Introduzione
Il lancio della campagna per il “sì” al referendum sulle riforme costituzionali è partito ufficialmente da Bergamo lo scorso 21 maggio. Prima in azienda alla Brembo, al famoso “Chilometro Rosso”, poi nella Bergamo Alta amministrata dal Sindaco Giorgio Gori – città italiana di una bellezza incantevole tra quelle ancora poco conosciute – per un incontro con il pubblico.
Azienda e borghi incantevoli, due simboli dell’Italia.
Una lunga maratona verso il cambiamento è cominciata, che molti vogliono dipingere come un referendum pro o contro il giovane Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Bisogna insistere sulla parola giovane, perché è sotto la leadership di un quarantenne che l’Italia sta provando a cambiare. E non è proprio un dettaglio da poco.
Ma l’apertura delle danze è stata segnata anche con il commento al “no”, ufficializzato dall’ANPI, Associazione Nazionale dei Partigiani d’Italia, nella riunione del Comitato nazionale del 21 gennaio 2016.
Ieri, il primo confronto ufficiale tra il Presidente dell’ANPI Carlo Smuraglia ed il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, in occasione della Festa dell’Unità di Bologna, ha segnato una tappa importante per aprire una conversazione franca e schietta.
Una conversazione con chi ha contribuito a liberare il paese dal nazifascismo, al prezzo della propria incolumità fisica e mentale e che ha visto compagni, amici e gente comune morire per questa nobile causa.
Dobbiamo molto a loro, ai loro sacrifici, alle loro abnegazioni e anche grazie alle loro teste, alle loro mani, l’Italia si è buttata a capofitto nella ricostruzione che ci ha portato prima sviluppo, conquista del tempo libero, fino al benessere dei nostri giorni. Un benessere che una maledetta crisi sta mettendo seriamente a rischio.
Ma oggi, è arrivato anche il momento nel quale dobbiamo saperci dire alcune verità.
Quella Costituzione – questa Costituzione perché nessuno ce la porterà via – è anche frutto di una sconfitta.
Per l’Italia, aver perso una sciagurata guerra con milioni di vite – in particolare i partigiani ne sanno qualcosa perché molti venivano proprio da una vita stanca di conflitti militari che vedevano i civili come vittima preferenziale e predestinata – ha significato ereditare una Costituzione dei nostri padri costituenti, ma che ci hanno regalato sotto l’attento controllo delle potenze vincitrici che avevano un interesse per così dire “legittimo”. L’America aveva attraversato l’Atlantico due volte in meno di 20 anni per venire a mettere fine a conflitti tra europei, nei quali la sete di potere o di violenza di singoli uomini (come fascismo e nazismo) in molteplici paesi, aveva portato il Continente quasi all’autodistruzione.
Sono almeno tre gli elementi sui quali riflettere
Prima di tutto le potenze vincitrici non volevano più correre il rischio di rivedere “uomini forti” tornare a usare la forza dittatoriale, passando democraticamente attraverso le urne, come era tra l’altro cominciato tutto in Germania con Hitler. Non ce lo dimentichiamo. Mai.
Quest’ansia e questo pericolo sono anche tra i motivi per i quali né alla Germania né all’Italia (problema inesistente per il Giappone che ha un imperatore) verrà “concessa” l’elezione diretta del Capo dello Stato, né l’elezione diretta del Capo del Governo. La scelta di una democrazia parlamentare puntava ad introdurre chiaramente un sistema nuovo, ma anche ad evitare le elezioni a furor di popolo nei paesi potenzialmente a rischio di populismo e ideologie devianti.
Attenzione. I rischi di dittature non erano solo per l’Italia e la Germania. In Grecia, culla della democrazia, la cosiddetta “dittatura dei Colonnelli” ha dettato grande preoccupazione fino al 1973 per il mondo libero di allora. Ricordiamoci che paesi come il Portogallo ritorneranno alla democrazia solo nel 1975 e la Spagna nel 1978, motivo per il quale il processo di adesione all’Unione Europea verrà completato solo nel 1981 per il primo e addirittura solo nel 1986 per i due Paesi della penisola iberica.
Ma nel nostro caso specifico, ci è andata anche peggio o meglio, a seconda dei giudizi.
Abbiamo ereditato – e questo è il secondo elemento della riflessione – anche un “bicameralismo perfetto”, concepito più che come una garanzia come una “blindatura”, che dapprima ha agito da protezione contro le derive autoritarie ma, una volta stabilizzata la democrazia in Italia, ha finito per diventare una “palla al piede”. Il bicameralismo perfetto faceva si che qualsiasi cosa – prima di essere decisa – dovesse passare il vaglio di due istanze di controllo, senza dimenticare il passaggio del vaglio presidenziale della promulgazione, anche lui con il potere di rimandare il testo alle camere.
Terzo elemento da aggiungere a questi due “parafulmini”, che riguardano la funzionalità del nostro sistema democratico, è il cospicuo numero di risorse umane messe a disposizione per far funzionare tutta la macchina politica.
Numeri a confronto
Si tratta del numero dei parlamentari – che parte da un 945 membri per un paese di 60 milioni di abitanti circa – un numero straordinario, perché neanche potenze nucleari con più di 300 milioni di abitanti o 140 milioni di abitanti, come gli Stati Uniti e la Russia, hanno scelto di avere così tante risorse umane per determinare le regole di convivenza, controllare il Governo, l’esercito e la macchina dello stato. Pur potendo permetterselo.
Neanche la più grande potenza economica europea e primo paese manifatturiero proprio davanti a noi, la Germania, che conta 80 milioni di abitanti ed un export 2015 oltre doppio quello dell’Italia o, per dirlo in altri termini, un export 2015 superiore alla somma di quello italiano e francese messi insieme. Un vera potenza manifatturiera.
Neanche i nostri cugini transalpini francesi, che hanno una popolazione leggermente superiore alla nostra si permettono il lusso di mantenere così tanti servitori dello Stato per assicurare il suo funzionamento.
Due Paesi, Germania e Francia, e membri del G7 come l’Italia, con molti più abitanti di noi.
Guardiamo ai numeri per capire meglio. Per più di 300 milioni di abitanti, gli Stati Uniti hanno 2 camere. La Camera dei Rappresentati con 435 membri e il Senato con 100 membri per un totale di 535 rappresentanti del popolo. Con più di 145 milioni di abitanti, la Russia ha una Duma di 450 persone ed un Consiglio federale della Federazione Russa di 170 membri, per un totale di 620 membri. Con più di 80 milioni di abitanti, la Germania ha una Camera dei Deputati “Bundestag” di 630 membri e una Camera dei rappresentati delle 16 entità regionali detto “Bundesrat” di 69 membri per un totale di 699 membri. Più simili a noi, ma con una popolazione di più di 65 milioni di abitanti, la Francia ha un’Assemblea Nazionale di 577 membri ed un Senato di 348 Senatori per un totale di 925 parlamentari.
Allungando l’analisi ai paesi del G7 tra i quali – oltre a Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti – si trova la Russia già citata e attualmente sospesa, analizziamo il Canada – strettamente legato politicamente con la Gran Bretagna – che con più di 35 milioni di abitanti ha un Senato di 105 membri, una Camera dei Comuni con 338 membri per un totale di 443 membri.
Con più di 125 milioni di abitanti, il Giappone ha una Camera dei Rappresentati – Shūgi-in di 475 membri e una Camera dei Consiglieri – Sangi’ di 242 per un totale di 717 membri. Infine, il Parlamento del Regno Unito della Gran Bretagna e dell’Irlanda del Nord è costituito da una Camera dei Lord – che comprende nominati persone che vi siedono di diritto o per via ereditaria – con numero di membri variabili che ad oggi sono circa 780, più la Camera dei Comuni con 650 membri, per un totale di 1.430 membri eletti e non eletti.
I numeri dell’Italia – con i suoi 945 parlamentari – sono esagerati, specialmente se pensiamo che il G8 raggruppa i paesi più ricchi e più avanzati nel mondo. Solo la Gran Bretagna, una monarchia di più di 64 milioni di abitanti più numerosa dell’Italia, arriva dietro di noi con i suoi 1.430 membri del parlamento.
Non c’è niente da fare, i numeri sono chiari. Tra gli 8 paesi, l’Italia è quello che ha la popolazione più bassa e il numero di parlamentari più alto.
Sono 630 Deputati e 315 Senatori (senza contare i 5 senatori a vita che poteva nominare ogni Presidente della Repubblica), quasi 1.000 persone per rappresentare una popolazione dislocata su 8.000 comuni e un territorio di città industriali, villaggi, porti e paesi arroccati sulle dolci colline e le montagne. E l’elevato numero di parlamentari ha portato con sé numerosi problemi, alcuni molto gravi.
Oltre ad una spesa ingente in rapporto al numero della popolazione, questo sistema è dotato del blocco automatico del bicameralismo perfetto. Questo fa sì che se ci sono maggioranze diverse nelle due entità, Senato e Camera dei Deputati, si possono bloccare a vicenda, in maniera indefinita e su qualsiasi argomento.
Questo ha portato problemi legati ad alti costi della politica, problemi di funzionamento e di efficienza, come ad esempio la quantità di lavoro prodotto rispetto al numero di risorse umane impegnate a produrre. Questo ha causato problemi legati alla produzione di emendamenti con spreco notevole di carta, solo per dar fastidio alla controparte politica. Questo ha portato a pensare in maniera tattica e non strategica, come la necessità di escogitare colpi da geni per fare ostruzionismo in qualunque modo. Infine – prevedendo anche di sollevare i parlamentari dal cosiddetto “vincolo del mandato” – il sistema che intendeva renderli liberi, finisce invece per portarsi dietro la sciagura del “trasformismo”.
Come possiamo voler mantenere un sistema così?
Quale contesto attuale e futuro
All’epoca, il mondo era lento e prendeva tutto il tempo necessario per concludere trattati, decidere e prepararsi per conflitti, fare politiche pianificate. Ma come possiamo tenerci un sistema così, che ha l’autobloccante del bicameralismo costantemente inserito?
Come possiamo riuscire ad organizzare rapidamente il paese in modo da creare più ricchezza soprattutto oggi, in un mondo che si è messo a correre e dove le imprese hanno bisogno di stabilità anche per mantenere posti di lavoro e creare nuova occupazione?
Come possiamo oggi discutere il più velocemente possibile su normative che sono in gran parte anche di derivazione europea?
Queste sono alcune delle domande che dobbiamo porci in una fase storica che richiede rapidità di azione per far fronte ad emergenze ed urgenze globali.
Specialmente in un’epoca di grandi interconnessioni, in cui tutto riguarda tutti, in quanto parte di una unica e stessa Comunità Internazionale.