Internazionalizzazione. Scegliere chiaramente tra società aperta e società chiusa
Il gioco facile dei populisti non deve farci abbassare le braccia e la guardia. Oggi, per guadagnarsi la fiducia delle persone, sembra che basti promettere di “chiudere” o “difendere” una comunità, una società oppure un paese contro qualcosa di esterno.
Tale situazione, che finisce quasi sempre in un gioco al massacro dell’avversario, non ci deve neanche spaventare, nonostante Brexit, nonostante chi nega i cambi climatici o chi rifiuta ogni soluzione multilaterale ai problemi comuni e mondiali, volendo ripiegare ognuno verso e sul proprio “Stato Nazione”.
Per il momento, quindi, sono i predicatori del modello delle società chiuse che hanno gioco facile.
Bisogna invece arrivare a spiegare – contro questo gioco facile dei populisti – che una società aperta sia al momento la rara – se non l’unica – possibilità di salvataggio dell’economia marchigiana, che nel 2016 ha realizzato 4,4 miliardi di euro di avanzo della bilancia commerciale regionale contro i 46,5 miliardi di euro dell’Italia a livello nazionale.
Bisogna dirlo e ripeterlo in modo chiaro. Solo una società aperta è in grado di proteggere gli attuali posti di lavoro nelle Marche sperando anche di procurarne di nuovi.
Con il suo stretto legame alla globalizzazione, il vero problema che pone l’internazionalizzazione nelle Marche e in Italia è quello di farla convivere con difesa del lavoro, diritti umani, solidarietà, giustizia sociale e protezione del clima.
Allo stesso tempo non dobbiamo commettere l’errore di chiuderci su noi stessi. Questo potrebbe significare impossibilità o forti limiti a portare i nostri prodotti – strumenti musicali, mobili, prodotti agroalimentari, meccanica, calzature e pelletterie, apparecchi elettrici, metallurgia e prodotti in metallo, tessile e abbigliamento, articoli in gomma e materie plastiche, carta ed editoria, computer ed elettronica, mezzi di trasporto e gioielleria – nel mondo.
Questo deve essere un dato di fatto chiaro oppure da chiarire a tutti i marchigiani.
Ma attenzione. Non significa che lo “Stato Nazione” non sia più in grado di contare o di agire, soprattutto in questi tempi di minaccia del terrorismo internazionale alla stabilità interna di numerosi paesi europei.
Altra responsabilità dello “Stato Nazione” è la mancata crescita economica, la pressione fiscale troppo alta che fa ristagnare l’economia, e non la responsabilità diretta della globalizzazione.
Oppure ancora, dobbiamo forse omettere di ammettere che la difficoltà di posizionamento delle nostre imprese a livello internazionale non sia la passività dello “Stato Nazione” rispetto a questa realtà?
Pertanto, è importante capire che la componente del potere decisionale nazionale – contrariamente a quello che si pensa – non sia venuta completamente meno rispetto a quello che si pensa o che si vuole far pensare alle persone.
L’Italia ha bisogno di riforme? Solo lo “Stato Nazione” sarà in grado di metterle in atto.
Le imprese italiane hanno bisogno di sostegno internazionale? Non sono certamente gli altri paesi europei che verranno a fare – al nostro posto – questo lavoro di protezione dei nostri interessi e di promozione dei nostri prodotti.
Come in tutte le cose, anche per l’internazionalizzazione delle aziende marchigiane ed italiane dobbiamo trovare il giusto equilibrio tra Europa e Stato Nazione. Una crescita economica che non abita più solo sul “vecchio continente” ma che si è spostata lontano da casa, ci costringe a guardare le cose in faccia.
Per raggiungere un risultato positivo da questo punto di vista, l’internazionalizzazione deve essere oggetto di un ampio dibattito e di promozione a livello regionale (Marche) e nazionale (MISE, MAECI, ecc).
Dobbiamo tornare a discutere e a basare il nostro lavoro sui fatti, a lavorare sui contenuti e a promuoverli.
Una globalizzazione – con il suo primato sull’economia – in crisi, il bisogno per l’Italia di aumentare il numero di esportatori abituali e la necessità per le imprese di affrontare altre sfide (piccola dimensione, passaggio generazionale, sfida manageriale, focalizzazione sul proprio settore, marchio/brand, distribuzione, digitalizzazione, ecc), ci costringono a considerare il ruolo dello Stato – attraverso l’articolazione nelle sue amministrazioni centrali decentrate o quelle all’estero – come strategico per l’internazionalizzazione delle aziende italiane, soprattutto nel contesto extra-europeo.
Bisogna tentare anche questa strada, oltre a continuare a spingere i primi che hanno interesse e capacità a raggiungere una maggiore presenza internazionale: le aziende stesse.
Per tutti questi ed altri motivi, non dobbiamo sottovalutare l’importanza dell’internazionalizzazione delle aziende marchigiane ed italiane come leva sicura capace di riportare lavoro e benessere nella nostra regione e nel nostro paese.