La globalizzazione è un fenomeno che ha scompigliato gran parte delle società mondiali. Anche noi, in Italia, ne stiamo pagando ancora le dure conseguenze. Ma la verità è che bisogna imparare a «gestirla» per evitare di esserne travolti.
I dati del commercio con l’estero dell´Italia e delle Marche parlano chiaro: siamo un paese ed una regione che dalla globalizzazione ci guadagnano.
Dati 2016: una fotografia
I dati annuali 2016 – pubblicati sul sito della Regione Marche dall´efficiente Statistica a cui va un ufficiale ringraziamento per consentire una foto oggettiva necessaria a fare scelte di indirizzo – ci indicano che la differenza tra esportazioni ed importazioni marchigiane ha portato oltre quattro miliardi di euro nelle tasche regionali. Niente male per una comunità di 1,5 milioni di abitanti. Questo rappresenta un saldo positivo (guadagno) di quasi tremila euro a testa, bambini e anziani compresi. Ricordiamo che esportiamo per poco più di ottomila euro pro capite l’anno ovunque nel mondo.
Per chi avesse ancora qualche dubbio sulla forza e sull´enorme potenziale di questa piccolissima regione «fondata sul lavoro» – nella quale lo slogan «il mondo deve essere il nostro mercato» qualche volta scatena sorrisi e ilarità – spero che questi elementi possano aiutare definitavamente a chiarirci le idee.
C´è chi continua ad interpretare negativamente l´aiuto e il dialogo con le imprese, la spinta a svilupparle per mantenere posti di lavoro già esistenti e crearne dei nuovi quando il 9,7% delle calzature/pelletterie italiane, il 5,7% dei mobili e il 5,6% degli apparecchi esportati dall´Italia provengono – proprio – dalle Marche. Poi si piange la disoccupazione.
Tutte le nostre enormi difficoltà precedenti sono venute a galla dopo la crisi del 2008 che ha colpito l’economia globale. In effetti, è da quel momento che il commercio estero ha cominciato a crollare ovunque nel mondo, visto che i nostri vicini in Europa e una moltitudine di paesi nel mondo erano vittime di una crisi nata negli Stati Uniti.
Il commercio estero marchigiano ha impiegato sette anni per tornare ai livelli di export del 2008. E purtruppo, negli ultimi due (2015 e 2016), in termini di valori assoluti, siamo tornati ad esportare per meno di 12,4 miliardi di euro all´anno, sotto al livello pre-crisi 2008. Questa situazione di pericolo deve cambiare e abbastanza rapidamente.
Eppure, i fatti ci indicano che stiamo navigando in un paradosso. Perché il mercato mondiale continua ad espandersi e la crescita economica è ricominciata a farsi sentire, soprattutto in paesi avanzati come gli Stati Uniti. Le motivazioni? Perché i prodotti «Made in Italy» sono sempre più ricercati nel mondo. Perchè la popolazione mondiale non cessa di aumentare. Perché ci sono nuovi bisogni da soddisfare.
Esistono paesi europei che realizzano prodotti più cari dei nostri, come la Germania, che continuano a segnare record di esportazioni e saldi positivi. Questo significa che ci sono, senza dubbio, alcune difficoltà, ma che da qualche parte stiamo sbagliando pure noi, specialmente se l´Italia è la seconda potenza manifatturiera in Europa dopo la Germania.
A livello nazionale, su venti regioni, anche con una piccola percentuale di popolazione – rispetto a quella del nostro grande paese di oltre 60 milioni di abitanti – ci posizioniamo all’ottavo posto per ammontare di esportazioni, dietro Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Lazio e Friuli Venezia Giulia. Le Marche esportano quasi il 3% dell’intero export italiano ma, purtroppo, in diminuzione rispetto al 2015.
Destinazione Europa e non solo
Se poi analizziamo l’esportazione marchigiana per aree geografiche e continenti, le critiche mosse all´Unione Europea politica, quella che dimostra un «deficit democratico», quella che dimostra di non ascoltare le popolazioni, quella che dimostra eccessiva burocrazia e una flessibilità a geometria variabile, devono continuare?
Certo, dobbiamo senza dubbio lottare perché questa Unione Europea venga riformata – visto che insieme contiamo di più nel mondo e siamo in grado di assicurare la nostra sicurezza – ma non dobbiamo « buttare via il bambino con l´acqua sporca ». Non ce lo possiamo permettere. Per le Marche e per i suoi lavoratori.
Nel 2016 l´Unione Europea (UE-28) ha rappresentato il 60,9% della destinazione delle esportazioni marchigiane. Mancano pochi giorni al festeggiamento – il 25 marzo – dei sessant’anni dalla sua fondazione, segnata anche dall´uscita dall’Unione fra pochi anni del Regno Unito. L´Unione Europea è in crisi, questo non lo dobbiamo dimenticare. Per la Marche, Brexit rappresenta un rischio, perché nel 2016 il Regno Unito era al quinto posto come destinazione delle nostre esportazioni per un valore di 584,7 milioni di euro, in calo del 6,8% rispetto al 2015.
La nostra quota di export verso gli Stati Uniti d´America – con la nuova amministrazione che vuole rinchiudere il paese su se stesso – rimane molto bassa, anche se con un 6,3% rispetto al totale export. Per fortuna, siamo in crescita perché gli USA rappresentano il primo mercato in assoluto del mondo ed ha raggiunto la quarta posizione della destinazione del nostro export (756 milioni di euro con un +3,3% rispetto al 2015).
La Germania, che continua a realizzare record di saldi positivi, ha rappresentato il nostro primo mercato di destinazione per l’export 2016, con una crescita di oltre l’11%. Analisi a parte merita la Francia, un Paese che ci dimostra come non siamo messi così male: nonostante i suoi eccellenti prodotti e la sua notorietà continua ad accusare un saldo negativo nel suo commercio estero mentre l´Italia – al contrario – vanta un saldo positivo di + 46,5 miliardi di euro.
Rimaniamo deboli in quest´Asia che rappresenta il futuro dell´umanità (solo 12,9% dell´export Marche) e che conta la seconda economia del mondo (Cina con solo 2% dell´export). Basti anche pensare che conta il Giappone, uno dei paesi che consumano più lusso al mondo, ma che non appare tra i primi 25 paesi di destinazione delle nostre esportazioni marchigiane.
Prospettive e difesa dei posti di lavoro
L´Unione Europea come prima destinazione delle nostre esportazioni, l´Europa come continente che pesa per il 72,3% delle nostre esportazioni, un tessuto industriale con un´imprenditorialità dinamica in molti settori che opera a livello globale indicano la strada da percorrere.
L’analisi dei dati export 2016 non lascia scampo.
L´internazionalizzazione nelle Marche deve restare e diventare sempre più una priorità assoluta, per la nostra regione, per le nostre imprese che vanno affiancate nello sviluppo di nuovi mercati. Prima si comincia meglio è.
Dobbiamo guardare avanti. Nelle Marche abbiamo già detto più volte che aiutare le imprese non deve far pensare a fantasmi neo-liberali. Si tratta di difendere posti di lavoro in una regione nella quale il duro lavoro della terra – che ha prodotto la classe operaia – deve vedere in questo atto l´espressione della protezione della dignità degli stessi lavoratori. Ecco perché bisogna parlare di «eccezione marchigiana». Per il numero delle sue imprese e per gli imprenditori/imprenditrici che creano ricchezza, proprio quella linfa necessaria ed indispendabile ad assicurare sia quello che da noi amiamo definire « uno sviluppo senza frattura » che la redistribuzione delle risorse.
Al settore agroalimentare marchigiano deve essere concessa una « corsia preferenziale ». Se tutto l´export marchigiano ha impiegato sette anni per recuperare i livelli pre-crisi, il settore dell´agroalimentare ne ha impiegato uno solo. Questo rappresenta un fattore strategico per la parte Sud delle Marche che vede le esportazioni – pur registrando dati positivi e la migliore performance in termini di crescita tra province – principalmente legate ad un solo settore (il farmaceutico).
In più la recente classifica dell´indice della salute mondiale che piazza l´Italia al primo posto nel mondo, fornisce alla dieta mediterranea e ai prodotti agroalimentari italiani un fattore competivito difficilmente ripetibile dalla concorrenza internazionale.
È una questione di sopravvivenza: si tratta di constatare e di valorizzare questa «eccezione marchigiana» che esiste. Siamo in grado di dimostrarlo con dati alla mano. Perché in definitiva, i posti di lavoro creati anche dalle imprese e con nuove forme di imprenditorialità sono l´unica garanzia per mantenere unito un tessuto che conosce da anni livelli di tensione e al quale dobbiamo cercare di garantire il massimo di tenuta e coesione sociale considerando la longevità della popolazione ed elevati tassi di disoccupazione sia giovanile che femminile.
I numeri parlano chiaro. Numeri, dunque, non opinioni. Soluzioni per creare nuova occupazione saranno difficili senza lavorare con le imprese e per le imprese : affiancarle nella via obbligata dell’internazionalizzazione significa creare anche nuovi posti di lavoro.