Introduzione
L’accelerazione degli eventi ci ha fatto ereditare – dal 1989 ad oggi – una “Storia” che si è venuta a formare dopo una serie infinita di eventi storici, politici ed economici. Quali?
La caduta del Muro di Berlino (1989), la riunificazione della Germania (1991), l’Allargamento dell’Unione Europea nel 1995 verso Nord (Austria, Finlandia e Svezia), la paura del “millennium bug” e lo scoppio della bolla Internet del 2000, gli attentati dell’11 Settembre del 2001, i maxi-allargamenti dell’UE ad Est del 2004 (Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia), l’uscita della Gran Bretagna dall’UE nel 2016.
Altro che “fine della Storia”.
Il risultato è che si presenta una situazione globale attuale talmente complessa che non è di facile comprensione, neanche per gli studiosi o gli osservatori più attenti e avvertiti.
Conflitti esistenti si sono andati complicando in maniera esponenziale, quelli latenti hanno ripreso in maniera più forte rispetto al passato e nuove ostilità si sono sommate ad un contesto internazionale che, dalla fine dell’ordine bipolare, ha cessato di essere più o meno stabile.
Ad un certo punto della nostra storia recente il pericolo della “mutua distruzione assicurata”, in caso di attacco nucleare, e la politica di armamento continuo in tutti gli schieramenti presenti nel conflitto della guerra fredda sono sembrati non essere più al centro delle priorità degli Stati e delle organizzazioni militari.
L’attenzione si è, invece, spostata sul terreno della competizione economica grazie ad una globalizzazione che ha toccato il pianeta e che ha visto la Cina issarsi a seconda economia mondiale dopo gli Stati Uniti. In questa partita, proprio la Cina si è guadagnata il titolo di “fabbrica del mondo” e un primato di export in volumi, mentre la Germania – con un avanzo pazzesco di oltre 260 miliardi di euro nel 2016 – esce largamente vincitrice in termini di primato di export a valore.
L’Italia, purtroppo, è rimasta molto a guardare o a giocare un ruolo di secondo piano.
Tra questi eventi, che hanno sconvolto il mondo nel quale viviamo oggi, possiamo citare a titolo di esempio (e non certamente ai fini esaustivi) la fine dell’Apartheid in Sud Africa, l’allargamento della Nato fino ai confini con la Russia e una globalizzazione planetaria accompagnata dall’affermazione dei paesi emergenti.
Questi eventi, da soli, rappresentano già un’enorme sfida per i vari paesi del mondo, per il sistema delle organizzazioni internazionali e la sicurezza collettiva.
Da pochi anni, invece, le democrazie occidentali, i paesi del Maghreb e adesso un po’ ovunque sono alle prese con una situazione destabilizzante per il potere, costituito, da una parte, da un fenomeno negativo come il terrorismo internazionale e, dall’altro, da un aspetto positivo come la voglia di partecipazione democratica dei cittadini che viaggia in parallelo al fenomeno dei populismi di vario stampo.
La partecipazione
Il terrorismo internazionale, principalmente di matrice islamica estremista e promosso da movimenti minoritari che hanno provocato più vittime tra i musulmani che tra altre fedi, finora ha colpito quasi ovunque in Europa, Parigi, Bruxelles, sul lungomare di Nizza, a Berlino, a Londra. L’ultima volta a San Pietroburgo.
L’altro straordinario fenomeno è nato dopo la crisi del 2008: semplici cittadini, giovani o anziani, con formazione accademica o meno, in luoghi pubblici cominciano a discutere di problemi, a proporre soluzioni per cambiare o creare una città, una società o un mondo diverso, “by-passando” completamente le organizzazioni tradizionali. Tornano termini e pratiche come “l’autogestione”, la pratica di una “democrazia diretta”.
Le persone che partecipano a questi movimenti sono mosse da più sentimenti contemporaneamente: dalla speranza di vivere in un mondo migliore, ma anche da un largo sentimento di “rabbia” nei confronti delle società nelle quali vivono, finendo per tradursi in ciò che si è definito “l’antipolitica”.
La classe dirigente – soprattutto quella caratterizzata da parlamenti molto numerosi come Francia, Italia e Germania – per lungo tempo ha continuato ad ignorare questi fenomeni, osservati con molto scettiscismo. Fino a quando non si sono cominciati a verificare dei successi elettorali. In effetti, oggi, le città di Madrid e di Roma, per esempio, sono governate da due amministratrici donne elette democraticamente e che vedono la loro carriera politica nascere in questo tipo di “movimenti”, che rifiutano in maniera categorica l’appellativo di “partito”.
La categoria dei politici di professione non è l’unica che è stata toccata da questa rivoluzione partecipativa. Sono stati colpiti – nella sorpresa generale – anche i sindacati che avevano il ruolo di difesa dei lavoratori nei loro compiti e il monopolio della mobilitazione dei cittadini, il monopolio delle piazze. Elemento collante di tutti questi movimenti di protesta e di auto-organizzazione è stata la rete Internet con i cosiddetti Social Media che vi si possono trovare. Così sono stati tagliati fuori politici e sindacati, visto che i cittadini avevano i mezzi per colloquiare tra di loro. Anche questo è l’effetto della cosiddetta “e-trasformation” (trasformazione dei modelli economici”), che sta avendo un effetto anche nella modellazione del sistema politico di domani ovunque nel mondo.
Le persone si danno appuntamento in luoghi pubblici tramite la rete, discutono di problemi comuni, vicini e lontani, testimoniano pubblicamente su crisi nazionali ed internazionali, finendo così per liberare la parola dei cittadini.
La verità è che si sta vivendo una sequenza politica radicalmente diversa. E questo dura da anni.
In effetti, si sta parlando di “democrazia diretta” in maniera sempre più pressante e molti chiedono che il sistema tradizionale della democrazia rappresentativa venga modificato per tenere conto di questa nuova situazione e delle nuove possibilità.
I cittadini hanno finito per cambiare completamente il contesto politico (le donne). E’ così che le organizzazioni politiche e sociali si sono trovate ad “inseguire”. Tutto questo è un fenomeno completamente nuovo e nel quale le attività pendono più dalla parte delle attività mosse dalle persone (cittadini in piazza) che dalle organizzazioni in sé (partiti o sindacati). Ecco perché modi di pensare e di agire – soprattutto a sinistra – vengono completamente sbaragliati dalle azioni delle persone in piazza e soprattutto perché il dialogo tra elettori e politici sembra – in alcuni casi – irrimediabilmente compromesso.
Per inserirsi correttamente nel dialogo con i nuovi soggetti/attori della politica, bisogna prendere atto che loro agiscono in completo sfasamento con i modi di agire e contro gli attori. Entrambi tradizionali.
La diffusione dal basso
L’altro grande problema che si incontra davanti a questi fenomeni è la loro diffusione. Rincorrerli tutti diventa quasi impossibile, con il rischio magari di perdere quella iniziativa che vincerà o che rappresenterà il futuro. La rete Internet, i Social Network, il fenomeno della condivisione (rapida e territorialmente diffusa) delle informazioni e il “passa parola” sembrano essere gli elementi che danno il vento in poppa e che aiutano la crescita esponenziale di questi fenomeni, diventando “virali”.
Infine, esiste anche una “diffusione dal basso” (movimento cosiddetto “bottom-up”), che sembra caratterizzare questi fenomeni, delineandosi come unica strada possibile da percorrere per portare avanti un’idea politica. Questa diffusione dal basso – figlia di una voglia di partecipazione straordinaria – finisce così per “legittimare” le persone che in altri tempi si trovavano tradizionalmente al più basso della catena di decisione politica, imponendo – a sua volta – e soprattutto ai movimenti politici tradizionali, di scendere (a loro volta) a quel livello, se vogliono sperare di contare ancora nella società di oggi e di domani. Questi sono i fatti che riguardano l’analisi del fenomeno a livello nazionale, europeo e globale.
L’eccezione marchigiana
Se invece ci rivolgiamo al livello di regione – se guardiamo alle Marche – notiamo che abbiamo bisogno di gestire una “eccezione marchigiana”. I dati che riguardano la realtà della nostra regione parlano chiaro. Il numero degli anziani cresce e questi avranno bisogno di un sostegno sia da parte del sistema sociale che di una particolare attenzione con riferimento alla sanità, Ciò significa anche un inevitabile e conseguente aumento di spesa pubblica. Per quanto riguarda l’economia, i dati del commercio estero marchigiano 2016 ci indicano che stiamo approfittando della globalizzazione con un saldo positivo di 4 miliardi. Ma potremmo fare decisamente meglio.
Spazi di apprendimento e Ludopolitica
Bisogna accettare di confrontarsi in questo mondo nel quale, per andare avanti, occorre uscire dalla logica delle “élite”, di quella degli “esperti” per entrare in una nuova. Quella di confrontarsi con gente normale, normali cittadini che pensano, che riflettono, e che, partendo da opinioni molto diverse, si riuniscono, organizzano dibattitti, vogliono inventare un nuovo modello di società, trovare delle soluzioni al di fuori di un quadro strutturale predeterminato o regole prefissate, in un modello prettamente legato all’auto organizzazione.
Questo modello di “spazio di apprendimento”, nel quale si diffondono delle tecniche democratiche finora sconosciute, poco conosciute o poco praticate. Si diffondono idee come “la comunicazione non violenta” – ormai abbastanza diffusa nei paesi occidentali – che si dovranno confrontare con altre componenti della società. Questo sembra già indirizzato verso la formazione progressiva di una specie di “nuovo contratto sociale”.
L’unico limite di questo nuovo modo di “fare politica” è anche la sua forza. Quello che questo modo di politica vorrebbe fare è cambiare tutto e molto velocemente. E’ su questa strada che riesce a conquistare consenso molto rapidamente, ma altrettanto rapidamente a riperderlo, perché in questa epoca nella quale siamo abituati a consumare tutto molto rapidamente, se non arrivano risultati subito, allora il consenso si allontana – a sua volta – assai velocemente. E’ proprio su questo terreno, su questa strada della rapidità nel conseguimento del risultato che lo si può facilmente raggiungere.
Senza dimenticare che la politica non è morta. In mancanza di gestione dei nuovi vincoli, è semplicemente andata in letargo in un mondo che non è semplicemente cambiato, ma che è diventato completamente nuovo. Nuovo. La politica invece?
Esiste ancora. La politica non è votare ogni due o cinque anni. La politica rimane “etica”.
Ci siamo dimenticati che in molti casi è anche pedagogia, che consiste nell’insegnare ma anche nell’imparare. La politica è una cosa quotidiana, che nei giorni nostri significa cercare e riprendere il proprio posto nella società. La politica è osservare il proprio quadro di vita sociale ed economica, analizzarne i vincoli per poterli gestire e superarne i problemi. La politica ai giorni nostri significa riscoprire la propria empatia e la propria compassione per andare verso gli altri e capire le problematiche che stanno attraversando.
Non occorre avere prestigiosi titoli di studio per comprendere, la politica deve parlare alla gente. A tutta. E può farlo con metodi nuovi da lanciare come la ludopolitica. La politica è creare, è condividere – ma soprattutto – discutere e scambiare. Insieme.
Conclusione
La crisi della democrazia rappresentativa esiste ed è reale. Perché molte persone stanno riprendendo fiducia in loro, vogliono partecipare, prima di tutto, per quanto riguarda la “politica di prossimità”, ma vogliono anche partecipare per argomenti riferiti al “mondo lontano” come ad esempio la protezione dell’ambiente o la cooperazione allo sviluppo.
Oggi, molte persone nutrono la profonda convinzione che sono in grado di autogovernarsi. Non si può più fare politica se non si tiene conto di queste nuove voci e delle nuove azioni che accompagnano tali convinzioni.
A chi vuole fare politica oggi, tocca prendere atto di questo dato di fatto, incrociarlo con i vincoli economici e sociali del proprio territorio e del proprio paese. Senza questa presa di coscienza, il sistema continuerà ad essere instabile ed espellere automaticamente chi non vuole o chi non sarà in grado di adattarsi a questo semplice principio che – in fondo – ha segnato l’evoluzione del nostro mondo fino ai nostri giorni e che è il solo che potrà garantire uno “sviluppo senza frattura” nelle Marche e in Italia.