Il primo vertice informale tra i leader europei che si è svolto a Bratislava non porta solo una novità, come l’assenza della Gran Bretagna in seguito al voto per la Brexit. Gli altri paesi dovranno mettersi d’accordo anche in merito alla strategia da adottare nei confronti del Regno Unito, dopo l’apertura dei negoziati allo scattare dell’art. 50 del Trattato di Lisbona.
Oltre a queste difficoltà, appaiono sempre più marcate anche le differenze fra i paesi, per i quali i disaccordi rendono le posizioni più distanti, come quelle tra il Gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) e il resto dei paesi europei.
Migrazioni, politiche sociali, rilancio dell’economia attraverso la fine dell’austerità sono temi molto delicati, ma per i quali esiste – per fortuna – un tempo limite che potrebbe aiutare il chiarimento tra le parti. Il fine rimane quello di guardare ad un nuovo traguardo. A questo traguardo, con un’Europa che sappia quello che vuole e dove vuole andare: la ricorrenza del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma che avverrà nel 2017.
Purtroppo, le “gambe corte” delle bugie sulla Brexit hanno finito per proiettarci su un lungo cammino.
Ad esempio, oltre ad aver comunicato agli elettori una somma errata, la promessa di dirottare le risorse versate all’UE verso il sistema sanitario nazionale non potrà essere mantenuta. Per quanto riguarda il controllo sugli immigrati provenienti dagli altri paesi dell’UE – la città di Londra invita calorosamente a restare – la regolarizzazione dei circa 3 milioni di immigrati, con nuove pratiche amministrative, dovrebbe passare attraverso un ufficio che tratta circa 25.000 pratiche l’anno. Infine, la promessa dell’uscita immediata con la vittoria dell’«Exit» e l’immediata chiusura delle frontiere non è avvenuta, perché voler “la moglie ubriaca con la botte piena” sarà un compito difficile per un Regno Unito che intende continuare a far parte del mercato comune e chiudere, allo stesso tempo, le proprie frontiere.
A questa delicata fase politica si stanno aggiungendo variabili interne ai singoli paesi, vicini e lontani.
Negli Stati Uniti, gli ultimi mesi del Governo di Barack Obama si stanno svolgendo in un clima di difficoltà sulle decisioni per le grandi questioni internazionali. Continua il clima di paura e di tensioni, ma soprattutto quello delle polemiche circa l’incertezza, l’esperienza, la salute o le future politiche dei candidati alle presidenziali di novembre. In Germania, due scadenze elettorali a breve distanza hanno sanzionato duramente la Cancelliera Angela Merkel, senza dubbio per la sua politica di immigrazione, che ha accolto oltre un milione di rifugiati solo nel 2015. In Francia, l’avvicinarsi dell’elezione presidenziale del 2017 in un clima di lotta al terrorismo e di lotte politiche interne, che vedono crescere il partito euroscettico e xenofobo del Front National, desta molte preoccupazioni. In Spagna, continuano le difficoltà di formare un nuovo governo per un paese che rischia di andare alle urne per la terza volta in un anno.
In casa Italia, dopo il dolore e la commozione per il terribile terremoto che ha duramente colpito il centro Italia, infuriano le polemiche sull’ingerenza straniera circa l’esito del referendum sulle riforme costituzionali. Nel frattempo, si sono aperte le discussioni sulla modifica della legge elettorale.
Il confronto tra il fronte del “No” e quello del “Sì” continua.
Ingerenze o non ingerenze straniere, anziani che vogliono ipotecare il futuro dei loro nipoti, giovani disinteressati alla politica o che votano ormai solo per protesta, qui è del futuro dell’Italia che si sta parlando. Della sua capacità di cambiare, di ridurre i costi della politica, di evolvere e di orientarsi verso nuovi orizzonti, cambiamenti promessi tante volte in passato ma mai raggiunti.
Con un Senato ridotto di 215 membri, si trasmetterebbe ai cittadini un forte segnale di cambiamento circa il costo della politica. Con la rinuncia al bicameralismo perfetto, si renderebbe il processo legislativo del paese più snello e meno incline alle polemiche infinite e alle inefficienze di questo sistema, che non ha di certo favorito la stabilità politica. In attesa che l’economia interna si riprenda e che l’Italia migliori costantemente la sua posizione sui mercati internazionali, si potrebbe dare un nuovo corso ad un paese che, da quando è una Repubblica, ha avuto e visto susseguirsi 63 Governi.
È vero che la Costituzione italiana è tra le più belle del mondo, ma a livello nazionale deve avvenire il ridimensionamento del numero dei politici, anche per concentrarci maggiormente sulle politiche territoriali, soprattutto – in un mondo che continua a correre – su quelle transnazionali ed internazionali, specialmente quelle europee.
Il vero nodo della questione, la domanda fondamentale che tutti ci dobbiamo porre è quale sia la posta in gioco tra un “Sì” e un “No”.
La riforma costituzionale deve servire a dare credibilità e stabilità al paese, serve anche a rafforzare il ruolo dell’Italia in Europa e, di conseguenza, dell’Europa nel mondo.
Gianni Pittella, Presidente del Gruppo Socialista e Democratico al Parlamento Europeo, nella sua tappa marchigiana del 19 settembre 2016 e in risposta al quesito sulla possibilità di considerare la riforma come un Exit dell’Italia dalle sue antiche debolezze, dichiara: “Si tratta di un impianto di riforme, quelle sottoposte al voto referendario, largamente nello spirito di un rafforzamento del protagonismo italiano in Europa”. La posizione viene ribadita nel suo libro “Exit. Europa, Mediterraneo, Mezzogiorno e Riforme”.
L’Italia ha di fronte l’occasione storica di diventare più moderna, competitiva, più vicina ai cittadini ed alle loro domande di futuro.
Il futuro dell’Europa, quindi, risiede certamente nella capacità di non abbandonare il proprio campanile, ma, allo stesso tempo, anche in quella di Paesi membri in grado di proiettarsi in una dimensione sovranazionale dalla quale abbiamo tutto e tutti da guadagnare.