Questa crisi sanitaria trasformatasi in pandemia ci deve far riflettere profondamente sui nostri modi di vivere e di produrre.
Per questo motivo da oggi mi impegno a dare priorità e a spingere in avanti il tema dell’economia circolare innanzitutto come fattore culturale, prima ancora che come mezzo inequivocabile per rilanciare la nostra economia regionale e quella interna a livello europeo.
Da oggi, abbiamo l’opportunità di ricominciare a sognare il nostro domani guardando ad un passato nel quale siamo stati protagonisti di uno sviluppo che ha raggiunto i suoi limiti.
Il 10 dicembre 1963, l’Accademia Svedese delle Scienze di Stoccolma consegnava il Premio Nobel per la chimica all’italiano Giulio Natta (Politecnico di Milano) insieme al tedesco Karl Ziegler (Istituto Max Planck) per la scoperta della polimerizzazione stereospecifica. Da questi lavori nascerà il famoso Moplen.
Da qui nasceranno le plastiche, resistenti, duttili, flessibili, leggerissime, idrorepellenti, colorabili, inattaccabili da muffe e batteri. Questo spiega il successo commerciale della plastica valido ancora oggi. Non dobbiamo neanche nascondere che il livello di sviluppo oggi raggiunto sia anche dovuto a questo genere di scoperte.
Ma bisogna anche prendere atto che l’eccesso produttivo di plastica ha trasformato il pianeta e soprattutto i mari in luoghi pericolosi sia per gli animali che per gli stessi esseri umani se andiamo a guardare la catena alimentare.
Dai tempi della rivoluzione industriale, l’Europa delle prime due potenze manifatturiere del continente – Germania e Italia – funziona secondo il modello dell’economia lineare che consiste nell’estrarre, fabbricare, consumare e buttare via prodotti o materie.
Con l’aumento esponenziale della popolazione mondiale e lo spostamento delle attività industriali verso i paesi emergenti, è stato esattamente questo il modello economico adottato anche dagli altri paesi.
Tuttavia, questo schema non riesce più a nascondere limiti inequivocabili. Ci sono rischi legati al saccheggio delle materie prime del pianeta con relativi conflitti, ma soprattutto la grave questione dell’inquinamento.
I nostri modi di produzione e di consumo devono cambiare drasticamente e molto velocemente. Viviamo letteralmente in mezzo a spazzatura e ne produciamo continuamente.
Separazione, riciclo, trattamento dei rifiuti non sono più sufficienti a salvarci dalla catastrofe.
Se aguzziamo l’ingegno e guardiamo ai processi naturali, ci rendiamo conto che il ciclo che è riuscito a guidare il mondo per millenni, e che noi abbiamo interrotto con l’avvio della rivoluzione industriale in poi, in realtà non butta via nulla.
La vera domanda che ci dobbiamo porre ora è la seguente: possiamo fare meglio con meno risorse naturali?
Serve un nuovo modo di fare e di agire nel quale prendere la natura come riferimento ed utilizzare lo stesso ingegno umano – come quello di Giulio Natta – per portarci in una situazione di economia più sostenibile.
Ecco come nasce l’economia circolare.
Osservando la natura, dobbiamo orientarci verso un modello di sviluppo nel quale tutti i prodotti che utilizziamo rimangano allo stesso tempo risorse invece di trasformarsi in rifiuti.
Per le Marche manifatturiere, economia circolare significa che – già dalla fabbricazione di prodotti – bisogna considerare la possibilità di ripararli, smontarli per riutilizzarne i materiali che li compongono. Per l’agroalimentare marchigiano, economia circolare significa innanzitutto evitare gli sprechi.
L’economia circolare non significa solo mera attenzione al fatto che la produzione non debba avere o debba limitare un impatto negativo sull’ambiente, sulla salute umana o su quella degli animali. Anche la non tossicità è una priorità assoluta.
Si tratta anche – e soprattutto – di avere un impatto positivo sulla vita della collettività. In effetti, alcuni prodotti hanno già o possono avere altra funzione positiva sulle persone o sull’ambiente durante il loro utilizzo o nel loro consumo abituale. Prendiamo l’esempio di un lavandino in grado di riciclare l’acqua mentre viene normalmente utilizzato per altri scopi.
In questo momento storico nel quale molti dei nostri beni giacciono fermi nei magazzini e le nostre macchine sono chiuse nei garage o parcheggiate nelle strade, dovremmo poter capire meglio la necessità e l’interesse comune a condividerne l’utilizzo.
Ecco perché in questi momenti nei quali siamo chiusi in casa e le frontiere si stanno chiudendo, l’economia circolare diventa l’impegno strategico di una regione con un primato imprenditoriale per il quale dovremmo continuare a lottare, una volta usciti dall’emergenza, per rendere perenne il nostro modello di sviluppo senza frattura, che uscirà indebolito da questa crisi sanitaria senza precedenti.

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