettivo finale che è quello di puntare a garantire lo sviluppo senza fratture della collettività e del nostro territorio.