La stretta finale sulla legge di bilancio sta segnando alcune pietre miliari nella storia del nostro paese.

 

Primo effetto: sta per finire – finalmente – la campagna elettorale delle ultime elezioni legislative di marzo 2018.

 

Secondo. Dopo le varie sofferenze che la nostra economia regionale e quella nazionale hanno continuato a subire, dopo i rischi corsi dai risparmi degli italiani, abbiamo anche dovuto prendere atto che l’Europa esiste, che esistono delle regole europee sottoscritte e che vanno rispettate. È importante ricordare che queste regole non sono lì per darci solo fastidio, ma anche per garantire un futuro più sereno possibile ai nostri figli, ai quali stiamo già lasciando un debito pubblico tra i più alti del mondo ed una spesa per soli interessi che supera in modo massiccio i 65 miliardi di euro l’anno negli ultimi cinque anni, con punte oltre i 70 miliardi (Fonte: “Conto trimestrale delle amministrazioni pubbliche”, diffuso dall’ISTAT il 4 aprile 2018. Nel 2013, 2014, 2015, 2016 e 2017, il totale delle uscite è stato indicativamente 819, 825, 831 e 829 (in miliardi di euro). A queste annualità corrispondono interessi passivi pagati rispettivamente per 77, 74, 68, 66 e 65 miliardi di euro. Il responsabile di questa situazione è la nostra consueta “palla al piede” rappresentata dal debito pubblico).

 

Terzo. Nonostante la nostra indiscussa posizione di potenza industriale a livello europeo e mondiale, la crescita economica in Italia continua ad essere modesta, se non quasi inesistente.

Una crescita economica in Italia che non riesce proprio a decollare è un fenomeno che si continua a verificare. Da quando? Dalla caduta del Muro di Berlino e dalla conseguente esplosione degli scambi internazionali; dalla crisi politica di tangentopoli, che ha oggettivamente provocato un ritardo del nostro paese nel suo nuovo posizionamento economico e politico a livello internazionale.

La crescita economica in Italia è rimasta modesta dalle varie crisi finanziarie ed immobiliari degli anni Novanta, dall’esplosione del fenomeno delle delocalizzazioni, dalle crisi in borsa provocate dalla bolla Internet degli anni 2000, dalle crisi internazionali dopo l’11 settembre 2001.

La crescita economica in Italia è rimasta modesta durante il periodo di devastante crisi – dal 2008 e proveniente dagli Stati Uniti – dall’avvento del terrorismo internazionale e dello spostamento dei suoi effetti sul suolo europeo.

 

Tuttavia, durante tutto questo periodo di crisi per noi, alcuni paesi manifatturieri concorrenti sono riusciti invece a ritagliarsi delle posizioni invidiabili nello scenario dell’industria e del commercio mondiale. E questo pur stando sullo stesso pianeta sul quale operiamo anche noi (esempio: il saldo positivo del commercio estero della Germania esploso fino a 273 miliardi di euro contro i circa 44 miliardi per l’Italia).

 

Dall’altra parte, alcuni paesi sono riusciti ad uscire finalmente dall’anonimato delle loro posizioni sulla mappa geografica oppure dalle loro reputazioni tradizionali per diventare i cosiddetti paesi emergenti, con i quali abbiamo dovuto e stiamo facendo tutt’ora i conti come nuovi paesi concorrenti in termini di consumo e, qualche volta, anche di produzione industriale.

 

Mentre noi crescevamo poco, alcuni altri paesi sono riusciti a cambiare totalmente il loro posizionamento strategico in materia energetica, come gli Stati Uniti, e sono ad oggi il primo produttore di petrolio al mondo (se teniamo conto di tutti i tipi di petrolio); di conseguenza, con il fenomeno del cosiddetto “reshoring”, ritornano ad essere un paese manifatturiero.

 

Quarto. La centralità del lavoro in Italia era un’emergenza dagli anni Novanta e lo rimane ancora oggi. La gente ha abbandonato le proteste in piazza perché vuole – innanzitutto e oggi più che mai – ritornare nelle fabbriche oppure dietro una scrivania. Vuole vedere attuati i piani oppure i possibili progetti di riconversione un pò ovunque nella nostra regione.

 

Ma nel frattempo, quali risultati sono riuscite ad ottenere le nostre aziende?

Lasciate un po’ sole, non hanno smesso di cercare di superare tutti questi momenti difficili. La prova è che le Marche – nonostante tutto – sono una regione che presenta un saldo del commercio estero positivo. Questo lo dobbiamo ad alcune aziende modello (grandi campioni regionali) che nel tempo, e soprattutto al di là della loro piccola dimensione, non hanno rinunciato né smesso di investire o di puntare sulla loro dimensione internazionale.

La missione del PD al governo ha contribuito attivamente a questi successi, specialmente con l’azione dell’ex rappresentante dell’Italia presso l’Unione Europea ed ex Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda.

 

Purtroppo, è venuto a mancare solo l’ultimo miglio, finito in polemiche sterili ed atti propagandistici con lo stralcio di un mezzo efficace ed utilizzato da tutte le potenze manifatturiere del mondo – compresi i paesi emergenti che ne hanno fatto un grande utilizzo per colmare il divario con i paesi più avanzati – come un aereo per fare quello che le imprese chiedono da anni: un massiccio accompagnamento istituzionale delle nostre aziende all’estero con l’obiettivo di aumentare il raggio planetario delle loro esportazioni la cui conseguenza non sarebbe solo un aumento in termini di fatturato per l’azienda, ma anche la scelta di poter mantenere posti di lavoro e di creare nuova occupazione.

 

In questo contesto interno – nel quale il nostro paese ha bisogno di aumentare risorse per continuare a garantire un servizio sanitario che dovrà prendersi cura di un numero sempre più elevato di anziani, pagare gli stipendi dei suoi insegnanti, dei suoi dipendenti pubblici e funzionari, dei suoi  politici dei quali non siamo riusciti a diminuire il numero, dei suoi militari, delle spese in infrastrutture fisiche e digitali – la proiezione internazionale delle aziende è deve restare una strategia delle Marche. Per aumentare il numero di esportatori abituali in modo esponenziale ed aiutare le PMI (specialmente quelle che producono beni intermedi) ad entrare nelle grandi catene globali del valore, il sistema Marche deve organizzarsi per affiancare le imprese nelle loro sfide: piccola dimensione, passaggio generazionale e sfida manageriale, focalizzazione nel proprio settore, marchio/brand, costruzione di relazioni forti con i clienti, distribuzione, Made in Italy.

 

La conclusione delle operazioni della legge di bilancio e relative manovre attuative segnerà l’inizio di una nuova alba, ma deve far ritornare rapidamente la nostra attenzione e la nostra priorità al sostegno delle aziende in quella direzione.

 

Era così prima delle elezioni del 4 marzo 2018, e lo rimane ancora oggi, più che mai. E l’internazionalizzazione nelle Marche continuerà ad essere una priorità. Anche prima e dopo le prossime elezioni europee 2019, nelle quali speriamo che gli occhi e le orecchie degli elettori non si chiuderanno di fronte ai volti e alle dichiarazioni di un PD Marche che è sempre stato in prima linea in questa strategia di sopravvivenza per le nostre imprese e indirettamente necessaria per tutti i cittadini della nostra regione.

 

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