Quelle che un tempo erano Antiche Repubbliche Marinare (Amalfi, Genova, Pisa e Venezia) oggi sono città riunite in un solo Paese, un’Italia che ha saputo, finora, gestire i vincoli per mantenere un ruolo importante nei flussi internazionali di beni e di servizi. Le rivalità di allora non si esprimono più in guerre commerciali, conquiste di nuovi porti e piazze commerciali, in monopoli su alcune merci, ma queste rivalità si liberano ormai solo in coloratissime e combattute regate storiche, che attraggono turisti da tutto il mondo.
Che cosa è cambiato da allora? L’Italia è unita, ma ha fatto un passo in più, aggregandosi in un insieme di Paesi che si chiama Unione Europea. E deve lottare giorno dopo giorno per mantenersi tra le prime file negli scambi internazionali. Nel frattempo, i cuori pulsanti dell’economica mondiale si sono moltiplicati, obbligando chi vuole posizionarsi sul mercato internazionale ad inseguire la crescita laddove si trova.
A titolo di esempio, l’aeroporto di Dubai totalizza oggi un numero annuo di 70 milioni di passeggeri, superando così il primato dell’aeroporto diLondra-Heathrow. Ma anche in Europa succedono delle rivoluzioni. Il vettore a basso costo irlandese Ryanair, presente anche nello scalo marchigiano di Falconara, ha superato la soglia dei 90,6 milioni di passeggeri trasportati ogni anno, oltre il numero dei francesi e degli olandesi di Air France-KLM che devono la loro sopravvivenza al coraggio di aver affrontato la sfida della dimensione. Nel 2014, La Cina ha investito all’estero 140 miliardi di dollari mentre ne ha accolti 120 sul suo suolo, diventando così un esportatore netto di capitali. Il valore degli scambi tra Cina e Africasi attesta intorno ai 240 miliardi di dollari all’anno, mentre gli Stati Uniti sono fermi a 73 miliardi di dollari/anno. Invece la Francia, ex-potenza coloniale che da secoli controlla gran parte del continente e che tramite l’Unione Europea ci offre addirittura una frontiera con il Brasile sul continente americano, è ferma ad un interscambio di 65,8 miliardi di dollari/anno con l’Africa.
Sono dati che richiedono azione.
Da un continente che ha ormai raggiunto il miliardo di abitanti, le Marche importano per un valore di 602,7 milioni di Euro ma esportano solo per un valore di 506,2 milioni di Euro. Un bilancio negativo in un continente in crescita è senza dubbio un altro dato che ci deve far riflettere profondamente.
Nel 2014, secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo, 1,1 miliardi di persone hanno viaggiato per turismo. E sappiamo che “le motivazioni culturali” saranno sempre più il principale movente di questi spostamenti. Quali conclusioni deve trarre un Paese che ha un patrimonio turistico e artistico come il nostro?
La fine del mondo bipolare non ha colto solo noi di sorpresa. Ma la nostra reazione è stata lenta e goffa. L’Italia si è avvitata su se stessa. Pur essendo seconda in manifattura a livello europeo dopo i tedeschi, l’Italia non ha saputo uscire per andare a conquistare il mondo con la bellezza, il buon gusto e il sapore dei suoi prodotti, come ha fatto la Germania con le sue automobili e la sua meccanica. Ci siamo rinchiusi sulle nostre province e sull’amministrazione del pubblico tramite un sistema politico che ha finito per rappresentare un peso finanziario insostenibile. Abbiamo ignorato che la grande dimensione delle aziende è in alcuni casi una condizione indispensabile per non morire. Lo Stato ha le sue colpe, ma errori gravi sono stati commessi anche dal settore privato.
A titolo di esempio, l’azienda storica Pirelli che ha venduto da poco il pacchetto di maggioranza ad un gruppo cinese, fatturava 5,3 miliardi di Euro nel 1988. Nel 2014, con la spinta della globalizzazione, con un marchio così internazionalmente riconosciuto, il fatturato nel mondo era di 6 miliardi di euro. Un fatturato che è inferiore ai quasi 7 miliardi di Euro del 2013 dei supermercati Esselunga di Bernardo Caprotti, che, tra l’altro, lavorano quasi esclusivamente in Italia e neanche su tutto il territorio nazionale.
Ecco. Questo è il mondo nel quale le Marche sono chiamate a fare le loro prove. Questo è il mondo nel quale le aziende marchigiane devono vendere i propri “prodotti speciali fatti da specialisti”. Questo è il mondo nel quale se non si faranno le aggregazioni tra imprese, si finirà per disperdere patrimoni storici e perdere posti di lavoro. Questo è il mondo nel quale dobbiamo organizzare la distribuzione dei nostri prodotti. Questo è il mondo nel quale bisogna creare e controllare delle reti di distribuzione, anche nei paesi lontani, a cominciare da una presenza negli aeroporti, per esempio. Questo è il mondo verso il quale le nostre Start-Up innovative si devono rivolgere per proporre le loro idee e risolvere i problemi locali grazie alla nostra creatività e capacità. Questo è il mondo che nei prossimi anni deve assolutamente sapere dove si trovano le Marche. Questo è il mondo che dobbiamo attrarre sulle nostre coste, nei nostri monumenti e nelle nostre strutture ricettive, chiamate ad adattarsi ai bisogni dei clienti.
Un mondo che ancora una volta – come quando abbiamo perso il primo treno della globalizzazione dopo la caduta del Muro di Berlino – non è cambiato, ma che è completamente nuovo.