Internazionalizzazione. La realtà detta le proprie regole
Introduzione
La riuscita del processo di internazionalizzazione delle aziende marchigiane, in una regione nella quale si produce di tutto, parte dal presupposto di rispondere ad una semplice/complessa domanda. Che cosa ci si aspetta dall’internazionalizzazione?
Gli obiettivi possono essere molteplici. L’importante premessa da fare è non dimenticare che i ¾ dei prodotti scambiati nel mondo sono prodotti semilavorati. E questo comporta inserire le aziende nelle grandi catene globali del valore.
Dal lato degli interessi dei privati le attese dell’internazionalizzazione possono riguardare:
- l’aumento della “superficie” del proprio mercato o il numero e la rete dei propri fornitori; la possibilità di vendere nuovi prodotti su altri mercati, di adattare i propri prodotti a nuovi mercati o a fascia di clientela;
- per molte aziende che si trovano in una condizione di mercato interno saturo o addirittura di “mercato interno morto”, la via dell’internazionalizzazione è l’unica strada possibile da percorrere per raggiungere l’obiettivo della crescita;
- non importa se la crescita riguardi il fatturato o – in maniera più generale e strategica – la “dimensione”. L’importante per l’azienda è che questo processo abbia luogo.
Dal lato degli interessi della pubblica amministrazione:
- una maggiore internazionalizzazione delle aziende marchigiane, l’aumento esponenziale degli esportatori abituali – che dovranno rimanere tali anche dopo la fine della crisi – rappresentano un obiettivo strategico per l’ eventuale impatto positivo sull’occupazione;
- più internazionalizzazione può contribuire ad un aumento straordinario di posti di lavoro legati alle esportazioni;
- l’aumento dei fatturati – e si spera anche degli utili – è capace di generare un gettito fiscale maggiore in una regione che spende molto per la sanità, voce di spesa destinata ad aumentare, per esempio, in considerazione della longevità della popolazione.
Fattori da ricordare
Fatta la dovuta premessa, niente nelle Marche ci deve far dimenticare l’origine della paura e della fuga dalla globalizzazione, fenomeno che si sta verificando in generale in molti paesi occidentali e in particolare in paesi europei, i quali – dopo averla promossa – adesso vogliono scappare dalla stessa.
No. Non dobbiamo dimenticare la ragione di questo rigetto che si spiega con le conseguenze di aziende che hanno scelto di andare all’estero eliminando posti di lavoro a livello nazionale. Questi casi ci sono stati e hanno causato – indirettamente – nascita e giustificazioni al populismo.
Ma ci dobbiamo anche ricordare le circostanze che hanno fatto sì che, rispetto a molte aziende marchigiane in grado di offrire prodotti o servizi altamente qualitativi, che sviluppano contenuti intensivi di “know how” nella loro produzione, aziende che producono prodotti facilmente trasportabili, aziende che dispongono di un marchio storico, aziende che hanno prodotti poco sensibili al prezzo – e di conseguenza con minor interesse a spostare la produzione all’estero –poche abbiano scelto o sono state in grado di svilupparsi all’estero in tutti questi anni.
Questo è un fatto storico che non si può negare e che spiega la differenza del successo della Germania – prima potenza industriale in Europa davanti all’Italia e con prodotti più cari – diventata campione mondiale di export e con un tasso di occupazione sia maschile che femminile elevato.
Rispettare le regole dell’internazionalizzazione
Quanto analizzato significa che nelle Marche e in Italia da qualche parte abbiamo sbagliato e che dobbiamo riparare per ripartire molto velocemente.
L’internazionalizzazione detta dunque delle regole tutte sue.
Per esempio, la regola che i mercati in crescita non abitano più “sotto casa nostra”, nei Paesi occidentali, ma si sono spostati verso l’Asia, dove esistono municipalità autonome (da considerarsi come “province”) come Chongqing/Cina che rappresentano un solo agglomerato urbano di oltre 30 milioni di abitanti, nel quale vive più della popolazione del Belgio e dell’Olanda – nostri importanti partner europei e commerciali – messi insieme.
Se vogliamo evitare quello che non avremmo mai voluto sentire e – ancora meno – che non avremmo mai dovuto vedere (come descritto da Ilaria Visentini il 23 gennaio 2014 in un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore), e se vogliamo imboccare la strada maestra verso un successo dell’internazionalizzazione dobbiamo considerare due ambiti.
I due ambiti sono interni ed esterni. Per quelli interni: le aziende devono percorrere la strada dell’internazionalizzazione solo dopo aver sotto controllo i processi interni, le relazioni complesse con i fornitori, i clienti, altri partner e con le risorse umane. Per gli ambiti esterni, invece, si tratta di considerare un mondo in evoluzione secondo una logica multiculturale e nel quale esistono mercati fortemente dinamici e che richiedono una grande capacità di cambiare spesso e di rimanere flessibili.
Senza dimenticare la scelta sciagurata – che dura fino ad oggi – di non mettere in campo i vantaggi competitivi delle imprese marchigiane/italiane, nonché quella del rifiuto di approfittare del richiamo positivo del “Made in Italy” nel mondo, ambiti che dovranno essere considerati – a futura memoria – tra le migliori carte che non ci siamo mai giocati.
Solo così si sarebbe potuta evitare la triste constatazione di Ilaria Visentini nell’articolo di cui sopra: “nel 2013 in Italia hanno chiuso in media 54 imprese ogni giorno, due ogni ora. Lo scorso anno su tutto il territorio nazionale si sono registrati 14.269 fallimenti, in crescita del 14% rispetto al 2012 e del 54% rispetto al 2009”.
La situazione delle Marche
Nelle Marche, questa situazione è stata drammatica.
- Nella maggior parte dei casi, abbiamo dovuto assistere al fallimento delle nostre imprese non perché non avevano il prodotto giusto, ma perché non avevano la giusta dimensione, la forza del marchio, non avevano effettuato il passaggio generazionale o l’introduzione di un management giovane ed esperto pronto al cambiamento o neanche fatto ricorso ad un management con esperienza internazionale, necessari per affrontare un mercato globale completamente nuovo.
- Poi non ci dobbiamo dimenticare che, in molti casi, ci sono state aziende sane che non hanno potuto accedere ai finanziamenti delle banche per portare avanti le loro attività, spesso con conseguenze drammatiche fino al gesto estremo da parte dei titolari costretti a lasciare i dipendenti di una vita in mezzo alla strada.
- In altri casi ancora, è stata la sovraesposizione su alcuni mercati (andati poi in crisi o colpiti dalle sanzioni) ad aver segnato la fine dell’attività per le imprese, facendo saltare “alla luce del giorno” una scarsa – già conosciuta e quindi pericolosa – apertura al mercato internazionale.
Il dato più evidente che spiega tutti questi fenomeni si è tradotto in un crollo drammatico delle esportazioni marchigiane. Abbiamo impiegato sette anni per riportarle al livello del 2008 e – ancora oggi – non ci siamo ripresi completamente, in un mondo che invece continua a correre.
Situazione attuale
Per tranquillizzare i disfattisti, la situazione attuale – nonostante la sua drammaticità – ha delle soluzioni.
Perché la situazione non è peggiore di quella dei nostri genitori/nonni che ce l’hanno fatta. Perché loro – che sono usciti dalla guerra con la fame e le malattie e intere nazioni da dover ricostruire – ci sono riusciti, regalandoci “per strada” anche l’Europa fatta da chi si sparava addosso pochi anni prima. E abbiamo anche il doppio di imprese esportatrici rispetto alla Francia. Questa è una realtà.
Adesso, dopo molti anni di riflessioni, di dibattiti e con la ripresa economica che si affaccia ormai all’orizzonte, la perdita di numerosi posti di lavoro in Italia può essere direttamente collegata alle difficoltà di affermazione delle aziende nelle nuove regole del mercato internazionale. Questo è un fatto.
Ci sono semplicemente nuove regole che non dipendono più da quello che succede nei nostri cortili di casa e che dobbiamo imparare a conoscere, analizzare e gestire. Per questo motivo bisogna definirle come “sfide”.
Ed infine, aver ragione non è neanche più sufficiente per provocare il cambiamento. Il populismo e la voglia di ritornare all’isolamento degli Stati Nazione hanno annebbiato le viste e le coscienze, ivi comprese quelle di alcuni imprenditori che dovrebbero “guardare al mondo come il loro mercato”. Questa è una realtà.
Cosa bisogna fare?
Bisogna portare le persone, l’amministrazione pubblica e le imprese ad analizzare correttamente il contesto che li circonda, perché il lavoro che ci aspetta per difendere il nostro Stato sociale e il nostro benessere è gigantesco.
Bisogna capire, affrontare e gestire le diverse sfide del passato, del presente e quelle future che devono ancora venire.
Bisogna mettersi al lavoro per non continuare a perdere ancora altre opportunità – o peggio ancora – altri treni come l’internazionalizzazione che era, è tutt’ora e sarà sempre di più un obiettivo strategico irrinunciabile per le aziende marchigiane ed italiane. Senza dimenticare l’interesse pubblico: quello di mantenere posti di lavoro e creare nuova occupazione.