Ad una settimana dal referendum del 4 Dicembre (e delle elezioni presidenziali in Austria che potrebbero segnare una svolta in Europa), un’Italia sott’acqua e un terremoto che tiene ancora molti nostri concittadini fuori casa ci ricordano che la natura e le forze che la governano sono difficili da domare. L’unico sistema per rispondere ai suoi vincoli è quello di fare prevenzione. Lo facciamo ancora male, ma in termini di reattività agli eventi naturali siamo migliorati in maniera eccezionale. Tutto questo ci è costato morti, feriti e un enorme spreco di risorse.

La ricostruzione deve e dovrà prendere ovviamente la strada di sanare e ricostruire, ma dovrà aprire anche la porta alla cultura della prevenzione, per proteggere il massimo numero di cittadini italiani e turisti stranieri sui nostri territori. Nell’impossibilità di rispondere alla domanda del se e quando si verificheranno altri eventi sismici, diventa chiaro ed ineludibile che la prevenzione rimane l’unica e seria politica che qualsiasi governo, da adesso in poi, è chiamato ad attuare. Eventi sismici, smottamenti di terreni e altre disgrazie sono proprio quegli eventi che prosciugano risorse, già limitate, sottraendole alla promozione e all’investimento in crescita e sviluppo, in un contesto di debito pubblico peraltro già molto elevato.

Così va anche per la globalizzazione che, oltre a benefici, ha provocato alcuni danni. I lavoratori e le imprese marchigiane ne sanno qualcosa. In effetti, le delocalizzazioni sono state effettivamente una faccia della medaglia. Dall’altra parte, però, la stessa globalizzazione era anche portatrice di opportunità che – in molti casi per ingenuità e/o per colpa nostra – non siamo stati sempre in grado di cogliere e sfruttare. È il caso del “Made in Italy”, del quale un mondo in corsa aveva fame, ma che, non avendo fatto sistema, non abbiamo saputo posizionare al meglio. Le ragioni del nostro fallimento sono molteplici e vanno ricercate nello stato attuale della nostra imprenditorialità. Per questo motivo, dobbiamo concentrare i nostri sforzi soprattutto su e come intendiamo impostarla per il futuro delle Marche. Ma questa è un’altra storia.

Oggi, ci sono dei politici europei che sfruttano l’onda della crisi economica del 2008, nata da un’economia di mercato selvaggia statunitense, allora orientata principalmente verso la finanza a discapito dell’economia reale. Dalle urne europee di paesi che hanno uno stato sociale molto più generoso del nostro, si sta sempre più chiamando lo stop alla globalizzazione – che sembra richiamare più una volontà di recupero di sovranità e di ideologie di estrema destra, molto lontane dalla maggioranza degli italiani.

Allo stesso modo, e dalle urne di paesi molto più lontani e molto più ricchi dell’Italia, molto più esposti di noi sui mercati internazionali dei beni e dei servizi – ma soprattutto su quello delle materie prime -, anche da questi paesi, si stanno alzano grandi voci contrarie alla globalizzazione. Ecco il vero problema.

E proprio nelle Marche, e in particolare in un’Italia manifatturiera, questo problema ci riguarda in modo particolare. Perché?

Prima di tutto perché siamo una regione e un paese manifatturieri. Ci riguarda perché il nostro mercato interno, che in passato poteva assorbire i nostri prodotti, è fermo. Il terremoto e le piogge torrenziali – appunto – non vengono a migliorare le cose. La controversia ci riguarda perché esiste il serio rischio di andare nella scia di paesi che ritengono di poter fermare la globalizzazione – perché non producono niente o poco – e vogliono diventare invece paradisi fiscali per attirare soldi dal mondo intero o anche da zone che non intendono scendere da questo treno. È giusto porci delle domande. Soprattutto stiamo rifiutando una globalizzazione che – ripeto ancora una volta – porta anche danni indiscutibili ma che dobbiamo imparare ad affrontare e a gestire, senza sapere che cosa farà il resto del mondo. Che cosa succederà? Il mondo si fermerà anch’esso o continuerà a correre lasciandoci con il cerino in mano?

È di estrema importanza rispondere a questi quesiti, impostare la giusta strategia, proprio perché un tale rifiuto della globalizzazione accade in un momento storico importante: le economie dei paesi più avanzati stanno facendo marcia indietro e guardano molto di più e molto meglio all’economia reale invece che alla finanza.

Siamo proprio nell’era nella quale assistiamo all’esplosione di start up (soprattutto nelle Marche) che, per natura a vocazione globale, hanno “bisogno del mondo come il loro mercato” fin dal primo giorno della loro nascita.

Dobbiamo considerare la globalizzazione come le calamità naturali, fenomeni cioè che possono non accadere ma anche accadere, portando con sé effetti devastanti. In tale contesto e forte paragone, il miglior modo per farvi fronte è quello di essere preparati ad affrontare il peggio. Negli anni Duemila, l’Italia è stata passiva sui mercati internazionali ma il trend è che il nostro export è andato sempre più aumentando, per la felicità della nostra bilancia di pagamenti. C’è domanda di Made in Italy. Bisogna pertanto far fronte con un’adeguata organizzazione del sistema produttivo valorizzando politiche anche dal lato dell’offerta, non solo della domanda.

La ricostruzione aiuterà i nostri connazionali in difficoltà a ritrovare le loro case, le loro chiese, i loro borghi e la propria attività. Ma l’internazionalizzazione delle aziende marchigiane deve restare un obiettivo primario, specialmente se in questo momento storico la crescita economica si è spostata lontano da casa nostra, soprattutto se mantenere il livello attuale dell’occupazione o migliorarlo sono una priorità assoluta e infine – e sembra proprio essere così al momento – se questo mondo globalizzato, contro il nostro volere, non vuole certo sentir parlare di smettere di correre.

L’obiettivo primario dell’Internazionalizzazione non possiamo abbandonarlo, perché l’aumento dell’export aiuterà a riprendere la via della crescita, dello sviluppo e del lavoro puntando così a ritrovare benessere nella comunità. Quella comunità marchigiana, e anche del cuore dell’Italia, duramente colpita da eventi sismici che hanno commosso il Paese intero, l’Europa e il mondo.

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