Il nostro passato, la nostra geografia umana ed economico-industriale, recenti eventi sismici, migratori e politici – tutti fenomeni che hanno plasmato la nostra regione – insieme al futuro verso il quale ci portano la crescente senilizzazione delle Marche (con conseguente diminuzione di popolazione attiva e progressivo aumento di spesa sociale), accompagnati da altre prospettive – come ad esempio rivoluzione digitale, ambiente, economia della condivisione – indicano che esiste e che dobbiamo gestire una “eccezione marchigiana”.

In effetti, numerosi vincoli, sfide ed opportunità ci mettono di fronte a numerosi dilemmi che bisogna affrontare, gestire ma anche vincere.

Le Marche, la nostra regione, per la seconda volta in meno di venti anni dopo il terremoto del 1997, si trova in una fase di ricostruzione su larga scala.

Il tessuto produttivo, che si è andato deteriorando in parte per le delocalizzazioni e in parte perché le nostre imprese non hanno voluto o potuto affrontare la globalizzazione, ha visto il nostro export crollare dopo la crisi del 2008 ed abbiamo impiegato sette anni per tornare ai livelli pre-crisi.

La crisi dei debiti pubblici e del mercato interno ha avuto un impatto devastante su una regione che spende circa 80% del suo budget nella sanità e che ha una popolazione del 20% al di sopra di sessantacinque anni. In queste condizioni, il rigore nella gestione dei beni della collettività per salvare – prima di tutto il resto – il nostro sistema di protezione sociale diventa una necessità tutta nostra e non deve essere vissuta come un’imposizione dall’estero, dell’Europa o addirittura di qualche singolo paese europeo. Gestire bene le poche risorse se vogliamo redistribuirle bene è – prima di tutto – nel nostro personale interesse.

La gravissima situazione della disoccupazione giovanile si è venuta a sommare alla sfida, ad oggi mai rilevata dal nostro tessuto produttivo come assolutamente necessaria, di aumentare drasticamente – senza più la possibilità di scegliere appunto se farlo – i numeri dell’occupazione delle donne marchigiane. Eppure, i numeri parlano chiaro: nei nostri quattroAtenei marchigiani, già nell’anno accademico 2013/2014, risultavano iscritte più donne (oltre 25.000) che uomini (oltre 20.000).
Quando decideremo – finalmente – di affrontare queste due questioni a viso aperto, che fin da oggi vanno ad aggiungersi ad un tasso di disoccupazione femminile superiore a quello maschile (10,3% a fronte di 9,6% nel terzo trimestre 2016)? Quado decideremo di favorire la creazione rapida di posti di lavoro e mettendo a disposizione delle madri marchigiane le strutture necessarie per permettere all’altra metà del cielo di essere impiegata – per potenzialità, valore, competenze – nella nostra società?

Il tessuto produttivo marchigiano è costituito in maggioranza da piccole e piccolissime imprese, di cui, in base a dati registrati al terzo trimestre 2016, più di 23.000 manifatturiere. Come si fa a pensare che aiutare le imprese non sia una cosa di “sinistra” se sono quelle che devono procurarci i posti di lavoro?

Poi esistono nuove sfide che, oltre a porci degli interrogativi, ci presentano anche molteplici opportunità in termini di protezione dell’ambiente, gestione degli anni d’argento, sharing economy (Economia della condivisione), Economia circolare, Industria 4.0, Lavoro 2.0, che vede ad esempio i robot svolgere sempre più mansioni, riservate fino ad oggi agli esseri umani, comprese quelle tradizionalmente riservate ai cosiddetti “colletti bianchi”.

Le prospettive e l’andamento dei mercati esteri sembra essere uno dei rari – se non l’unico – sbocco per le vendite e lo sviluppo delle imprese marchigiane. Per questo motivo l’internazionalizzazione deve rimanere tra le nostre priorità perché le imprese possano assumere. Deve figurare tra quegli elementi che segnano “l’eccezione marchigiana” poiché –proprio per le caratteristiche di regione imprenditoriale (in particolare manifatturiera, esportatrice e caratterizzata da micro imprese) e con una popolazione in forte senilizzazione – non può tirarsi fuori dalla globalizzazione. Oggi senza l’internazionalizzazione le Marche non salverebbero se stesse, imprese e cittadini. Per farlo deve affrontare questa partita giocandola in attacco, presentandosi cioè come sistema, anche nella rappresentazione e rispetto dei comuni valori identitari, dove cultura, industria e saper fare si uniscono in un mix – Made in Italy – molto richiesto nel mondo.

A queste due caratteristiche (regione imprenditoriale e senilizzazione) si deve aggiungere far fronte all’attuale emergenza naturale: questo comporta da un lato diminuire risorse negli investimenti ma dall’altro la necessità di aumentarne in prevenzione sottraendole appunto ad altro. Obiettivo, nell’attuale condizione, deve essere quindi – per questione di opportunità ma anche di tenuta del tessuto economico-sociale – quello di aumentare il numero di esportatori abituali sia per garantire gli attuali posti di lavoro che per crearne di nuovi che siano duraturi nel tempo.

Inoltre, in questo periodo di euroscetticismo, anche lo sguardo positivo verso l’Europa deve costituire un’eccezione marchigiana. Oltre all’opportunità dei fondi europei in entrata che stimolerebbero il mercato, ma che spesso per colpa nostra, e non dell’Europa, non sappiamo impiegare in progettualità, l’Europa è l’unica vera opportunità di lavoro, visto che rappresenta la destinazione marchigiana di oltre il 70% dell’export regionale. Questo dato offre la conseguente opportunità di mantenere e creare posti di lavoro, come già indicato in precedenti articoli. A questo deve aggiungersi cheil mondo nel quale viviamo è diventato molto più pericoloso per noi rispetto al passato. Abbiamo bisogno di una struttura,di agire nell’ambito di una cornice comune che, pur impiegando – a fronte di una popolazione di oltre cinquecento milioni di cittadini europei – un numero di dipendenti molto vicino a quello di alcuni suoi grandi comuni metropolitani, è in grado di esercitare un’influenza mondiale e capace di far sentire la voce del nostro paese nel mondo.

Altra e terza eccezione marchigiana deve riguardare le politiche per il nostro territorio. La concentrazione sull’obbligo di promuovere uno “sviluppo senza frattura” non deve restare un semplice discorso o uno slogan. Bisogna riempirlo di significato attuando azioni concrete nell’ambito di una visione strategica, con particolare riguardo alle zone colpite dal sisma, e dando priorità alla parte Sud della regione in cui si registravano già, prima dei tragici eventi, un elevato tasso di disoccupazione. Anche perché la reale esperienza del nostro passato, già oggetto di studio da parte di molti, possiamo e dobbiamo proiettarla nel nostro futuro.

Se abbiamo il coraggio di non ascoltare le sirene, che vogliono il nostro male vedendo il male ovunque, ma quello di guardare al nostro interno, ricostruire il nostro territorio con amore e dedizione, di risollevarne l’immagine con un gioco di squadra e adeguate politiche basate sul principio dell’offerta, non solo sulla domanda, senza dividersi in pericolose quanto inutili divergenze in questa fase, e di stimolare il nostro tessuto produttivo con il suo sapere, risorse e valore identitario, per creare posti di lavoro sia per gli uomini ma anche per le donne marchigiane, se continuiamo a dare una particolare attenzione alla popolazione dei nostri anziani, a cui dobbiamo molto per la regione che ci hanno regalato, allora sarà possibile che l’eccezione marchigiana si trasformi in un esempio ed un modello per l’Italia.

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