A cento giorni esatti dal suo insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump si confessa davanti ai giornalisti dicendo che essere Presidente degli Stati Uniti pensava “sarebbe stato più facile”. Eppure, un autorevole avvertimento gli era arrivato dal suo predecessore. Che cosa ci comunica tutto questo?
Che il mondo nel quale viviamo è un luogo molto complesso e anche quello che viene considerato l’uomo più potente del mondo ha le sue difficoltà.
Sono tre le cause principali che hanno ulteriormente aumentato questa complessità nel tempo e che – come Regione Marche – ci riguardano da vicino.
Al primo posto la rivoluzione digitale che ha portato alla trasformazione dei modelli economici. Il secondo elemento è lo spostamento della crescita economica sempre più verso Oriente, dove vive ormai la maggior parte dell’umanità che compone il nostro pianeta. Il terzo elemento è la spinta del populismo – ovunque nel mondo – che vuole arrivare al potere cavalcando la paura e, nel peggiore dei casi, provocando proprio questa paura. Nei casi più eclatanti – e che per fortuna stanno progressivamente facendo aprire gli occhi agli elettori – il populismo ha fatto della verità un “optional” o, peggio ancora, l’ha sostituita con dei “fatti alternativi”. Anche davanti a prove contrarie schiaccianti.
Se vogliamo salvare la nostra società marchigiana dalla crisi e orientarla verso un futuro “senza fratture”, dobbiamo avere il coraggio di guardare alla realtà e ristabilire la verità.
Prendiamo – a titolo di esempio – alcuni dati sulle Marche.
La crisi c’è. Esiste ed è una cosa concreta. Ma nelle Marche, abbiamo anche aree di eccellenza delle quali si parla poco e che ci possono indicare la strada giusta per uscire dalla crisi. Per esempio, la quasi totalità delle aziende che si sono rivolte all’estero o che si sono concentrate sullo sviluppo dei mercati esteri dopo la crisi del 2008, oggi stanno meglio di prima. Perché dobbiamo continuare a considerare la globalizzazione solo come una minaccia?
Siamo sicuri che sia la scelta giusta uscire o cessare di avere influenza in un sistema nel quale si stanno affermando e vogliono investire anche paesi emergenti molto popolosi? Oppure questa globalizzazione è meglio cercare di governarla?
La crescita economica non abita più a casa nostra. Ormai bisogna andare a cercarla lontano, qualche volta anche molto lontano. Oppure bisogna dare la possibilità a nuovi attori individuali o alle aziende marchigiane (che hanno letto correttamente il nuovo mondo nel quale ci troviamo e che sono in grado di trovare risposte alle domande che le nuove sfide ci impongono) di offrire nuovi prodotti e servizi che il mercato – anche mondiale – è in grado di assorbire.
Ma volere questo per le Marche, può giustificare chi accusa il PD Marche di deriva neoliberista?
La nostra regione – da agricola – ha fatto un salto di qualità enorme, diventando una parte importante della spina dorsale dell’industria italiana, con soli 1,5 milioni di abitanti.
Con un mercato interno che non riparte o riparte a rilento, guardare ad un mercato lontano da casa è divenuto un imperativo strategico, che significa vita o morte per le imprese marchigiane e di conseguenza anche per la tenuta dell’intera comunità regionale.
Il prossimo anno – 2018 – sarà il decimo anno dall’inizio della crisi nata negli Stati Uniti. Restano problemi, ancora da risolvere, che ci portiamo dietro da ben prima della crisi, ai quali dobbiamo aggiungere quelli accumulati strada facendo negli ultimi dieci anni. In un quadro del genere sarebbe insensato non considerare l’internazionalizzazione come un asse strategico per le Marche. E’ una priorità assoluta.
Il buon senso e i dati ci dicono che la strada dell’internazionalizzazione è quella giusta: è dal commercio estero che le Marche traggono un grande beneficio, accumulando dei saldi positivi in miliardi di euro (citando alcuni numeri a titolo di esempio: 4,793 – anno 2013; 5,419 – anno 2014; 4,818 – anno 2015; 4,456 – anno 2016).
Quali sono i nostri limiti? Sicuramente la dimensione delle imprese, che impedisce loro di organizzare e finanziare missioni o strutture per conquistare i mercati esteri o per aumentare le loro esportazioni. Eppure, il mondo non cessa di chiedere e di aspettarsi prodotti “Made in Italy”.
E la questione non riguarda soltanto i prodotti finiti marchigiani, rispetto ai quali abbiamo bisogno urgentemente di crescere in termini di export, per aumentare i nostri margini attraverso i nostri prodotti eccellenti e di qualità. Ci sono anche numerosi fabbricanti di prodotti intermedi che non riescono ad inserirsi con facilità nelle grandi catene del valore. Senza dimenticare che la maggior parte dei prodotti scambiati nel mondo sono proprio i prodotti intermedi. In questo caso, la strategia marchigiana deve essere quella di aumentarne i volumi di export.
Poi viene il settore agroalimentare. Mentre il totale dell’export marchigiano ha impiegato sette anni per ritornare ai livelli export pre-crisi del 2008, tale settore, da solo, appena due anni ed è in costante ascesa. Una priorità specialmente se consideriamo che scegliere di dare a questo settore una corsia preferenziale significa far ripartire anche un’area sud marchigiana in grande difficoltà sia occupazionale che imprenditoriale. A cui aggiungere il sisma.
Un campanello di allarme va suonato se sappiamo che la popolazione mondiale è aumentata, che i mezzi di comunicazione e il fare la propria pubblicità hanno costi più ridotti. Anche i viaggi intercontinentali e le strutture alberghiere in giro per il mondo costano meno. Eppure ad oggi – e per il secondo anno consecutivo – nelle Marche siamo tornati ad un livello export in valore assoluto inferiore a quello del 2008.
Viene da chiedersi: ma se tutte le carte sembrano giocare a nostro favore, come mai l’export marchigiano e la penetrazione delle nostre aziende nei mercati esteri restano problemi ancora all’ordine del giorno se non addirittura irrisolti?
Per garantire un futuro di sviluppo alla nostra regione, attraverso i saldi positivi della bilancia del commercio estero, dobbiamo guardare al nostro interno, lavorando principalmente sul lato dell’offerta. Dobbiamo risolvere i problemi passati e presenti che limitano le nostre imprese nella conquista del mondo, che siano di natura culturale, tecnica o tecnologica.
Dobbiamo farlo per sostenere il lavoro, fonte di dignità del lavoratore marchigiano.
E per fare tutto questo servono delle “persone necessarie”. E non basta. Serve anche un metodo che ha come primo compito quello di fare non solo bene ma – soprattutto – velocemente. Serve uno o più luoghi di aggregazione capaci di garantire l’analisi e la raccolta di gran parte dei problemi delle imprese marchigiane e di avviare – contemporaneamente – tutti gli sforzi per individuare adeguate soluzioni, coordinandosi con e a beneficio dei vari portatori di interessi. Infine, questo luogo serve per fare il possibile e rispondere correttamente a tutte le sfide.
Ormai non è più pensabile poter rimandare. Per il bene del futuro economico delle Marche e dei suoi lavoratori.