Introduzione
Se guardiamo alle caratteristiche delle Marche e più in generale a quelle dell’Italia possiamo affermare che, rispetto al numero, alla distribuzione sul territorio e alla natura stessa delle Piccole e Medie Imprese (PMI), tale ambito ha un’importanza strategica assoluta per il futuro delle nostre economie regionali e di quella nazionale. Questo ragionamento lo possiamo fare partendo da una piccola realtà come quella marchigiana, che rappresenta una vera e propria ECCEZIONE nel panorama nazionale per diverse ragioni.
Di seguito proviamo ad illustrare una fotografia. Ci è apparso doveroso farlo perché dovremmo essere tutti più consapevoli della potenza economica dal Paese, basata proprio su alcuni primati delle Marche e dell’Italia.
1) Le Marche vantano un primato imprenditoriale a livello nazionale (1 impresa ogni 10 abitanti). E nelle Marche si produce di tutto.
Dai prodotti agroalimentari artigianali a quelli industriali, dal confezionamento di prodotti di abbigliamento su misura alla produzione di massa per il settore della moda, dai giocattoli agli strumenti musicali, dai prodotti chimici al riciclaggio di prodotti in plastica, dal settore mobili, cucine a quello degli elettrodomestici, dalle calzature artigianali fatte a mano a quelle prodotte a livello industriale, dai prodotti dell’illuminazione a quelli della plastica, dalla produzione di barche e navi al settore dei macchinari o mezzi di trasporto a motore, dall’imbottigliamento di acqua e bevande alcoliche e non alcoliche – anche quelle che rispettano alcuni divieti alimentari – fino ai prodotti in pelletteria di lusso. E questa lista, pur non esaustiva, significa posti di lavoro.
Parliamoci chiaro. L’aiuto alle imprese proposto dal PD Marche e da quello nazionale deve sempre intendersi nell’obiettivo di sostenere l’occupazione a favore dei lavoratori e non nel semplice intento di “difendere gli interessi dei ricchi”, come si sente accusare il PD da parte di qualche voce isolata, ma che riesce a fare danni all’immagine sociale del nostro partito.
Per esempio, dall’analisi dell’attuale sistema economico e industriale mondiale, sappiamo che i 2/3 dei prodotti scambiati a livello globale sono prodotti semilavorati. Ciò significa che le aziende non vendono a consumatori finali ma ad altre imprese. Questo ha una doppia conseguenza sull’impostazione delle strategie dell’occupazione che – ripetiamo – passano attraverso il sostegno delle imprese. Da una parte, una delle priorità è affrontare l’inserimento obbligatorio delle nostre aziende e dei nostri prodotti nelle grandi catene globali del valore. Questo “vincolo esterno”, legato alla quota parte degli scambi mondiali sulla categoria di prodotti citata sopra, non ci lascia scampo. Dall’altra, e allo stesso tempo, la caratteristica della struttura imprenditoriale marchigiana e italiana – vincolo interno – ci impone anche, sempre e comunque, di limitare l’emorragia dei posti di lavoro pensando, come autorevolmente affermato, a:
1.1 fare prodotti speciali da specialisti
1.2 realizzare i prodotti in modo esclusivo
1.3 vendere prodotti in canali esclusivi
1.4 puntare a qualità Made in Italy e Italian Way of Life
1.5 investire su tutte le risorse umane (giovani, donne, anziani)
1.6 praticare la gestione delle imprese con un mix tra famiglia e management esterno professionale
1.7 praticare la cultura dell’efficienza e della flessibilità per rimanere competitivo e per potersi adattare rapidamente ai cambiamenti del mercato, soprattutto internazionale
2) La grande diversità è la caratteristica principale delle imprese marchigiane.
Questa ci obbliga a considerare e a gestire una vastissima varietà di interessi, talvolta anche contrapposti tra singoli settori e singole aziende. A questa enorme complessità, si aggiunge un vincolo che tuttavia accomuna la stragrande maggioranza delle imprese. Il vero e proprio limite strutturale è legato alle “piccole dimensioni delle imprese marchigiane e quelle italiane”.
Attenzione. Questo non significa che le nostre imprese siano cattive imprese solo perché piccole e che bisogna sbarazzarsi di loro. Al contrario! La piccola dimensione è un elemento che giustifica e che ci deve spingere ad aiutare queste imprese. Specialmente se ci muoviamo in un contesto nel quale è ormai dimostrato che è proprio la piccola dimensione la causa principale della loro mancata proiezione sul mercato internazionale. È questo limite a rendere la sfida dell’internazionalizzazione – obiettivo strategico per il paese – di difficile applicazione per le aziende italiane.
Prima di spiegare in maniera dettagliata il motivo per il quale l’internazionalizzazione deve essere considerato un obiettivo strategico per le Marche e per l’Italia, precisiamo la questione legata alla piccola dimensione delle imprese marchigiane. Le Marche sono una regione manifatturiera ed esportatrice (il saldo positivo della bilancia commerciale si conferma attivo. In effetti, abbiamo avuto dei risultati di saldo attivo pari, espressi in miliardi di euro, a € 5,419 nel 2014; € 4,818 nel 2015 ed € 4,456 nel 2016) nonostante siano una regione nella quale la piccola impresa regna sovrana con la micro-impresa nocciolo duro del sistema (95% delle imprese marchigiane ha tra 0 e 9 addetti mentre le imprese marchigiane con oltre 250 addetti sono appena il 0,05% del totale). I dati del suo commercio estero 2016 indicano in particolare che le Marche a livello nazionale, su 20 regioni, anche con una piccola percentuale di popolazione pari appena al 2,5% di quella italiana, si posizionano all’ottavo posto per ammontare di esportazioni, dietro Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Lazio e Friuli Venezia Giulia. Eppure le Marche esportano quasi il 3% dell’intero export italiano.
3) Affianco ai problemi legati alla piccola dimensione – oggi pesante e principale zavorra del sistema – che ne limita lo sviluppo soprattutto a livello internazionale, le imprese marchigiane e italiane stanno ancora trascinando altri problemi strutturali non meno gravi.
Tra questi possiamo citare la scarsa digitalizzazione delle imprese, limite o problema sia italiano che europeo. Ma questo non è una consolazione. Perché? Purtroppo per un paese come l’Italia, che rappresenta la seconda potenza industriale in Europa dopo la Germania, questo mix di piccola dimensione e scarsa digitalizzazione ha naturalmente degli effetti devastanti. Nel dibattito politico si sente spesso paragonare l’Italia a paesi che non hanno neanche minimamente la struttura, la potenza e le capacità della nostra economia e che vanta primati sotto indicati.
4) Al mix devastante di piccola dimensione e di scarsa digitalizzazione, come se non bastasse, si aggiungono ulteriori “guai” perché – mentre il mondo continua a correre – siamo anche costretti a contemplare l’urgenza di affrontare vecchie e nuove sfide. Si tratta di spingere le nostre imprese a:
4.1 vedere il mondo come il loro mercato e pertanto praticare l’internazionalizzazione come scelta strategica
4.2 focalizzarsi sul proprio settore, puntando soprattutto sull’innovazione dei processi
4.3 affrontare la questione dell’uso e della protezione del Marchio/Brand per orientarsi verso la vendita di prodotti ad alto valore aggiunto e la costruzione di relazioni forti con il consumatore finale
4.4 affrontare la sfida della distribuzione nei negozi, sui siti Internet o direttamente sugli smartphone
4.5 affrontare il passaggio generazionale e la sfida manageriale
4.6 aprirsi al mondo della finanza
5) Eppure ci sono primati regionali e nazionali di cui tener conto, anche nei confronti di altre nazioni europee che spesso tendiamo a considerare migliori della nostra. Così, è importante sapere che:
5.1 l’Italia ha un numero di imprese esportatrici abituali che sono il doppio rispetto a quelle della Francia
5.2 il saldo import/export 2015 è positivo per l’Italia (+ €45 miliardi) mentre è negativo per la Francia (- €46 miliardi)
5.3 “L’Italian sounding” (l’utilizzo di nomi che evocano la lingua italiana) oppure l’utilizzo della bandiera dell’Italia su ristoranti o prodotti nella grande distribuzione sono un chiaro indice che i prodotti italiani hanno un’ottima considerazione all’estero e a livello globale. La conoscenza e il riconoscimento del “Made in Italy” nel mondo rappresenta un ulteriore primato che non abbiamo ancora imparato ad apprezzare e a sfruttare pienamente.
6) La crisi economica del 2007/2008 che sta per compiere dieci anni ha finito per portare il mercato interno al collasso. Con un mercato interno praticamente morto, tutti questi dati e tutti questi elementi ci dovrebbero naturalmente spingere a puntare sull’aumento del numero degli esportatori abituali per ottenere più internazionalizzazione delle imprese marchigiane e italiane (ricordiamo ancora che le imprese esportatrici in Italia sono il doppio rispetto alla Francia).
7) Dopo una attenta analisi di quanto sopra e nel dover constatare che in seguito alla crisi del 2007/2008 il mercato interno in Italia ha subito un vero e proprio collasso, risulta adesso più facile capire perché l’internazionalizzazione, cioè l’apertura verso i mercati che stanno lontano da casa nostra, PUÒ e DEVE diventare un obiettivo strategico per le aziende marchigiane e per quelle italiane. È da questa strategia che dipenderà lo stop all’emorragia dei posti di lavoro e il rispetto dell’Art. 1 della nostra Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. È principalmente – e forse anche SOLO – da questa strategia che si potrà restituire dignità a chi la trovava e la trova nel lavoro.
In effetti, le aziende che esportavano prima e durante la crisi economica del 2007/2008 hanno lavorato e continuato a lavorare bene. Anzi. Molte hanno visto le loro performance aumentare sempre di più, con un impatto positivo sull’occupazione. Ecco perché l’internazionalizzazione è un obiettivo strategico e prioritario per il nostro paese e lo si deve raggiungere favorendo sempre e ovunque l’aumento degli esportatori abituali su tutto il territorio nazionale.
Per uscire dalla crisi, dobbiamo inoltre aiutare le PMI ad affrontare anche nuove sfide come Industria 4.0, Lavoro 2.0 (alcuni lavori dei cosiddetti “colletti bianchi” hanno cominciato ad essere eseguiti dai robot”), la Sharing Economy (Economia della Condivisione), l’Economia Circolare, il ricorso a nuove forme di finanziamento (Crowdfunding), la Smart City e la sfida economica legata agli Anni d’Argento (invecchiamento della popolazione). In tutto questo, infatti, non ci dobbiamo dimenticare che l’Italia e le Marche hanno una popolazione sempre più anziana (20% della popolazione marchigiana ha oltre 65 anni), alla quale dobbiamo rivolgere la nostra attenzione. Oltre ad una crescita della spesa pubblica, l’aumento di una popolazione anziana comporterà anche la domanda di nuovi servizi, la ricerca di nuove soluzioni a nuovi problemi, e quindi potrà anche provocare nuove opportunità imprenditoriali e occupazionali da incentivare.
Ecco perché bisogna guardare a nuovi settori (Biomedicale, Meccatronica, ecc.) e alla riconversione di territori/distretti (es. in Aerospazio, ecc.) come occasioni di ulteriore sviluppo occupazionale. Ma proprio mentre dobbiamo cominciare ad aiutare le PMI ad affrontare queste nuove sfide, alcuni settori o imprese devono ancora concludere l’avvio di innovazione (soprattutto quella dei processi in aree altamente manifatturiere). Proprio nello stesso momento in cui dobbiamo finire di affrontare la sfida della digitalizzazione, che non si è ancora conclusa, soprattutto per le strutture ricettive alberghiere e ristorazione (turismo e “Big Data”).
8) Conclusioni
Per aiutare le PMI in questo processo e per affrontare in contemporanea sfide passate e presenti, il PD Marche ha proposto:
· un metodo: la suddivisione delle imprese marchigiane in 5 categorie per realizzare un lavoro sartoriale nel sostegno ai loro vari bisogni, settori e dimensioni. Queste 5 categorie sono: imprese storiche, PMI, nuove imprenditorialità, start up innovative, PMI innovative. A questo si deve aggiungere la categoria speciale di Grandi Campioni Regionali.
· di puntare sul Centro di Imprenditorialità Diffusa: luogo per affrontare e proiettare la nostra regione e il nostro paese in un futuro di prosperità economica. Si tratta di uno spazio nel quale – con l’indirizzo del pubblico ma con metodi di gestione e funzionamento del settore privato – accompagnare e sostenere una miriade di PMI che pur avendo idee innovative stentano a decollare per problematiche ed esigenze comuni. E’ contaminazione tra manifattura, scienza, arte, innovazione, tecnologia, ricerca, formazione. E l’anello mancante tra RICERCA e PRODUZIONE, facendo sistema con il mondo frontiera del nuovo modo di fare impresa da valorizzare (Coworking, FabLab, Contamination Lab, Spin Off, Incubatori, Acceleratori).
Il Centro di Imprenditorialità Diffusa, già descritto in passato, è lo strumento che ci potrà far provvedere progressivamente ad uno “sviluppo senza fratture” per le Marche – e se possibile – anche per l’Italia.