In Italia la crisi del mercato interno si trova in una specie di stato vegetativo: contempla l’esistenza di difficoltà e trascura concrete vie di uscita. In tale contesto nella Regione Marche ci sono voluti sette anni per recuperare i livelli di export del 2007.
Oggi quali sono le condizioni per essere pronti ad affrontare i prossimi passi?
Gli stimoli dovuti all’immissione di moneta nel sistema economico europeo da parte della BCE (Quantitative Easing), il recente salvataggio delle banche, il richiamo di queste ultime – rivolto alle imprese – a presentare progettualità con l’obiettivo di utilizzare la disponibilità monetaria esistente, nonché altre iniziative per la ripartenza dell’economia non hanno ancora suscitato l’effetto sperato di un deciso rilancio economico.
Da parte delle imprese, di ogni livello e grado, si nota tuttavia un forte interesse ed un tentativo – quasi disperato – di internazionalizzazione che si sospetta abbia il solo scopo di recuperare all’estero ciò che si è perso sul mercato interno.
Accanto a queste costatazioni, il fenomeno del ritorno effettivo e dell’incoraggiamento a produrre in Italia ci mettono di fronte ad un bivio. Un mondo instabile non deve fermare le Marche in questo sforzo di internazionalizzazione e di ritorno a puntare sul manifatturiero, perché entrambe le cose, per la nostra Regione, sono attività di valenza strategica superiore. Per quanto riguarda la nostra offerta tra i concorrenti europei, come forza manifatturiera, abbiamo infatti un solo Paese davanti. Si tratta della Germania. Dobbiamo compiere tutti gli sforzi necessari, che siano organizzativi e/o finanziari, per rimanere in testa. Se per gli sforzi finanziari le nuvole si stanno progressivamente affievolendo, per gli sforzi organizzativi rimane molto da fare. E questo innanzitutto per un chiaro motivo: la necessità di avere una chiara visione di lungo periodo.
Perché nelle Marche, prima di ripartire, siamo condannati a perseguire uno sforzo organizzativo?
Perché in questa “piccola” Regione si produce tanto e si produce di tutto. Perché disponiamo di maestranze straordinarie, capaci di mettere a disposizione del mondo “prodotti speciali fatti da specialisti” e di soddisfare la voglia di bello e di esclusivo che non cessa di manifestarsi ovunque nel mercato globale. Perché la voglia naturale di impresa che ci caratterizza ed il fenomeno della trasformazione digitale dei modelli economici (e-transformation) hanno portato alla nascita e allo sviluppo di nuove categorie di imprese – come le start up innovative – che hanno bisogno di posizionarsi rapidamente sul mercato interno o addirittura immediatamente sui mercati mondiali. In più, oggi sono apparse nuove necessità sentite ovunque nel mondo. Sfida spaziale, sicurezza, difesa e salute, accanto alla riscoperta dell’agricoltura come attività di grande interesse nazionale ed internazionale, impongono di guardare e di aprirci rapidamente a nuovi settori tecnologici o strategici.
E’ in questo senso – prima di tutto organizzativo – che si deve intendere la necessità di ricorrere alla suddivisione delle imprese marchigiane in categorie che, al momento, sono cinque: imprese storiche, pmi, nuove imprenditorialità, start up innovative e pmi innovative. Con quale obiettivo? Individuare immediatamente le loro specifiche necessità, offrire il miglior servizio possibile di indirizzo, aiutarle ad individuare la migliore configurazione da adottare per aggredire i mercati internazionali, mettere rapidamente in atto ogni eventuale azione correttiva, garantire il massimo sforzo nell’assicurare accesso ai mercati a tutti i comparti produttivi/distretti marchigiani.
Allo stesso tempo antiche e nuove problematiche come la dimensione delle imprese, la loro dispersione sul territorio regionale e la difficoltà di accesso ai mercati – dovuta alla mancanza di una catena italiana di distribuzione di livello mondiale e di debolezza strategica delle imprese italiane su questo specifico argomento – così come tante altre sfide, tra cui quella manageriale, il passaggio generazionale, il marchio, l’innovazione e la digitalizzazione, impongono un altro sforzo.
Si tratta della creazione di un luogo fisico di incontro/confronto tra imprese. Un luogo nel quale dare la visibilità alle medie e micro imprese consentendo loro di esporre i propri prodotti, di incontrare a turno buyer internazionali, un luogo in cui incoraggiare i giovani, anche ricercatori, a fare il salto imprenditoriale, in cui ricercare investitori, nuovi collaboratori, in cui favorire la formazione di reti d’impresa e sviluppare l’attrattività come attività cardine per lo sviluppo regionale (attrattività di investitori per risollevare aree depresse, di talenti per le imprese e la ricerca, di turisti in un territorio unico e irripetibile da posizionare come brand Marche).
Dobbiamo portare avanti questi due sforzi organizzativi per lanciare una sfida nazionale ed europea: la suddivisione delle imprese in cinque categorie e l’introduzione dei Centri di imprenditorialità Diffusa.
Ne va della difesa del nostro primato imprenditoriale, nazionale ed europeo. Ormai, ne dobbiamo essere consapevoli, il mondo è la piazza sulla quale la nostra imprenditorialità e le nostre imprese devono imparare a giocare e a farsi valere. Per questo serve il Centro di Imprenditorialità Diffusa: è la frontiera tra ricerca e mondo dell’impresa per il salvataggio e l’evoluzione del modello di sviluppo marchigiano. E’ l’anello mancante per il rinascimento industriale nelle Marche.