Un nuovo contesto mondiale si sta progressivamente forgiando dinanzi ai responsabili politici, chiamati a scegliere le politiche da attuare per il loro territorio, la loro regione, il loro paese e nell’ambito delle organizzazioni internazionali a cui appartengono.
Non è una situazione facile, soprattutto se diventa urgente decidere in fretta e prendere in considerazione fattori cruciali dei quali ancora non conosciamo i risultati. Uno tra tutti l’esito delle elezioni presidenziali 2016, tra pochi giorni, negli Stati Uniti.
In Europa questo è il caso della Brexit che è riuscita a minacciare l’unità del Regno Unito. Poi ci sono le prossime elezioni 2017 in Francia e in Germania. C’è il caso clamoroso dell’instabilità politica senza precedenti in Spagna dove il paese, dal 20 dicembre 2015, è rimasto per dieci mesi senza governo.
A livello internazionale, la flotta russa è entrata nel Mediterraneo, nel quadro della lotta contro lo stato islamico, ma molto probabilmente resterà lì a lungo. Le forze armate irachene – le quali agiscono in operazioni congiunte che sono un successo per ora, ma delle quali noi ad oggi non possiamo ancora valutare il rischio e le conseguenze di divisioni – sono tornate nella città Mosul, abbandonata a luglio 2014.
In casa nostra, il destino dell’Italia attende i risultati del referendum, fissato per il 4 dicembre, al quale si è aggiunto un terremoto che ha scosso tutto il paese, colpendo l’Italia centrale e ferito gravemente la regione Marche, arrivando addirittura a cambiare profondamente la conformazione del suo territorio. I nostri pensieri e le nostre azioni si devono rivolgere ai circa 25.000 sfollati, ringraziando il cielo che questo sisma non abbia provocato vittime, che la sua forza distruttiva avrebbe potuto causare. Ciò tuttavia non esclude una “morte lenta” se non si interviene subito con rapidità.
La lezione da imparare è che qualcosa dobbiamo cambiare nei nostri modi di costruire, di prepararci agli eventi catastrofici, di governare e di essere governati, facendo della responsabilità un perno della vita sociale nei borghi, nelle città e nei centri di potere.
La nostra Italia, ferita profondamente ancora una volta dal sisma, ha bisogno di reagire, e reagire molto velocemente.
Non si tratta solo di risparmiare le popolazioni dalle intemperie o di trovare un tetto per tutti entro Natale. Non dobbiamo dimenticarci che, nonostante tutto, rimaniamo il Paese che comunque rappresenta la seconda potenza manifatturiera in Europa e la settima nel mondo. Pertanto favorire l’internazionalizzazione delle aziende marchigiane resta una priorità assoluta per sviluppare un export che possa fungere da traino occupazionale, economico e sociale. Molti imprenditori e operai sono rimasti ai loro posti nonostante i rischi legati a profondi disagi, a nuovi crolli e convivono con la paura. Anche qui, lo stimolo e il sostegno all’imprenditorialità marchigiana devono essere salvaguardati e garantiti, anche come fattore di coesione di intere comunità duramente colpite.
Dalla crisi del 2008, per salvare il sistema, la priorità è stata concentrarsi sulla politica monetaria, a scapito degli investimenti in infrastrutture. Inondando i mercati finanziari di liquidità e mantenendo bassi i tassi di interesse, i legislatori hanno incoraggiato gli investitori a muoversi su azioni e obbligazioni, creando tuttavia – principalmente – una ricchezza finanziaria.
Oggi, per quanto riguarda la situazione dell’Italia, questa politica ha raggiunto i suoi limiti. Bisogna prenderne atto. Tassi di interesse a zero o addirittura negativi ormai non produrranno più effetti. Le Marche sono un buon esempio-scuola per dimostrarlo. In effetti, il mercato delle costruzioni è crollato, così come il consumo dei privati, meglio definito come “mercato interno”.
Proprio da qui bisogna ripartire. Proprio queste sono le due forme di spesa che, da quando la crisi ha colpito, hanno registrato un netto calo.
Si tratta anche di sapere e di capire che per quanto riguarda le decisioni politiche ed economiche siamo di fronte ad un bivio. Abbiamo bisogno di un piano di stimolo nazionale focalizzato sulla ricostruzione, nell’ambito del quale non vadano dimenticate le energie a basse emissioni di carbonio, la potabilizzazione dell’acqua, l’istruzione o l’internazionalizzazione, il turismo e la cultura.
Un contributo al raggiungimento di questo obiettivo potrebbe arrivare dall’apertura di un confronto – costituendo uno o più tavoli ad hoc – sulle tre sfide principali. L’identificazione dei progetti adeguati (anche a carattere multiregionale), lo sviluppo di progetti complessi che coinvolgano settore pubblico e privato e la messa in piedi di strutture finanziarie.
Dalle risorse nazionali per il terremoto, passando per il “Piano Juncker” e i fondi europei, ci dobbiamo avviare verso un percorso virtuoso di ricostruzione anche per ammodernare, con adeguate competenze, la nostra regione e il nostro paese.
L’Europa assume pertanto un ruolo importante come fattore legato alla ripartenza e la nostra convinzione di attaccamento ad essa si deve assolutamente rafforzare, perché rappresenta un anello importante nella catena della ricostruzione.
Oggi lo possiamo dire. La ricostruzione del 1997 è stata un successo, e anche allora avevamo fatto le cose “come non erano mai state fatte prima”. Dobbiamo ripetere quella logica, quell’impegno e quella tecnica, adeguandola ai nuovi contesti, soprattutto in un periodo di ristrettezze finanziarie ma nel quale, da un lato, il cittadino ha acquisito un maggiore peso nelle decisioni politiche e, dall’altro, la tecnologia – strumento essenziale per lo sviluppo – non è mai stata così sviluppata, diffusa e a disposizione dell’intera collettività in tutto il mondo.