Mentre nelle Marche stiamo facendo i conti con un terremoto devastante come fenomeno geologico, è un terremoto politico quello che sta scuotendo il mondo in queste ore.
I primi risultati delle proiezioni hanno progressivamente indicato un risultato favorevole al Candidato Repubblicano, facendo passare gli osservatori da una notte della paura verso un risultato concreto di una vittoria netta su Hillary Clinton, che non diventerà – almeno per ora – la prima donna presidente degli Stati Uniti d’America. Non ha vinto chi aveva il pronostico dei sondaggi dalla propria parte, chi godeva dell’appoggio dei giornali e della stampa in generale. Non ha vinto chi aveva il favore degli artisti e degli imprenditori. Non ha vinto chi ha speso più denaro per la propria campagna elettorale. Non ha vinto chi era appoggiato da un Presidente uscente – Barack Obama – che, con un risultato del genere, è stato anche lui obiettivamente l’oggetto di “sanzioni” da parte dell’elettorato del partito democratico. Non ha vinto la qualità autocelebrata dalla stessa candidata, dalla stampa e dall’opinione diffusa, dall’appoggio di un personaggio carismatico come la First Lady uscente Michelle Obama.
Invece, ha vinto la quantità. Ha vinto il coraggio di fare una campagna politicamente scorretta. Ha vinto chi ha saputo leggere la nuova società americana post crisi, chi ha scelto di navigare sulle onde dell’importante protesta e chi ha voluto proporre all’elettorato una nuova strada basata principalmente sull’isolazionismo. Sarà facile mantenere questa visione? Solo il tempo ce lo saprà dire.
Quello che traspare subito è che l’America si scopre un paese diviso. Lo ha capito anche il Presidente eletto Donald Trump, che cercherà subito di “ricucire” prima possibile. Anche lui, nel corso del suo discorso della vittoria, ha ammesso che è stata una campagna elettorale molto devastante e che ha contribuito a dividere la società.
È stata principalmente, e storicamente, la campagna dell’inaspettato. Durante la notte, laddove erano aperte, le borse hanno reagito negativamente perché la tendenza non era fatta di quegli elementi attesi dagli analisti. Oltre ad una vittoria netta alle elezioni presidenziali, Donald Trump trascina il voto per la Camera dei Rappresentanti e quello per il Senato verso una comoda maggioranza per i Repubblicani, segnando un colpo di grazia definitivo per i Democratici. Eppure, il messaggio del Democratico Bernie Sanders, nonostante l’età avanzata, rappresentava alcuni segni precursori. Era riuscito a mobilitare anziani e giovani, indicando con un forte segnale che nella società americana qualcosa non andava. Molti lo dicono a posteriori, ma diventa sempre più oggettivo che sono gli stessi elettori del Partito Democratico che lo hanno condannato a non vincere, soprattutto facendo perdere alla candidata donna quello che avevano concesso al primo presidente afroamericano per ben due volte.
La prima lezione che dobbiamo trarre da queste elezioni è che la politica non è morta. In effetti, la politica è solamente cambiata. I motivi sono molteplici, ma bisogna ammettere – e partire anche dal concetto – che oggi le notizie, i contenuti e la propaganda dei partiti non vengono più portati avanti in modalità top down (dall’alto verso il basso), ma che gli elettori hanno più strumenti per essere da una parte – è vero – influenzati, ma anche dall’altra più informati, potendo cercare e selezionare autonomamente le notizie. Abbastanza per rendersi conto della realtà e per farsi una propria idea che, inevitabilmente, crea elettori di una nuova generazione, imprevedibili e difficili da identificare. E questa situazione sta cominciando a verificarsi anche nei paesi europei. Bisogna dare maggiore ascolto ai cittadini e riportarli nelle sezioni per capire insieme in quale mondo ci si muove. Bisogna offrire ai cittadini nuove prospettive e nuove opportunità spiegando i fatti con il supporto di dati oggettivi e nuovi metodi (es. progetti di ludopolitica). E la ricostruzione post terremoto è una priorità che va in quella direzione. Bisogna cercare, proporre ed offrire maggiori sbocchi alle imprese marchigiane per premettere loro di vivere e di sopravvivere, ma soprattutto per favorire il mantenimento e la creazione di posti di lavoro. Bisogna dare la possibilità a chi vuole intraprendere di farlo, pensando non solo alla burocrazia ma anche alla parte finanziaria dell’avventura imprenditoriale. Bisogna dare una chance all’Europa e alle organizzazioni che richiedono sforzi comuni, mettendole nelle condizioni di essere poco dispendiose di risorse e, allo stesso tempo, efficaci.
Perché, se non ci incamminiamo verso questo percorso virtuoso, l’ora dell’imprevedibile e dell’imprevisto rischia di incrociare anche la nostra strada prima o poi.