Non è la prima volta che si prova a fare un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti. Il più recente Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti è comunemente noto come TTIP.
In passato numerosi incontri hanno sancito la necessità di avvicinare le due aree, che insieme rappresentano più del 40% del PIL mondiale.
Le ragioni strategiche sono molteplici e si parte da diverse necessità. Da quella, per gli Stati Uniti, di limitare il potere dei cinesi – che diventeranno, più prima che poi, la principale potenza commerciale al mondo – per arrivare a quella dell’Italia, in prima fila per proteggere la sua biodiversità ed il proprio mercato dall’invasione di prodotti considerati falsi e pericolosi per la salute.
Diverse Dichiarazioni si sono susseguite nel tempo. Qui le citiamo brevemente per comprendere la complessità dell’iter in corso: la Dichiarazione transatlantica sulle relazioni CE-USA del 22 novembre 1990, la “Nuova agenda transatlantica (NAT)” approvata il 3 dicembre 1995 a Madrid, la Dichiarazione di Chicago del 9 novembre 1996 sul dialogo commerciale transatlantico (TABD – Transatlantic Business Dialogue). Oltre a questi anche il Dialogo transatlantico sul lavoro, svoltosi a Londra il 24 aprile 1998, le Dichiarazioni rilasciate dai Presidenti alla 49a riunione delle delegazioni del Parlamento Europeo e della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti riunitesi a Houston il 28 giugno 1998, il Dialogo transatlantico dei consumatori svoltosi a Washington il 25 e 26 settembre 1998. Infine, il 24 giugno 1998, c’è stata anche un’audizione pubblica organizzata dalla commissione per le relazioni economiche esterne sulle «leggi extraterritoriali quali sanzioni unilaterali».
Se, nonostante tutto questo, si sta arrivando ad un possibile arresto dei negoziati vuol dire che – seguendo il Parlamentare Europeo Nicola Danti nelle sue dichiarazioni – nessuno sta sottovalutando la questione. Questo dimostra ulteriormente che il tema dei negoziati tra UE e Stati Uniti non è semplice e che la cautela è sempre stata la guida dei decisori europei.
Quale è la posta in gioco? C’è un rallentamento dei negoziati causato da ovvi motivi legati al fine mandato del Presidente Barack Obama. Il Governo americano vorrebbe chiudere questa trattativa prima dell’arrivo di un altro o di un’altra Presidente a Gennaio 2017. Poi a lamentarsi sono i francesi, che hanno già un grande problema legato alla bilancia commerciale in forte deficit, dicendo che gli Stati Uniti stanno portando avanti il negoziato imponendo il loro punto di vista. Sul fronte Germania assistiamo ad una questione ideologica con il Ministro dell’economia tedesco Sigmar Gabriel che ha dichiarato le trattative come “morte” mentre la Cancelliera tedesca Angela Merkel ha affermato che i negoziati vanno avanti.
Da noi, in Italia, nonostante il pieno appoggio del Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, che definisce “il TTIP un accordo essenziale per il nostro Paese – e dunque ci serve – e gli Usa il mercato a più alto potenziale di sviluppo per il nostro export”, questa posizione deve convivere con un fronte importante del “no al Trattato”, che parte dai gruppi di attivisti contrari alla globalizzazione, passando per le associazioni di protezione dei consumatori fino agli studiosi della materia impegnati a palesare i propri dubbi.
Se è vero che il Trattato “ci serve”, è anche vero che la Germania manifatturiera riesce a fare bene anche senza accordo. Facendo un’analisi comparativa dell’export 2015 dei due Paesi l’export tedesco è oltre il doppio di quello italiano.
L’Italia non dovrebbe rimanere ferma in attesa dell’esito del TTIP, ad oggi incerto. Nel frattempo, bisogna continuare ad avanzare e alcune buone notizie ci sono. Per esempio, nella sintesi del Rapporto ICE 2015-2016 – “L’Italia nell’economia internazionale” – viene precisato che “Il numero degli esportatori ha continuato a crescere nel 2015, raggiungendo un nuovo massimo (oltre 214.000 operatori). È salito anche il valore medio delle esportazioni per impresa, che ha sfiorato gli 1,9 milioni di euro.”
L’accordo Transatlantico deve proseguire per la sua strada ed arrivare ad un accordo soddisfacente per tutte le 28 parti interessate, ricordiamolo qualora fosse ancora necessario. Ma questo non ci deve impedire di continuare a lavorare duro con i mezzi attuali che abbiamo a disposizione. A cosa puntare nel frattempo?
L’Internazionalizzazione delle imprese resta la soluzione per affrontare anche – e non solo – il rischio fallimento o stop del TTIP.
Guardando a quello che è successo nel cuore dell’Italia, il terremoto del 24 Agosto 2016, che ha provocato quasi 300 vittime, questo dramma ci ha di nuovo svegliati per ricordarci che servono persone per salvare uomini e donne, servono parole per consolare, ma anche – in questa fase – risorse per costruire e ricostruire.
Questo significa scegliere la via dell’internazionalizzazione come fattore strategico per puntare a risorse aggiuntive, che potremo ottenere più velocemente – indipendentemente dall’esito del Trattato TTIP – se aiutassimo le imprese ad accrescere il loro export verso il Mondo. Quelle risorse che potrebbero rimettere in moto le attività economiche e turistiche dell’area.
Per la nostra regione, l’internazionalizzazione delle proprie imprese, dunque, deve essere attuata e vissuta come il miglior modo di contribuire alla rinascita del territorio del Sud delle Marche.